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T A S Y A

Un colpo.
Non ho mai chiesto nulla di tutto questo, mai.
Non ho chiesto di essere una figlia disastrosa, un'amica stronza o una ragazza piena di problemi. Se ne avessi avuto l'opportunità, avrei chiesto una vita semplice: pochi amici, un sorriso sincero stampato in volto e incontrare Zach, Beth e Kol in altre circostanze.
Sarebbe stato tutto molto più semplice.

Un altro colpo.
Non ho mai chiesto di nascere, non ho avuto alcuna scelta.
Vorrei esistesse un contratto da firmare prima di farlo, così da decidere ogni singola parte della tua vita.
Come nascere, dove nascere… Sì, sarebbe fantastico.
Io, ovviamente, avrei chiesto di rimanere nell’ignoto, di non nascere, di rendere la vita degli altri mille volte più semplice.

Un altro colpo.
Tempo fa, quando presi fra le mani una lametta da barba e la avvicinai al mio polso, il freddo metallico contro la pelle mi fece venire i brividi.
Buttai giù il nodo che mi stringeva la gola in una morsa soffocante e assaporai le lacrime che avevano ormai raggiunto le labbra. Il cuore batteva in sincronia con i miei respiri affannati e i miei singhiozzi, quasi a formare una sinfonia della mia sofferenza e della mia paura.
Note amare, tristi, disperate…

Un altro colpo ancora.
Ma il mio dolore sarebbe dovuto rimanere tale. La gente l'avrebbe notato per caso, avrebbe solo visto dei tagli su un braccio, segni rimasti in memoria di lacrime, dolore e sangue versati in un angolo freddo di un bagno, magari sotto un lavandino. Perché avrei dovuto permettere loro di giudicare la mia sofferenza quando io l'avrei affrontata da sola e immersa nel mio stesso sangue?

Un calcio.
No, quella non era la soluzione.
Non volevo mostrare il mio dolore, non volevo farmi del male ulteriormente nonostante tutte le cicatrici che portavo e tenevo nascoste dentro.
Mi presi la testa fra le mani e cacciai un urlo rapido, che danzò fra le mura del bagno come un animale spaventato.

Tiro un calcio al sacco da boxe, che cigola rumorosamente.
Mi fermo per recuperare fiato e le gambe doloranti mi obbligano a sedermi a terra. Getto i guantoni lontani da me, sentendoli rimbalzare come sassi sull'acqua, mentre Calvin prende posto accanto a me. «Continua così e avrai più muscoli di un lottatore di Wrestling» dice, dandomi una pacca sulla spalla. «D'ora in poi avrò paura a stuzzicarti, sia mai che non mi arrivi un cazzotto in faccia.»

Ciò che è successo a Calvin mi ha fatto aprire gli occhi, facendomi realizzare di essere debole e che non sarei mai stata in grado di difendermi da sola. Le cose ora sono diverse, ho tirato fuori gli artigli e non ho più paura di attaccare, anche a costo di alzare le mani. Le scariche che provo quando le nocche incontrano il sacco da boxe mi percorrono come fulmini a ciel sereno, ed è una sensazione tanto piacevole quanto spaventosa.
Avere potere è terrificante, più che non averne.
E poi è anche un buon antistress.

«Qualcosa non va, non è vero?» chiede Calvin, spingendomi la testa con un dito. «È da quando sei arrivata che ti comporti in modo strano. Sei più nervosa del solito.»

Faccio spallucce. «Non ne voglio parlare.»

«Cosa? Questo è alto tradimento!» esclama. Lo immagino portarsi una mano al cuore come ai vecchi tempi, ma ottengo solo un'ondata di malinconia. Mi manca poterlo vedere… «So tutto di te dal giorno in cui ci siamo incontrati. Quando sei uscita con la tua prima cotta, quando ti si è rotta l'unghia in campeggio ed ero con te anche quando sei caduta in un cespuglio pieno di insetti e siamo dovuti correre in pronto soccorso per i numerosi morsi. E ora osi dirmi che non vuoi parlarne? A me

«Va bene, va bene! Te lo dirò» sbuffo. «Quanto sei drammatico.»

«Grazie, lo so» ribatte.

Dietro ai miei occhi [Cartaceo disponibile] Where stories live. Discover now