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T A S Y A

La maggior parte delle volte compiamo azioni senza nemmeno pensare alle conseguenze e facciamo ciò che riteniamo più giusto per noi e per la nostra felicità.
Altre, invece, prendiamo decisioni per il bene degli altri, senza prendere in considerazione cosa vogliono veramente.
In un certo senso lo facciamo sempre per noi stessi, ma nascondiamo i sensi di colpa affermando che lo stiamo facendo per loro.

Un po' com'è successo fra me e Kol: l'ho lasciato andare senza nemmeno dargli una spiegazione, convinta che non avendomi attorno sarebbe stato meglio.
Forse, in questo momento, è quello che sta soffrendo di più fra i due, quello che si starà chiedendo dove ha sbagliato e che è rimasto senza alcuna risposta.

Tempo fa non sapevo cosa significasse essere innamorati e me lo sono fatta spiegare da Zacharias, credendo di ottenere una risposta una volta per tutte.
Ma ora ho capito che finché non lo provi sulla tua pelle, non lo puoi sapere.
Non sarà mai come lo leggi nelle storie o come te lo raccontano gli altri, ma una cosa è sicura: l'amore è dolore.

L'amore uccide.
È capace di spezzarti il cuore, di farti provare un dolore che sembra non finisca più.
Ti porta all'autodistruzione, ti fa male e ti toglie il fiato.
Se amare è dolore, non voglio vivere soffrendo.

Sento la porta aprirsi. «Tasya,» mi richiama mia madre, con voce pacata. Usa questo tono quando deve fare bella figura con gli altri, dimostrandosi gentile, divertente e disponibile «hai visite.»

«Ciao.» La voce di Kol fa fare qualche capriola al mio cuore. Sento diverse emozioni dentro di me: nervosismo, felicità, ansia, odio. Qualche volta mi sento il loro teatrino, un semplice corpo del quale fanno ciò che vogliono. Non sono io a decidere il mio destino, sono loro. È come se non fossi... io.

«Vi lascio da soli» dice mia madre, prima di chiudere la porta.

Mentre si siede accanto a me, passo nervosamente le mani sulla canottiera bianca che indosso.
Devo essere in condizioni pietose, con i capelli raccolti in una crocchia disordinata, tutta sudata, con addosso i pantaloncini a righe di mio padre e struccata, ma qualcosa mi dice che Kol non è qui per ammirarmi e che forse non mi starà degnando nemmeno di un'occhiata.

Gli unici rumori che sento sono quelli dei nostri respiri e del televisore in salotto, con il volume al massimo.
Mia madre probabilmente sarà dietro la porta, nascosta e con le orecchie tese a captare qualsiasi rumore che potrebbe risultarle ambiguo. Io, invece, sto qua a scervellarmi per prendere una decisione: dire la verità o meno?

Solitamente si dice che essere sinceri e mostrare la vera te, "uscendo alla luce del sole", sia la soluzione: ma avete mai notato che più ci si avvicina al sole, più grande diventa la nostra ombra?

«Non sono qui per incolparti, ma per parlare» dice. È la prima volta che lo sento così fragile e mi sto sforzando con tutta me stessa per non accarezzargli il viso e dargli un po' di conforto. Devo allontanarlo, non rendere questo addio ancora più difficile. «Zach mi ha parlato della tua depressione. Non arrabbiarti con lui, non sarei nemmeno qui se non mi avesse informato.»

«Quindi sei qui solo perché sai che sono depressa? Altrimenti non l'avresti fatto? Non ti sarebbe importato?» chiedo, forse con tono troppo duro.

«Sono qui per impedirti di distruggerti.»

Sento gli occhi pizzicare e tento in tutti i modi di ricacciare indietro le lacrime. Strofino le guance bagnate ripetutamente con i palmi delle mie mani, sentendo la pelle bruciare e venir graffiata dalle mie unghie. Non piangere. I miei polsi vengono bloccati da Kol, che mi invita silenziosamente a smetterla. «Perché?» sussurro.

Dietro ai miei occhi [Cartaceo disponibile] Where stories live. Discover now