𝟒𝟎. 𝐔𝐍 𝐈𝐍𝐒𝐎𝐏𝐏𝐎𝐑𝐓𝐀𝐁𝐈𝐋𝐄 𝐏𝐄𝐒𝐎

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Brooker.
L'aveva pronunciato nella propria testa, la fronte crucciata, le labbra schiuse. La sorpresa pari al ribrezzo che quelle lettere che le si erano impresse dietro le iridi le avevano provocato. Era bastato un secondo e un milione di immagini le avevano invaso i ricordi, mentre rifletteva su quello che aveva scoperto.
Che Dick aveva scoperto e che gli aveva lasciato scoprire.

A provocare l'incidente in cui la compagna di Barn aveva perso la vita era stato uno dei mezzi che appartenevano a Benjamin Brooker.
Non era un caso. Non poteva esserlo. Le coincidenze erano troppe.

Quando quel dettaglio le era balzato agli occhi, dopo aver passato una buona mezz'ora a cercare di capire cosa in quella foto non andasse, era letteralmente trasalita e si era dovuta tappare la bocca per reprimere un urlo. Poi aveva afferrato il cellulare e con le mani che le tremavano aveva chiamato Dick, due volte, ma risultava irraggiungibile così gli aveva lasciato un paio di messaggi.
Il primo era un: "O mio dio!", il secondo un: "Dove sei?"

Da allora era passato un po', un bel po', ma aveva evitato di richiamarlo una terza volta, non voleva essere assillante, anche se le dava una certa ansia il fatto che lui non rispondesse, e che alle due di notte passate non l'avesse ancora fatto.

Non le aveva detto né cosa doveva fare né dove, ma era sicura che quella scoperta c'entrasse e la cosa non le piaceva affatto. Le veniva la pelle d'oca al solo pensiero dei cognomi Brooker e Xeli vicini.

Dick sapeva badare a sé stesso, ne era consapevole, ma sarebbe stato in grado di difendersi se ce ne fosse stato bisogno viste le sue condizioni? Anche se non lo dava a vedere, non si era ancora ripreso, e la ferita sulla sua pelle non era cosa da niente. Richiedeva tempo e soprattutto riposo.

Non poteva andarsene in giro a fare l'eroe.
Non così.

Dannazione, gli costava tanto rimanersene a casa tranquillo?

Sperava di sbagliarsi, eppure, in cuor suo sapeva che era esattamente così. Sapeva di avere tremendamente ragione e per quello il muscolo al centro del suo petto palpitava in una maniera incontrollata, rimbombandole nelle orecchie e tenendola sveglia.

Sbuffò, stesa sul letto con gli occhi spalancati e rivolti al soffitto, e incrociò le braccia sulla pancia, il cellulare stretto nel palmo della mano che ogni tanto sollevava per controllare l'ora. Andò avanti così per minuti che le parvero secoli, fin quando non si costrinse ad abbassare le palpebre e a respirare piano, non poteva continuare in quel modo e agitarsi era inutile.

Girò il viso, morbidamente adagiato sul cuscino, e lo sguardo le ricadde sulla libreria a muro, la luce dell'abat-jour accesa sul comodino ne illuminava i dorsi, ordinati in maniera perfetta in base all'altezza.

Quant'era passato dall'ultima volta che aveva letto qualcosa per puro piacere?

I suoi occhi si ritrovarono a scorrere tra i titoli prima ancora di procurarsi una risposta, e le dita a sfiorarne i dorsi. Erano per lo più romance o comunque romanzi in cui quel genere prevaleva, ma aveva anche diversi fantasy e distopici che la lei del passato aveva amato alla follia. Anche se non erano più nel suo genere, mentre ne sfiorava uno le venne da sorridere. Forse era perché Moonacre era stato primo libro che avesse mai letto, o forse perché, pensandoci, un po' avrebbe voluto tornare ad allora: quando ai suoi occhi il mondo era un posto in cui tutto era possibile.

Tirò fuori il libro e tornò sul letto, poggiando la schiena contro testata. Controllò per l'ultima volta il telefono e poi aprì il volume.

 Controllò per l'ultima volta il telefono e poi aprì il volume

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𝐍𝐢𝐠𝐡𝐭𝐰𝐢𝐧𝐠Où les histoires vivent. Découvrez maintenant