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T A S Y A

«Cosa ti ha portata qui?» chiede Annabeth, passandomi una tazza di tè ai mirtilli. Il vapore mi scalda il viso, aggiungendosi al tepore accogliente della casa dei suoi nonni. Non è stato facile trovarla, ma grazie a Kol e qualche ricerca sono finalmente riuscita a scovare il suo "nascondiglio". Lei non voleva venire da me? Allora ci sono andata io. Sapevamo entrambe che, in un modo o nell'altro, ci saremmo ritrovate a questo punto e non ho intenzione di andarmene senza le risposte che voglio. «È stato Zach a chiederti di venire da me?»

Nego con il capo.

«Puoi dirmelo, Tasya, ma ti avviso già: non cambierò idea, non importa cosa tu sia venuta a dirmi» risponde.

«Annabeth,» dico, «sono qui per te. Non mi ha mandata Zach e non mi ha mandata Kol. Sono qui perché sono preoccupata per te. Voglio parlare con te e capire cos'hai che non va.»

Solitamente, quando una storia finisce, si pensa che a soffrire di più sia chi viene lasciato. Nessuno accetta la realtà, ovvero che il dolore viene condiviso da entrambi le parti, perché i sentimenti li hanno provati tutti e due.
Una storia durata anni non è facile da chiudere, ci vuole coraggio e, soprattutto, una valida ragione.
Nessuno sa quella di Annabeth e io sono qui proprio per scoprirlo.

La sento sospirare. «Ho sentito il tuo discorso l'altro giorno. Sei stata magnifica, complimenti» dice, strofinando le mani l'una contro l'altra nervosamente. «È un peccato tu non abbia vinto.»

Cerchi di cambiare argomento, Beth? Non funziona con me. «Cos'è successo?» insisto «Perché ci stai evitando? Perché non vuoi darci spiegazioni?»

«Non lo amo più, Tasya. Mi sono resa conto di non provare più i sentimenti di una volta e volevo dare una svolta alla mia vita, tutto qui.»

«Per questo hai deciso di riprendere la terapia?» ribatto. Lei rimane in silenzio. «Già, Zach mi ha riferito ciò che vi siete detti durante la sagra.»

«Perché sei qui?»

«Ho notato fin da subito che c'è qualcosa che non va in te, anche quando ancora non ti rivolgevo la parola. Nella tua solarità sei schiva, ti comporti in modo strano, ma soprattutto eviti di parlare del tuo passato» dico, poggiando la tazza di tè sul tavolino. «So che nascondi qualcosa.»

Annabeth rimane in silenzio. I suoi respiri si fanno sempre più rapidi e si muove sul divano come se non riuscisse a trovare una posizione comoda. Sospira e la sento passarsi le mani sul viso. «Okay» mormora «Ti ricordi quella volta in cui ti ho insegnato a cucinare? Eri riuscita a sfornare un perfetto pollo al curry mentre parlavamo dei nostri momenti più imbarazzanti.»

«Sì, ma cosa c'entra?» domando.

«Vi parlai di mia madre e non è una cosa che faccio spesso. Era la persona a cui volevo più bene ed era dolce, bella e divertente. La adoravo. Poi è morta. Avevo dieci anni. Non penso ci sia un modo adatto di elaborare il lutto a quell'età, ma quando mi trasferii dai miei nonni in Canada e mi fecero iniziare la terapia, non hai idea di quanto sia stata meglio.»

«Mi dispiace tanto, Beth.»

«Mio padre, d'altro canto, era la persona peggiore al mondo. Era un mostro. Tornava spesso a casa ubriaco, urlava, si arrabbiava e il giorno dopo si comportava come se non fosse accaduto nulla. Davanti agli altri era un uomo delizioso e pacato, in casa si trasformava nel peggior incubo di ogni bambino. Almeno avevo la mia mamma, che mi rassicurava sempre raccontandomi qualche storia» dice, con la voce incrinata. «Quando la uccise davanti ai miei occhi, credevo sarei morta anche io. Ero pronta, ma sono riuscita a salvarmi grazie ai vicini che chiamarono la polizia non appena iniziarono a sentire le urla di mio padre. Vivevamo in un condominio dove nessuno sapeva farsi gli affari suoi e questa è stata, in qualche modo, la mia salvezza.»

Dietro ai miei occhi [Cartaceo disponibile] Where stories live. Discover now