𝟐𝟒. 𝐈𝐋 𝐌𝐀𝐆𝐆𝐈𝐎𝐑𝐃𝐎𝐌𝐎

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A volte le parole facevano male, altre volte, invece, era il non sentirle che faceva male.

Amber continuava a pensare al fatto che Dick non le avesse risposto, che non fosse riuscito a dirle neanche una parola e, di conseguenza, a quanto potesse essere grave la sua ferita. Era stato colpito al petto, ma non sapeva dove con esattezza e non voleva neanche saperlo; l'unica cosa che voleva era che stesse bene. Nient'altro.

Quel pensiero si riversava in lei sotto forma di lacrime dal sapore amaro, in una scia bagnata in cui si riflettevano le luci di Gotham City, in una curva appena accennata che andava dai suoi occhi ai suoi zigomi.

Era in auto da soli cinque minuti, insieme ai suoi genitori che aveva stretto nell'abbraccio più forte di sempre quando li aveva rivisti. Ma da quando erano saliti in macchina, nessuno aveva più aperto bocca, rendendo il silenzio all'interno del veicolo carico di pensieri udibili e saturi di ansie e preoccupazioni.

Il pensiero di Amber era uno: fisso, costante, e che non le aveva permesso di rispondere neanche ai messaggi di Emma che le aveva inviato qualche minuto prima. Sapeva che aveva seguito i notiziari fino a quell'ora, ma prima di dirle qualunque cosa voleva essere sicura di poterlo fare.

«Stiamo... andando a casa?» chiese dopo qualche minuto, nonostante conoscesse già la risposta.

Suo padre annuì, «Sì, anchese la polizia avrebbe voluto interrogarci in centrale. Ma ho detto loro, chevista l'ora, saremmo passati domani mattina» le rivolse uno sguardo dallo specchietto retrovisore. «Mi dispiace per quello che è successo. Per avervi messo in pericolo. Se l'avessi saputo...»

«Non c'è bisogno che tu lo dica, papà. Lo sappiamo. Tu hai fatto quello che dovevi, quello che era giusto.»

«Amber tu avevi già parlato con quell'uomo, non è così?» le chiese, ma lei scosse la testa e deviò lo sguardo, puntandolo di nuovo fuori dal finestrino, timorosa di come avrebbe potuto reagire scoprendo che glielo aveva tenuto nascosto. Ma suo padre aveva già capito, e si era anche fatto una mezza idea. «Non mentirmi» proseguì, «Ti conosceva» affermò con decisione, accorgendosi subito dopo di essere stato troppo duro. Non era sua intenzione rimproverarla per una colpa che non aveva. «Amber non ce l'ho con te» sospirò piano, «Ma con me stesso per non aver pensato alle conseguenze. Sapevo che Aron avesse uomini ovunque, anche in carcere, ma non avrei mai pensato che sarebbe risalito a me. Ho tenuto la cosa segreta persino con tua madre fino a qualche giorno prima dell'udienza.»

«Papà non posso andare a casa.» Amber buttò fuori quelle parole all'improvviso e tutto d'un fiato, e vide suo padre accigliarsi dallo specchietto retrovisore. Non gli importava se pensasse che lo stesse facendo per sviare il discorso. In quel momento non riusciva a parlare di niente, perché i suoi pensieri erano totalmente focalizzati su altro. E il fatto che lui non le rispondesse ai messaggi non faceva altro che aumentarel'ansia che avvertiva in ogni fibra del suo corpo. «Devo andare da Dick.»

«Dick?» ripeté lui, «Penso possa aspettare.»

«No.» Amber scosse la testa, «Tu non capisci, devo andarci, lui» si bloccò, le lacrime presero a scorrere più di prima, «Lui...»

«Capisco benissimo, invece, ma non ora, Amber. Non è il momento.»

«Gli hanno sparato, Papà!» urlò sconvolta, «Ti prego, ti prego, devo andare a vedere come sta.»

«Sparato?» intervenne sua madre con voce flebile, era stata in silenzio fino ad allora.

Amber schiuse la bocca, glielo aveva davvero detto?
«Lui...» deglutì, «Ha visto la notizia al telegiornale ed è venuto fuori al tribunale, voleva aspettarmi ma... si è trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato.»

𝐍𝐢𝐠𝐡𝐭𝐰𝐢𝐧𝐠Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora