𝟓𝟓. 𝐂𝐎𝐌𝐄 𝐋𝐀 𝐋𝐔𝐍𝐀 𝐄 𝐈𝐋 𝐌𝐀𝐑𝐄

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OGGI, CINQUE MESI DOPO

AMBER


Diciotto dicembre.

Nonostante il Natale in arrivo, quello era un giorno come un altro. Un numero nero sul calendario, privo di importanza per la stragrande maggioranza delle persone.
Ma non per me.

All'inizio contavo i giorni, o meglio, li eliminavo, dal calendario che avevo accuratamente posizionato sulla scrivania. E li cancellavo nel vero senso della parola, visto che di quei numeri non rimaneva altro che una macchia scura. Un buco, il ciglio della voragine sulla quale vivevo e contro la quale lottavo per non cadere.

Vedere la pagina che spariva sotto l'inchiostro era una cosa che mi faceva stare bene, che mi faceva sentire un po' più vicina al mio ritorno a casa. Come se i miei giorni lì fossero contati, quando in realtà non sapevo neanche se e quando sarei tornata. Ma non aveva più importanza, perché i giorni erano diventati settimane e le settimane erano diventate mesi. Il tempo passava e alla fine avevo smesso anche di voltare pagina.
Non aveva importanza sapere che giorno della settimana fosse. Erano giorni, l'uno valeva l'altro, così come i mesi.

Tuttavia, quella mattina sapevo esattamente cosa fosse.
Diciotto dicembre.
Otto mesi esatti.
E non avevo ancora aperto le palpebre quando quella consapevolezza mi aveva colpito facendomi pizzicare gli occhi, ma sapevo che la malinconia che mi aveva portato me la sarei trascinata dietro per tutto il giorno. Non che di solito sprizzassi gioia da tutti i pori... no, quella parte di me era rimasta a Gotham.
Dall'altra parte dell'oceano Atlantico.
A cinquemilacinquecento chilometri da dove ero ora. Anzi, per l'esattezza erano cinquemilacinquecentosessantasette i chilometri che separavano Gotham e Londra.
Che mi separavano da casa.
Che mi separavano da tutto quello di cui avevo bisogno per stare bene.

Se lo avessi raccontato, mi avrebbero detto che nella sfortuna ero stata fortunata. E in effetti, quella era stata la prima cosa che avevo pensato anche io quando mi era stato detto di Londra.

Londra era una città bellissima, capace di incantare chiunque con il suo il suo fascino senza tempo e i suoi palazzi antichi che svettavano tra i piloni d'acciaio dei grattacieli moderni.
Ci ero stata diverse volte e ogni volta ne ero rimasta affascinata come fosse la prima, ma viverci... viverci era totalmente diverso.

Il periodo natalizio era quello che avevo sempre preferito. A Natale, Londra diventava semplicemente magica. Eppure, adesso non riuscivo a vederla, quella magia che mi aveva sempre incantata. E quando uscivo di casa, neanche le luci del London Eye contro il cielo notturno riuscivano a farmi sollevare lo sguardo, o quelle che si riflettevano sulle acque del Tamigi a distoglierlo dalla punta delle mie scarpe.

Ed era sempre così.

C'erano giorni che non decollavano mai e altri che sembravano non avere fine. Aprivo gli occhi ogni mattina, prima ancora che il sole sorgesse, ma non mi svegliavo; perché c'è differenza tra aprire gli occhi e svegliarsi. E mi alzavo e indossavo il mio miglior sorriso, ma dentro... dentro sprofondavo.

A malapena mi accorgevo di quello che mi circondava. L'unica cosa che vedevo erano le catene avvinghiate ai miei polsi. E forse era per quello che avevo iniziato a odiare ogni singolo angolo di quella città: perché desideravo essere altrove, raggiungere il mio cuore che era rimasto oltreoceano, ma non potevo. Ed era una trappola a cui io stessa mi ero condannata, ma della quale non avevo le chiavi. O almeno, non ero io ad averle. Non quella volta.

«Aly, Alyssa.»

Mi sentii scuotere, e quando mi ridestai dai meandri dei pensieri in cui mi ero eclissata trovai Annabel seduta accanto a me, con il viso a un palmo dal mio e una mano sulla mia spalla. Mi fissava con le sopracciglia contratte e Ben, al suo fianco, mi guardava allo stesso modo.

𝐍𝐢𝐠𝐡𝐭𝐰𝐢𝐧𝐠Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora