𝟒𝟗. 𝐋'𝐈𝐌𝐏𝐑𝐎𝐍𝐓𝐀 𝐃𝐄𝐋𝐋𝐄 𝐒𝐓𝐄𝐋𝐋𝐄

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Quando tornò a casa, con occhi rossi e le lacrime che ancora le scorrevano sulle guance, sua madre le andò incontro e senza dire nulla spalancò le braccia e l'abbracciò. Le fece poggiare la testa nell'incavo della spalla e prese ad accarezzarle i capelli. Rimase così, a stringerla in silenzio e a cullarla tra le proprie braccia fin quando non smise di singhiozzare e il petto di tremarle. O almeno in parte.

«Lo so, lo so» le disse infine, dolcemente, scostandole i capelli dal viso che le si erano appiccicati contro le guance. «Si risolverà tutto, vedrai.» Sorrise, come a volerla incoraggiare e Amber annuì, asciugandosi con il dorso della mano lacrime sotto gli occhi e tirando su con il naso. «Cambiati, mettiti comoda» le consigliò poi, e di nuovo, Amber le rispose con un cenno del capo.

Salì in camera e mai come quella volta faticò per arrivare in cima. Gli scalini le sembrarono alti il doppio e ad un certo punto ebbe l'impressione di retrocedere, come se stesse salendo su una scala mobile che in realtà scendeva. Persino la maniglia della porta le oppose una resistenza che non seppe spiegare... ma in fondo, in cuor suo, sapeva.

Sul letto, aperti, c'erano un leggings nero e una maglietta bianca non troppo pesante. Sua madre non le aveva preparato soltanto la valigia, che tra l'altro aveva lasciato aperta sul pavimento nel caso avesse voluto aggiungere o togliere qualcosa, ma anche i panni per il viaggio.

Viaggio, pensò, mentre gettava a terra i panni che indossava. Non c'era parola più sbagliata, eppure, per definizione, era proprio quella giusta.

Non aveva neanche chiesto ai suoi dove fossero diretti, o che piani avessero, sapeva soltanto che suo padre aveva ritenuto opportuno allontanarsi da Gotham il prima possibile. E poi... poi la polizia avrebbe fatto il resto, una volta che i documenti di copertura sarebbero stati pronti.

Prese a camminare per la stanza, facendo avanti e indietro con i capelli ancora infilati nel collo della maglia, e soffermandosi con lo sguardo sui dettagli più a lungo di quanto avesse mai fatto. Quella camera l'aveva vista crescere, ed era stata testimone di ricordi che avrebbe portato per sempre con sé, ma anche se adesso la guardava in maniera nostalgica, sapeva che tra tutte le cose era una di quelle che le sarebbe mancata meno.

«Ci vediamo presto» sussurrò, in tono di chi ci spera più che crederci e forzando un sorriso mentre si avvicinava alla finestra.

Seguì con il dito una goccia d'acqua che scivolava lenta dall'altra parte del vetro, poi si girò e andò a sedersi sul letto. Prese il cellulare, guardò per l'ultima volta la schermata di blocco e senza pensarci ancora lo spense. Non poteva portarlo con sé, era una delle regole del WITSEC. Certo, avrebbe potuto avere un nuovo cellulare, ma non avrebbe potuto contattare nessuno che conosceva.

Quella era la parte che la spaventava di più, perché ricominciare è facile, sono i ricordi che lo rendono difficile.

Ciononostante, continuava a ripetersi che poteva farcela, che quella sarebbe stata soltanto una parentesi, un capitolo destinato a chiudersi, prima o poi. E quando sarebbe successo avrebbe strappato quelle pagine dall'inchiostro rosso e dal sapore salato e le avrebbe fatte a pezzi.

Sua madre comparve all'improvviso sulla soglia della porta, annunciando la sua presenza con un colpetto contro la porta.

