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T A S Y A

Sebbene non possa vederla, so di trovarmi nella mia stanza.
Il mio piccolo rifugio fin da quando ero bambina e la sua aria accogliente non mi hanno mai fatta sentire così a casa e al sicuro, lontana da tutti quei dottori e psicologi che continuavano ad entrare e uscire dalla mia camera d'ospedale.
Passo le dita sulle lenzuola del mio letto, percependole morbide e profumate rispetto a quelle ruvide del pronto soccorso. L'ultima volta che ho avuto modo di osservarle erano appena state lavate da mamma e il loro color turchese era più vivido che mai.

Continuo a cercare finché non ritrovo il mio foglio da disegno, sul quale sto tentando di disegnare un cavallo. Si tratta di un modo per ricordare mio zio, che si è trasferito in Australia, più precisamente a Sydney, per poter gestire la sua personale scuderia.
Da bambina passavo tantissimo tempo con lui e passeggiavamo a cavallo lungo i sentieri dei boschi. Quando si trasferì, mi ritrovai da sola e iniziai a passare tutto il tempo chiusa in casa a guardare la TV o a giocare con il cellulare, finché un giorno il destino non mi fece incontrare Calvin, che diventò il mio migliore amico. 

Sento la porta della mia stanza aprirsi e qualcuno stendersi accanto a me, per poi prendermi il disegno dalle mani.
«Non ci siamo proprio, Tasya» dice Calvin, con voce teatrale. «Questo disegno fa proprio schifo, ma se ti può rincuorare non eri una buona artista nemmeno prima di perdere la vista.»  
Fingo una risata. «Ma che simpatico!»
«Lo sai che ti voglio bene.» Me lo immagino fare l'occhiolino.

«Come stai?» chiedo, cercando invano di riprendere il disegno.
«Io sto bene, anzi, benissimo! Ti ricordi il ragazzo che ho incontrato alla festa? Mi ha lasciato il suo numero in un biglietto che ho ritrovato nella tasca del giubbotto» spiega «Secondo te dovrei scrivergli?»        

«Assolutamente no!» esclamo «Fatti desiderare. Magari lasciagli qualche like alle foto vecchie che ha su Instagram per fargli capire che sei interessato, oppure prova a scrivergli per primo e a non rispondere subito ai suoi messaggi.»

«Ci proverò.» 

Calvin ha iniziato ad avere il primo interesse verso il genere maschile a dodici anni e a quei tempi ci conoscevamo già. Sono stata la prima - e unica - persona con la quale si è aperto, infatti l'ho aiutato molto lungo questo percorso di accettazione e consapevolezza. Penso che sia stato grazie a questo che il nostro rapporto si sia rafforzato in questo modo, instaurando una certa fiducia e rispetto l'uno nei confronti dell'altro.
Non si è mai aperto nei confronti dei genitori, soprattutto a causa del padre: un uomo vecchio stampo, che etichetta ancora i gay con la parola "frocio" e che li disprezza come se fossero uno dei mali peggiori al mondo. 

Calvin ha sempre avuto paura di lui e delle conseguenze che potrebbero avvenire se si dichiarasse omosessuale e, inoltre, essendo l'unico figlio rimasto in vita non vuole diventare la delusione più grande della famiglia. 

«In ogni caso, tu come stai?» chiede.

Ripenso al ragazzo che è venuto a trovarmi in ospedale, Zacharias, il responsabile dell'incidente. Sono stata cattiva nei suoi confronti, ma se lo merita: in fondo è solo colpa sua se ora sono cieca e non potrò più vedere nulla in tutta la mia vita.
Mi ha tolto tutto, ogni gioia e qualsiasi cosa che avrei voluto ammirare con i miei occhi: la Torre Eiffel, la Statua della Libertà... Ogni cosa!
Mi accontenterei di guardare anche un semplice fiore per l'ultima volta.

