𝟏𝟖. 𝐁𝐋𝐀𝐂𝐊 𝐎𝐔𝐓

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Quella domanda gli si era insinuata nella testa.
Non ci aveva mai pensato prima di allora, e da quando gli era stata posta, non riusciva a smettere di pensarci.

Chi era?

Poteva dire di essere un'acrobata del circo, o meglio, ex acrobata... ma no, perché anche se lo era stato, quello non era più lui.
Dick Grayson era un ragazzo dal passato tormentato, che pensava di essere stato trasformato in un'arma, dallo stesso uomo che aveva promesso di aiutarlo: Bruce Wayne, che invece di placare i suoi demoni e lenire il suo dolore, li aveva sfruttati per addestrarlo nel diventare la sua spalla destra.
Robin aiutava Batman, ma in particolare la gente di Gotham e la polizia, e per anni lui e il cavaliere oscuro avevano lavorato insieme senza alcun problema.
A guidarli c'era un'etica: quella del non uccidere.
Con gli anni però, quell'etica era venuta meno.
Batman aveva più volte superato quel limite da lui stesso tracciato e stava insegnando a Robin a fare lo stesso, perché secondo lui, a volte, non c'era altro modo. E se eliminare una persona poteva salvarne delle altre, allora andava fatto.
Dick non era d'accordo, per lui c'era sempre un'altra via, e poi, il non uccidere, era l'unica cosa che li rendeva diversi dai criminali che combattevano.
Lui non aveva mai superato quel limite e non aveva intenzione di farlo. Tuttavia, negli anni era cambiato, i demoni che credeva di aver seppellito avevano iniziato a riaffiorare: la rabbia, il dolore e quel senso di giustizia che quando indossava la maschera lo faceva sentire autorizzato a fare delle cose.
Stava diventando come lui, e non si riconosceva più. Per quello aveva appeso il costume. Lasciare Robin gli era sembrata la cosa migliore da fare, la risoluzione al problema.

Forse, la domanda giusta non era tanto chi fosse, ma cosa fosse diventato. E questo lo spaventava, perché sapeva di non poter tornare indietro. Non poteva cancellare quello che Bruce gli aveva insegnato.

Erano passati due giorni, e non aveva ancora detto ad Amber cosa ci fosse scritto sul tatuaggio di quell'uomo che aveva incontrato al gala.
Glielo aveva promesso, e poi, magari, sapere che qualcuno la stava aiutando le avrebbe levato dalla testa quella stupida idea che aveva di andare dalla polizia.
Era vero quello che le aveva detto a riguardo a quest'ultima, i poliziotti non corrotti si potevano contare sulle dita di una mano, e inoltre, tornando a Bowery la notte precedente, aveva visto quel tatuaggio inciso sulla pelle di altre sei persone, che poi aveva identificato grazie al bat-computer come famigerati trafficanti d'armi di origine russa, ricercati da oltre cinque anni.
Quella stessa notte poi, aveva notato qualcosa di strano: le casse blindate che quegli uomini avevano scaricato, con estrema delicatezza da un furgone bianco, non contenevano armi. Il suo scanner non era riuscito a identificarne il contenuto.

Cosa c'entrava tutto quello con Amber?
Proprio non riusciva a capirlo, ma era sicuro del fatto che non volessero farla fuori, o l'avrebbero già fatto, di occasioni ne avevano avute.

Afferrò il cellulare e aprì la chat con Amber, ma si bloccò prima ancora di iniziare a scrivere.
Sospirò, chiudendo gli occhi qualche secondo.
Lasciò la bat-caverna, indossò una giacca di pelle nera, prese le chiavi della sua auto e fece scattare la serratura quando gli fu vicino, nel viale appena fuori la tenuta.

Poco dopo, si ritrovò a sfrecciare per le strade di Gotham, con il solo rombo del motore a fare da sfondo ai suoi pensieri.
Il cielo era particolarmente scuro quella sera, e le nubi grigie cariche d'acqua che l'oscuravano, non avevano accennato un minimo diradamento per tutto il giorno. Era strano che non avesse ancora piovuto.

L'orologio della macchina segnava le nove precise quando arrivò sotto casa sua, neanche l'avesse fatto a posta, e senza chiedersi se fosse in casa, o se i suoi ci fossero, parcheggiò la vettura nel piazzale antistante il palazzo.

𝐍𝐢𝐠𝐡𝐭𝐰𝐢𝐧𝐠Where stories live. Discover now