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Z A C H A R I A S 

Quando ieri ho ricevuto una chiamata da parte di un numero sconosciuto, non mi sarei mai aspettato di sentire la voce di Tasya. L'ho riconosciuta subito - nonostante le uniche parole che abbia mai sentito da parte sua fossero uno stupidissimo proverbio - e mi sono appartato per sentire ciò che aveva da dirmi.
Era insieme ad un suo amico, Calvin, l'altro ragazzo coinvolto nell'incidente, e insieme avevano preso una decisione: invitarmi a cena da lei. 

Così ora mi ritrovo davanti alla porta di casa sua, affiancato da Beth e con la cravatta che non ha intenzione di sistemarsi in modo decente.
Sbuffo e la sfilo dal colletto, guardandola torva: come può andarmi tutto storto proprio oggi?

«Lascia fare a me» dice Annabeth, togliendomela dalle mani.
Non appena le ho raccontato della chiamata, si è subito offerta di accompagnarmi e darmi supporto morale. All'inizio non ne ero molto convinto, volevo fare qualcosa da solo, ma non ho avuto il coraggio di controbattere perché, altrimenti, si sarebbe offesa.  
Ora ringrazio questa mia decisione, poiché solo lei riesce a tranquillizzarmi abbastanza da poter ignorare lo stomaco attorcigliato e il cuore in gola.

Non appena finisce di sistemarmi la cravatta, suona il campanello.
Sentiamo dei passi avvicinarsi e una voce femminile sempre più vicina, finché una donna alta e robusta non ci apre la porta. «Ciao, tu devi essere Zacharias! E tu sei...?» chiede, rivolgendosi a Beth.

Per quanto possa essere diversa dalla figlia, i lineamenti dolci del viso e il colore dei capelli sono gli stessi. La chioma castana è raccolta in una crocchia alta, mentre gli occhi verdi sono valorizzati da una linea di matita blu. 
Viene affiancata da quello che deve essere suo marito e padre di Tasya, un uomo snello, dallo sguardo severo e i capelli grigi. La forma allungata del viso deve averla presa da lui, così come la corporatura.

«Annabeth, piacere di conoscerla.»

Ci fanno accomodare in salotto, dove un servizio da tè in ceramica, probabilmente coordinato alla serie di vasi sopra al camino, è disposto su un tavolino in vetro. Attorno ad esso ci sono i divani sistemati al centro della stanza, mentre una serie di librerie sono disposte alle pareti opposte alle finestre, coperte da delle tende bianche.

«Scegliete pure il gusto che più vi aggrada» dice la donna, accennando con il capo ad una confezione con bustine di tè di vario tipo. «Io sono Teresa, mentre lui è mio marito, Bob.»    
Mi guardo attorno, confuso. «Dov'è Tasya?» chiedo, dando voce ai miei pensieri. 

Teresa si porta una mano al cuore, con espressione triste. «Mi dispiace veramente molto informarvi di questa cosa, ma non penso che si unirà a noi per mangiare. Oggi è una giornata no per nostra figlia» spiega.

«Cosa intende?» domanda Beth.

«Dammi del tu, prima di tutto. In ogni caso stiamo parlando della vita di Tasya, che ormai si divide in giornate e giornate no. Queste ultime sono caratterizzate da continui sbalzi d'umore, che non sono mai positivi. Passa tutto il tempo rintanata sotto le coperte in silenzio, senza nemmeno piangere. Sta semplicemente zitta, mangia poco e si alza solo per andare in bagno» risponde.

Abbasso lo sguardo, sentendomi improvvisamente colpevole.
Pensavo di aver superato questa fase, quella dei sensi di colpa e delle notti insonni, ma a quanto pare non è così: per quanto Tasya possa perdonarmi, io non riuscirò mai a farlo: resterò sempre il colpevole nella mia testa.

Teresa si accorge della mia reazione, infatti si affretta a continuare il suo racconto. «Ci sono anche le giornate positive, come già detto, e sono molto più frequenti di quelle negative. Si tratta della solita Tasya, quella con la quale vivevamo prima dell'incidente: positiva, impertinente e chiacchierona. Un vero peccato che questa sera non abbiate avuto modo di conoscerla.»

Dietro ai miei occhi [Cartaceo disponibile] Where stories live. Discover now