𝟐𝟐. 𝐆𝐈𝐔̀ 𝐋𝐄 𝐌𝐀𝐒𝐂𝐇𝐄𝐑𝐄

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Li avevano raggruppati in un angolo dell'aula, a terra e con la schiena contro il muro. Avevano intimato loro di non fiatare, ma soprattutto, di non tentare alcuna azione avventata, altrimenti... no, non c'era stato alcun altrimenti. Gli avevano puntato contro i mitragliatori, come se l'intimidazione vocale, che era arrivata con quell'accento straniero e bieco, non fosse bastata.

Ostaggi.

Le probabilità di diventarne uno erano talmente basse e improbabili, che Amber mai e poi mai si sarebbe immaginata di ritrovarsi come tale. E come se non bastasse, suo padre era la persona più in pericolo, insieme al suo assistito, il dottor Wilson Barn.

Amber non aveva mai sentito il suo nome prima di quella mattina, fin quando i suoi non le avevano spiegato che Barn era in uno speciale programma di protezione per testimoni. Dopo l'udienza gli sarebbe spettata una scorta a vita, ma prima, ad eccezione dell'avvocato a cui aveva deciso di affidare il caso, ovvero suo padre, nessuno avrebbe saputo nulla sulla sua identità.

Amber si tirò le ginocchia al petto e ci poggiò la testa sopra, staccandosi dalla parete che sembrava volersi deformare sotto la pressione delle persone che ci si schiacciavano contro, come a volerla oltrepassare. Rannicchiate contro di essa, le persone a mala pena respiravano, timorose di emettere anche il più piccolo dei rumori, mentre gli occhi vitrei e arrossati, carichi di lacrime e paura, erano fissi su quegli uomini armati, e seguivano ogni loro singolo movimento, cercando di non incrociare mai i loro sguardi diretti.

I sequestratori camminavano avanti e indietro per la stanza, senza sosta, con falcate rapide e pesanti. L'unica fermata che facevano era quella dietro il vetro della finestra.

Da quello che Amber aveva capito, doveva essere una cosa rapida. L'arrivo della polizia quasi ancora prima di fare irruzione doveva aver mandato all'aria qualsiasi piano avessero architettato.

Aron strinse entrambi i pugni davanti al volto e strizzò le palpebre. «Potete, per favore, smetterla?» li ammonì, con la voce colma di irritazione. Riaprì gli occhi. Il sangue, che aveva preso a ribollirgli nelle vene, gli fece compiere uno scatto improvviso con la testa, come un tic nervoso.

«È colpa tua, se siamo chiusi qui» osò qualcuno dei russi, trapassandogli la schiena con uno sguardo affilato come la lama di un coltello. Qualcun altro annuì.

«Ma se siete venuti, deduco che un motivo ci sarà, no?» rispose Aron, «E poi, nonostante tutto, abbiamo il coltello dalla parte del manico, non dimenticarlo.»

Amber non aveva visto più di venti uomini, una netta minoranza rispetto alle forze speciali che invece sapeva fossero presenti nell'edificio. E non poté far a meno di chiedersi come avessero fatto ad avere la meglio.
Si destò da quel pensiero quando sua madre, le avvinghiò il braccio con il proprio e la tirò a sé. Ester aveva un colorito pallido in viso, e la cipria le si era sciolta rendendole la pelle del viso lucida.

«Non ti lasceranno andare via. È finita.»
Una voce maschile ruppe il silenzio tra gli ostaggi, esordendo con sicurezza per la situazione in cui si trovava, e senza celare una nota di soddisfazione nel timbro.

Amber udì quella voce molto vicina, e infatti, voltando di poco il viso con gli occhi socchiusi e la fronte aggrottata, notò che a parlare era stato Wilson Barn.
Cosa diavolo gli era saltato in mente? Pensò. Aveva capito che fosse un uomo coraggioso, visto contro chi aveva deciso di testimoniare, ma quello... quello era un chiaro invito a morte.

Aron si voltò con lentezza verso l'ostaggio, con un ghigno a fior di labbra. Sapeva perfettamente che quell'affermazione era rivolta a lui. Scoppiò in una sardonica e fragorosa risata, che enfatizzò piegandosi in due con il busto, per poi tornare serio in un lampo, senza alcuna transizione tra i due stati d'animo, puntando i suoi occhi scuri e penetranti in quelli dell'uomo.
Prese a camminare verso di lui, abbassando sempre di più lo sguardo man mano che gli si avvicinava, e si piegò su un ginocchio soltanto quando gli fu a un palmo dal naso. Solo allora estrasse una pistola, che caricò e che gli puntò sotto il mento.
«Tu» fece pressione con la punta dell'arma, costringendolo ad alzare il viso più di quanto non lo fosse già, «Avrei dovuto immaginarlo.»

𝐍𝐢𝐠𝐡𝐭𝐰𝐢𝐧𝐠Where stories live. Discover now