«Tasya, hai gli occhi lucidi. Stai bene?» chiede preoccupato.

«Ieri è venuto a trovarmi il ragazzo dell'incidente, quello che era alla guida dell'altra auto. Si chiama Zacharias e stavo penso a tutto ciò che mi ha tolto, così mi sono rattristata, scusami» spiego.   

«È stato molto gentile da parte sua venirti a trovare. Cosa ti ha detto?» chiede.
Sbuffo.
Perché deve sempre vedere il lato buono nelle persone?
Non capirebbe mai il mio punto di vista, anzi, non ci proverebbe nemmeno. Non vedrà mai Zacharias come l'uomo che mi ha rovinato la vita, solo un'altra vittima dell'incidente.

«Solo cazzate, ovviamente» borbotto. Immagino il mio migliore amico aggrottare le sopracciglia in modo accusatorio come fa sempre, così alzo gli occhi al cielo e sospiro. «Ha detto che è molto dispiaciuto per ciò che è successo e che farebbe qualsiasi cosa pur di rimediare. Mi ha lasciato il numero per una passeggiata, chiacchierare o pagare le spese mediche e se n'è andato.»

«Non penso si tratti di finte scuse, chi mai si sarebbe offerto di pagare le spese mediche?»

Rimango in silenzio.
Detesto quando ha ragione.

«Mandagli un messaggio» ordina.

Mi volto verso la direzione della sua voce a bocca aperta. «Cosa? No! Perché dovrei?»

«Per ringraziarlo della sua cortesia e per conoscerlo meglio, chiedergli come sta e invitarlo a cena» risponde «Sono sicuro che ai tuoi genitori farà piacere incontrarlo, sei solo tu quella incazzata con il mondo.»

«E cosa ti aspetti? Sono io quella che ha perso la vista nell'incidente, non tu!» sbotto.

Rimaniamo in silenzio, io piena di rimorso e lui, probabilmente, triste.
È sempre stato un ragazzo empatico e accusarlo in questo modo non farà altro che aumentare i suoi sensi di colpa.
Per quanto possa essere snob e infantile, è sempre stato quello che collega il cervello alla bocca prima di parlare. Io, invece, sono molto più impulsiva e senza peli sulla lingua.

«Scusa» sussurro «Non hai nessuna colpa e stai solo cercando di tirarmi su il morale, ma non sono sicura che incontrarlo possa essere la cosa migliore per me in questo momento.»

«Perché no? Sappiamo entrambi che è stato lui a sbandare con l'auto, ma non si sarebbe mai aspettato di uscirne indenne e nemmeno di togliere la vista a qualcuno. Penso che se potesse scambierebbe anche i ruoli, mentre certa gente si sarebbe gettata tutto alle spalle, ignorando te e me. Lui no, e vale più di quanto pensi.»

Sospiro. «Ha detto di averlo lasciato  nella tasca di una giacca. Prova in quella rosa che mi piace tanto e che indossavo alla festa» dico.
Ridacchia. «Quella che ti ho regalato io, ovviamente.»

Lo sento aprire l'armadio e lo sfregiare degli appendini contro la sbarra in ferro, seguito dal palmo della sua mano sui tessuti dei vestiti. «Trovato!» esclama «Allora? Sei sicura di volerlo fare?»

Faccio un respiro profondo. «Componi il numero.»

N/A

Se vedete brutto tempo fuori è perché ho aggiornato due capitoli a pochissimo tempo di distanza.
Praticamente mi andava di scrivere e, avendo questi giorni di vacanza, ne ho approfittato.

Ho finito di scrivere gli schemi della prima parte di storia, quindi primi 30 capitoli e niente, adoro troppo questa storia (nessun morto per ora).

Non avendo nulla da dire, vi faccio una domandina interessante: al posto di Tasya come avreste reagito voi? 

Al prossimo aggiornamento!❤️

Dietro ai miei occhi [Cartaceo disponibile] Where stories live. Discover now