Ritorno alla realtà

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La mattina seguente Lalla mi richiamò in un mare di lacrime.
Cercai di resistere alla tentazione di unirmi a lei, ma fu inutile, mi misi a singhiozzare con lei al telefono. Appena chiusi la conversazione cercai di buttar giù qualcosa da mangiare. In mezzo a tutto quel dolore nessuno di noi aveva toccato cibo, solo mia madre aveva mangiato qualcosa perché costretta a forza da mio padre.

La nonna mi guardava dall'altro capo della tavola con occhi tristi; per lei ero una condannata a morte. Cercai di non incrociare il suo sguardo per tutto il tempo necessario a terminare la mia colazione e, appena finito, mi andai a rinchiudere in bagno. Non volevo andare a scuola, ma mio padre mi fece ragionare dicendomi che era inutile restare a casa a crogiolarmi nel dolore soprattutto ora che la mamma e la nonna non erano molto di compagnia.

«Almeno in classe avrai il sostegno dei tuoi amici» disse a un certo punto «Poi non dimenticare che quest'anno hai la maturità e meno assenze fai, meglio è.»

Lo guardai accigliata. Come poteva pensare alla mia maturità in quel momento?
«Ma tu, che farai oggi?» chiesi brusca.

«Ti accompagno e poi vado in ufficio a parlare con Sforza» replicò asciutto.

L'idea non mi sfagiolava per niente. L'avvocato Sforza non mi sembrava la persona adatta per seguire il nostro caso anche se, forse, non aveva niente a che fare con l'indole poco raccomandabile del figlio. Non mi fidavo lo stesso.
Rabbrividivo al pensiero che potesse essere lui la causa di tutto quello che stava succedendo.

«Papà, mi fai sapere se l'ispettore ti chiama per il sopraluogo a casa di  zia Eleonora? Vorrei venire anch'io.»

Mi guardò spiazzato, la mia richiesta l'aveva sorpreso, non credeva che glielo chiedessi.

«Va bene, però non credo sia una buon'idea portarti sulla scena del crimine!»

«Non preoccuparti per me, voglio aiutarti a capire cosa manca e se si è rotto realmente qualcosa durante la colluttazione.»

Il suo sguardo rimase impenetrabile per qualche attimo, poi riprese: «Facciamo così...Se mi chiamano vado avanti a vedere com'è la situazione e se non è troppo raccapricciante ti permetterò di raggiungermi lì, okay?»

Ero scocciata, ma alla fine dovetti cedere alla sua richiesta.
Io sapevo già che non avremmo trovato alcun indizio utile alle indagini e che tutto sarebbe apparso "normale", ma era proprio quella normalità che volevo verificare. Probabilmente c'era qualche traccia che all'occhio di un umano comune sfuggiva, ma a me non sarebbe successo.

Papà mi accompagnò fin davanti all'ingresso della scuola.
«Aspetta ad entrare, lascia andare via tutti» disse poco prima che aprissi la portiera. «Così nessuno ti tormenterà con imbarazzanti domande.» Lo ringraziai con uno sguardo, aveva capito il mio stato d'animo.
Attesi il secondo trillo della campanella e poi scesi dalla macchina. Non mi voltai, ma lo sentii ripartire. La tentazione di fare "filone" era forte, ma non volevo deludere mio padre, gli avevo promesso che avrei cercato di superare la cosa nel migliore dei modi, così presi coraggio ed entrai.

Appena oltrepassai la soglia mi resi conto che tutto era tranquillo, in giro non c'era nessuno, i corridoi erano deserti e persino le bidelle sembravano sfumate nel nulla.

Meglio così! Pensavo.
Salii al primo piano ed entrai in aula, in tempo per rispondere all'appello.
I miei compagni rimasero ammutoliti nel vedermi lì con loro.
Alice mi lanciò uno sguardo compassionevole, io le risposi con un sorriso appena accennato e mi accomodai al mio posto.

La professoressa arrivò al cognome di Daniel. A sentire il suo nome, il mio cuore fece un tuffo e il non vederlo seduto al suo posto mi provocò dolore. Cercai di non pensarci e mi concentrai esclusivamente sulla lezione. All'intervallo nessuno mi si avvicinò... Ovvio, la mia faccia triste doveva essere un ottimo repellente scaccia curiosi!
Scesi a prendermi una tazza di cioccolata calda al distributore automatico, perché sentivo un bisogno smisurato di coccole.
Pensavo al mio Daniel e a quanto tempo sarebbe passato prima di poterlo riabbracciare... tutto dipendeva da me e dalla mia capacità di ritrovare la Pergamena.
Mentre aspettavo che la macchinetta finisse di erogare la bevanda scelta, iniziai a percepire una strana pressione alle tempie. La riconobbi subito.
Qualcuno stava tentando di forzare la mia mente.
Chiusi immediatamente il pensiero e senza mostrare panico, mi guardai attorno con circospezione.
In fondo al corridoio, dietro a una porta socchiusa, qualcuno mi stava spiando. Riconobbi all'istante quello sguardo profondo: Andrea.

GUARDIANA DEL DESTINO - La pergamena del destinoWhere stories live. Discover now