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T A S Y A

Sono passati due mesi da quando ho perso tutta la fiducia rimasta nei confronti del genere umano.

Esattamente cinquantasette giorni fa ho perso tutto e mi sono avvolta in una bolla di negatività e solitudine.
Ho pianto tutte le lacrime che avrei potuto versare, ho percepito il mio cuore implorarmi di lasciarlo scoppiare per il troppo dolore provato.
Non sentivo nulla, solo disgusto nei confronti di noi esseri umani. Ci definiamo la specie superiore quando tutto ciò che facciamo è comportarci come esemplari senza cervello, e di questo passo non faremo altro che giungere alla nostra estinzione.

Le cose non cambieranno mai, viviamo tutti in un circolo senza fine che si ripete e ripete nel corso degli anni.
Nonostante i buoni propositi, noi uomini siamo nati per distruggere e il mondo cadrà per mano dell'odio che ci impegniamo a spargere ovunque. Abbiamo creato la guerra, le armi e la discriminazione.
Fin dove ci spingeremo di questo passo?

Non appena apro la porta della mia stanza vengo investita da un’ondata di profumo, proveniente dalle numerose candele che immagino decorare la mia stanza come stelle in un cielo notturno.
Mi stendo sul mio letto accanto al mio migliore amico, che mi circonda le spalle con un braccio e mi stringe a sé per abbracciarmi. Anche per lui le cose sono cambiate, soprattutto dopo ciò che è accaduto con il padre.

La prima volta che mi hanno lasciata entrare nella sua stanza d'ospedale, sono scoppiata in lacrime: il suo corpo, al tatto, era ricoperto da ematomi e bende, mentre il suo volto risultava quasi irriconoscibile.
Ero terrorizzata e le voci delle infermiere sembravano solo bisbigli remoti e inudibili. «Sopravviverà» dicevano, cercando di tranquillizzarmi. «È un vero miracolo, Calvin è un ragazzo davvero forte e dovreste essere fieri di lui.»

Si è trasferito da me non appena gli è stato possibile uscire dall'ospedale, soprattutto non avendo più l'appoggio di entrambi i genitori.
Il padre si trova ancora in prigione dopo che gli è stata vietata la cauzione e a breve avverrà il processo, mentre la madre non si è più fatta viva da quel giorno.
Tutto ciò che ha lasciato è stato un biglietto, in cui spiegava le ragioni per le quali doveva prendere un momento per se stessa e per riflettere. Non sa come gestire la cosa e non vuole più avere a che fare con il marito. Si è definita abbandonata a se stessa quando quella ad aver abbandonato il figlio è stata proprio lei.

E quindi siamo rimasti solo io e lui.

«Hai scritto a Zacharias e Annabeth?» chiede, accarezzandomi la schiena.

«No» rispondo.

Cinquantadue giorni fa, invece, ho chiuso i rapporti con Zach e Beth. Non ho più risposto ai loro messaggi o alle loro chiamate, quando venivano a trovarmi chiedevo ai miei genitori di dir loro che non ero in casa e giorno dopo giorno si sono fatti sempre più assenti.
Forse hanno capito di dovermi lasciare i miei spazi, o forse si sono stufati di corrermi dietro e hanno deciso di andare avanti con le loro vite, un po’ come ho fatto io.
Quel giorno, in ospedale, ho capito che mi ero ritrovata a un passo dal perdere la persona più importante per me e in parte ero colpevole. Così ho deciso di concentrarmi solo su di lui, dedicando ogni momento libero alla sua sicurezza e salute, aiutandolo a superare i numerosi traumi subiti.

Il giorno seguente a quello in cui ho chiuso i rapporti con loro, ho fatto lo stesso con Kol. È stato involontario, siamo semplicemente scoppiati a litigare e ho detto cose che in realtà non pensavo. Gli ho urlato contro di non voler più avere a che fare con lui e di lasciarmi in pace e così lui ha fatto, dicendo di voler rispettare la mia scelta e di lasciarmi i miei spazi, continuando ad aspettarmi.

Dietro ai miei occhi [Cartaceo disponibile] Where stories live. Discover now