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Z A C H A R I A S

Afferro la mia valigetta - l'ultima azione della mia routine quotidiana - e mi avvio verso la porta, carico per una nuova giornata di lavoro. Questa mattina mi sono svegliato più energico del solito, sicuro che, per una volta, tutto andrà nel verso giusto.
Mi fermo davanti alla porta di casa e mi osservo a uno specchio poco distante dall'appendiabiti. Sistemo un'ultima volta i capelli e scrollo le spalle per darmi una carica energica, poi sorrido al mio riflesso per incoraggiarmi ancora un po' di più.

«Sorridi al tuo stesso riflesso? Ma quanto potrai essere narcisista?» chiede Beth alle mie spalle, ridacchiando.

Accenno un sorriso. «Solita carica motivazionale mattutina.»

«Oggi tornerò prima dall'università per accompagnarti all'ospedale, ho pensato che avere qualcuno al tuo fianco ti avrebbe fatto sentire un po' più sicuro» Si mordicchia il labbro inferiore e giocherella con una ciocca di capelli, senza distogliere lo sguardo da me. «Per te è un problema?»

«Assolutamente no!» esclamo, avvicinandomi per abbracciarla. «Anzi, ti ringrazio di starmi vicina in un momento così difficile per tutti noi.»

Annabeth è sempre stata una ragazza altruista, che mette al primo posto gli altri invece che se stessa. Per questo motivo, poi, ha deciso di seguire il ramo della medicina per poter aiutare le persone ancora più da vicino.
Il suo essere schifiltosa, legato anche al suo ripudio verso il sangue, non l'ha mai fermata: nulla, nemmeno le sue paure l'avrebbero mai fermata dal diventare un medico professionista.

«Okay. Allora... A dopo?» Sorride.

«A dopo» dico, poi la guardo un'ultima volta prima di uscire «Ti amo.»

«Ti amo anche io.»

Quando parcheggio l'auto fuori dal cancello dell'università, l'orologio segna le sette di sera

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Quando parcheggio l'auto fuori dal cancello dell'università, l'orologio segna le sette di sera. Dopo un'estenuante turno di lavoro, durante il quale non ho fatto altro che pensare a cosa dire alla ragazza coinvolta nell'incidente, finalmente è arrivato il momento di andare in ospedale.
Sono grato a Beth per aver deciso di accompagnarmi, da solo, infatti, non avrei mai avuto il coraggio di andare. Non è un comportamento da vero uomo, lo ammetto, ma come avreste reagito voi in questa situazione?

Annabeth esce dal cancello e, non appena mi vede, mi rivolge un grande sorriso. Saluta le sue amiche con due baci sulla guancia e sale in auto, dove mi chiede: «Sei pronto?»

Sospiro e guardo avanti, non volendo farmi vedere così fragile dalla mia ragazza. «Sì. Vuoi passare prima a casa per lasciare la borsa con i libri?» chiedo.

«No, non c'è problema. Se vuoi dopo possiamo fermarci a mangiare fuori, così non dovrò cucinare» propone.

Annuisco. «Va bene.»

Metto in moto l'auto, spaventato: sebbene abbia fin da subito ripreso a guidare, non mi sento ancora molto a mio agio al volante. Penso di essere rimasto traumatizzato da quest'esperienza, che non solo è stata il mio primo incidente, ma ha anche coinvolto altri due ragazzi.
Arriviamo in ospedale, dove Annabeth cerca subito il medico della ragazza. Lo conosce essendo un vecchio amico di famiglia, che ha conosciuto durante una terapia che ha seguito in passato. Sono rimasti in buoni rapporti, ma hanno sempre mantenuto un rapporto strettamente professionale.

Dietro ai miei occhi [Cartaceo disponibile] Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora