𝟒𝟒. 𝐍𝐄𝐒𝐒𝐔𝐍 𝐑𝐈𝐌𝐏𝐈𝐀𝐍𝐓𝐎

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Il tempo le remava contro, e mai come quella notte aveva sentito ogni secondo scorrere via. Una corda intorno al collo che si stringeva sempre più.

Si alzò dal letto alle sette in punto, quando sentì Tyler nella stanza accanto aprire la finestra, e si fiondò in corridoio, pronta a bussare, ma non fece in tempo ad alzare il braccio che lui aprì la porta.

«Sai già?» gli chiese, domanda del quale conosceva già la risposta visto che la sera precedente, dopo che era salita in camera, l'aveva sentito parlare con suo padre. Infatti, lui annuì, con gli occhi fissi su di lei che all'improvviso abbassò lo sguardo, trascinandosi dietro anche la testa. «Vorrei salutare delle persone» mormorò.

«Giro lungo?» domandò lui.

Amber scosse la testa, risollevando il viso. «Solo due, in realtà» disse, poi si fermò a pensare, la fronte appena contratta. «Che giorno della settimana è oggi?»

«Venerdì» rispose prontamente lui.

Venerdì. Se non ricordava male, Emma aveva lezione di pomeriggio. Poteva andare da lei quella mattina. Il pomeriggio, invece, poteva passarlo con Dick.

Era tutto perfetto. Tutto dolorosamente perfetto.

«Stavi per... allenarti?» intuì, vista l'ora.

Tyler annuì, «Posso saltare, non c'è proble-»

«No» esclamò Amber scuotendo la testa, senza sapere perché avesse urlato. «No» ripeté più piano. «Fai con calma, facciamo alle otto e mezza.» D'altronde Emma non era mattiniera e lei era ancora in pigiama e, anche se non si era ancora vista, sapeva di avere il peggiore aspetto di sempre.

Così tornò in camera e si fece una doccia fredda per cristallizzare il pensiero che quello sarebbe stato il suo ultimo giorno lì, a casa, nella sua città e con loro, le due persone all'infuori dei suoi più importanti della sua vita. E per congelare le lacrime che, ogni volta, ripartivano con più foga di prima. Come se quelle della notte appena passata non fossero state abbastanza. Il cuscino era ancora umido e le lenzuola stropicciate portavano ancora i segni della forza con cui le aveva strette tra i palmi delle mani.

Non sarà per sempre, ricordò a sé stessa mentre fissava il proprio riflesso nello specchio. Forse, aggiunse una vocina nella sua testa, e bastò quella parola, quel pensiero in più a farle pizzicare di nuovo gli occhi.

Strinse i pugni lungo i fianchi. No, si disse, imponendosi di smetterla all'istante. Voleva che quella giornata fosse perfetta, e quello non era di certo il modo.

Con un po' di make-up cancellò la nottata d'insonnia appena trascorsa, gli occhi pesanti, le occhiaie e le guance arrossate. Infine, giusto per avere un ulteriore motivo per non piangere, fece una leggera passata di mascara.

Poi scese giù e insieme al caffè mise qualcosa di leggero sotto i denti. Più perché fare colazione era un'abitudine che aveva da sempre e che si era promessa di mantenere che per fame. Scrisse un biglietto ai suoi, visto che non si erano ancora alzati, e guardò l'ora sul display del telefono. Mancavano dieci minuti all'orario prestabilito e Tyler non era ancora lì. Perché diavolo tardava?

Sospirò, mentre uno squarcio di sole tra le nubi si riversò nella stanza in pallidi raggi dorati, plasmando le ombre a proprio piacimento.

E se i suoi fossero scesi e le avessero impedito di andare?

Avanti, Tyler.
Dannazione.
Che fine hai fatto?

Aveva perso il conto dei passi fatti fino a quel momento, quando ecco che, finalmente, la sua voce la raggiunse dalla cima delle scale.

𝐍𝐢𝐠𝐡𝐭𝐰𝐢𝐧𝐠Where stories live. Discover now