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T A S Y A

Rimango in ascolto del silenzio per qualche secondo prima di alzarmi dal letto. Mi vengono i brividi non appena i piedi scalzi incontrano il freddo del pavimento, costringendomi a ranicchiarmi nella camicia da notte.
Tocco lo schermo del cellulare lasciato sul comodino, chiedendo all'assistente vocale di dirmi l'ora: l'una e mezza.

Gli altri erano troppo stanchi per aspettare la mezzanotte e sentire il nuovo desiderio, così mi hanno dato la buonanotte e mi hanno lasciata nella mia stanza, dove non ho fatto altro che pensare e torturarmi le mani. Ho detto di essere pronta, ma non ne sono ancora convinta.
In ogni caso, non ho altra scelta.

Esco dalla mia camera e raggiungo il salotto. Quando Kol ha descritto la casa, per fortuna non ha tralasciato il pc sulla scrivania nell'angolo della stanza. Mi siedo sulla sedia girevole e passo i polpastrelli sui tasti, di cui ormai so a memoria la posizione. Non è stato difficile impararlo dal punto di vista pratico, ma psicologicamente non volevo accettare di doverlo fare solo perché ero diventata cieca.

Ho passato quasi un mese in cerca delle parole giuste, quelle che non li faranno sentire colpevoli e che li spingeranno ad andare avanti. Devo ammettere di essere spaventata, ho paura del dopo, di ciò che non potrò vedere. Non sarò con loro ad affrontarlo, non potrò consolarli o vedere le loro reazioni.
Ho paura non riescano a superare il lutto, ma anche che lo facciano con troppa facilità, come se non fossi mai esistita, come se non fossi mai stata importante per loro.

Faccio un respiro profondo e collego il cavo della stampante al computer. Non appena si accende, sono sicura ci sia un foglio elettronico bianco e aperto: prima di andare a dormire, ho chiesto a Kol di prepararne uno per scrivere qualcosa ai miei genitori il giorno dopo. Non ha fatto domande, anche perché poi sono andata a dormire, o almeno così gli ho fatto credere.
Mi ha ferita ingannarlo in questo modo, coinvolgerlo indirettamente nella mia fine, ma non ho avuto scelta.

Schiaccio il primo tasto, con una lacrima che mi riga il volto:

Cara Annabeth,

non so perché io abbia deciso di cominciare da te, forse perché sei stata la prima a comprendermi nonostante fossimo nemiche.
Te lo ricordi quel giorno in Australia?
Mio zio mi aveva appena messa a conoscenza della sua relazione con Alice e tu avevi subito capito che non l'avevo presa nel migliore dei modi. Mi hai accompagnata in camera e mi hai chiesto cosa avessi. Ti diedi solo mezza risposta, infatti non ti dissi una bugia, e tu mi proponesti un abbraccio. Rifiutai, ma ero comunque sorpresa: ti detestavo ed ero convinta che anche tu mi odiassi, eppure ti eri interessata a me.
Devo ammetterlo: mi hai presa alla sprovvista.

Le amicizie con le altre ragazze mi hanno sempre spaventata, soprattutto perché noi femmine tendiamo a giudicare ed essere cattive. Non tutte, ovviamente, ma le mie esperienze passate non aiutano.
Sei stata la mia prima amica e con te ho condiviso un'infinità di momenti. Come quel giorno al centro commerciale, quando Zach mi convinse ad uscire con te affermando che sarebbe potuta nascere una fantastica amicizia. Non aveva tutti i torti, alla fine. Ti sei aperta con me, mi hai dimostrato di avere un lato vulnerabile, ma soprattutto di essere ingenua. Nulla ti aveva ancora fatto capire che io fossi una persona affidabile, ma hai deciso di confidarti in ogni caso.
Avevi per caso visto qualcosa in me?
Non saprò mai la risposta, ma penso di doverti ringraziare.

Sono fiera di te. Il trauma che hai vissuto è mille volte peggiore del mio, eppure ti sei dimostrata una persona estremamente forte affrontandolo e sconfiggendolo.
È da quando me l'hai detto che mi domando come tu abbia fatto, perché io non ne sono stata capace e sono senza speranze. Sono a un passo dal compiere l'unica decisione irreparabile nella vita, ma non è poi così spaventoso.
Posso già assaporare la quiete a cui bramo.

Dietro ai miei occhi [Cartaceo disponibile] Where stories live. Discover now