Aveva rinunciato ai tacchi, perché sì, molte volte aveva viaggiato anche con quelli, ma non all'eleganza di un pantalone dal taglio a sigaretta e una giacca del medesimo blu scuro. «Sei pronta?» le chiese e lei annuì anche se non lo era affatto, ma aveva forse altra scelta? «Chiamo Tyler, così ti aiuta.»

Amber si alzò dal letto e chiuse la valigia, incurante di quello che ci fosse e di quello che non ci fosse. «Faccio da sola, non preoccuparti» le disse.

«D'accordo» replicò sua madre, intuendo fosse inutile insistere, «Ti aspetto di sotto allora. Tuo padre è già sceso a sistemare le nostre valigie nella macchina di Gordon.»

«Gordon?» ripeté Amber come se avesse sentito male.

«Sì, lui e alcuni dei suoi agenti ci scorteranno in aeroporto» le disse, e con quelle parole sparì oltre la porta lasciandole ancora qualche minuto per finire di prepararsi.

Amber aprì l'armadio, e neanche a farlo apposta sotto gli occhi le finì una delle giacche che di solito usava per andare in università. Era in pelle nera, corta, larga e con un'imbottitura al suo interno abbastanza pesante da permetterle di utilizzarla anche nelle giornate più fredde.

La tirò fuori e la guardò.

Chissà in quale parte del mondo avrebbe finitogli studi... laurearsi alla Gotham University, dove avevano studiato anche i suoi, era sempre stato il suo sogno.
Ricordava ancora il giorno in cui aveva scoperto di essere stata ammessa: era seduta a gambe incrociate sul letto, e ovviamente c'era Emma lì con lei, dalla parte opposta e con il computer davanti agli occhi.

«Allora?» aveva scalpitato Amber, le gambe incapaci di stare ferme.

«Aspetta» le aveva risposto l'amica, «C'è una piccola introduzione. Alla tua università piace creare suspense a quanto pare» aveva continuato. Ma pochi secondi dopo l'aveva guardata, talmente seria che Amber aveva pensato che stesse per comunicarle che non era stata presa, e si era schiarita la voce. «Direi che delle congratulazioni sono d'obbligo.»

«O mio dio!» Amber aveva spalancato gli occhi ed Emma aveva sorriso, e a quel punto erano saltate insieme sul letto e si erano abbracciate.

«Sei una stupida ad aver pensato che ci fosse anche solo una possibilità che non ti prendessero» le aveva detto Emma in un secondo momento, ed aveva ragione.

Oltre alle domande specifiche sugli interessi accademici, extrascolastici e intellettuali, aveva risposto anche a quelle facoltative dove le veniva chiesto di elencare titolidi libri, saggi, poesie, racconti e opere che avevano contribuito al proprio sviluppo intellettuale. Le abilità o le intuizioni sviluppate durante un ostacolo o una particolare situazione, e una sul perché fosse interessata proprio alla Gotham University.

Quindi Amber lo sapeva, che era stata una stupida, ma era fatta così.

Batté le palpebre per scacciare quel ricordo, con gli angoli della bocca ancora curvati verso l'alto e una strana fitta all'altezza del petto e infilò la giacca.

Un passo dopo l'altro si diresse verso la porta con l'intento di non guardarsi più indietro, ma quando arrivò sulla soglia si fermò, incapace farlo davvero. E così, con la valigia in mano, fece rimbalzare lo sguardo sulle le pareti della propria camera per l'ultima volta e che all'improvviso, si fermarono su qualcosa poggiato sul comodino.

Lasciò il trolley e si avvicinò. L'aveva messa lì e da allora non l'aveva più toccata, fino a quel momento, quando allungò la mano e se la rigirò tra le dita scuotendo lievemente il capo con un sorriso sulle labbra. Qualche secondo, poi se l'infilò in tasca.

Era pronta.

Adesso sono curiosa di sapere se avete capito cosa ha preso Amber 👀

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Adesso sono curiosa di sapere se avete capito cosa ha preso Amber 👀

𝐍𝐢𝐠𝐡𝐭𝐰𝐢𝐧𝐠Where stories live. Discover now