3.6

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T A S Y A

Credevo che udire la sua voce avrebbe finalmente smosso in me qualcosa, ma non è stato così.
Nemmeno il suo tono freddo e distaccato, quasi accusatorio, mi fa sentire i sensi di colpa che provavo fino qualche giorno fa.
Non sento nulla: né dolore, né sofferenza, né ansia.
Un vuoto e pesante niente.

Qualche volta, quando ero ancora felice, mi domandavo se il niente fosse un emozione sperimentabile sulla propria pelle.
Se è il nulla non dovresti sentirlo, giusto? Dovrebbe essere un sentimento invisibile e che non sai di avere, ma che allo stesso tempo ti impedisce di provare qualcosa.
E ora, a distanza di anni, ho trovato una risposta: è come se al posto della gabbia toracica avessi una bolla vuota, dove non c'è niente. Ma la percepisco ogni secondo: che sia appena sveglia, che stia mangiando, che sia con i miei amici... Non è per davvero niente, ma lo definiamo così.

«Vi lascio da soli» dice Zacharias.

Lo sento allontanarsi e sospiro, con i nervi a fior di pelle.
Non potevo continuare a godermi la serata come ho fatto fin'ora? Doveva per forza presentarsi Kol e rovinare tutto? «Non mi interessa cos'hai da dire» dico, passando una mano fra i capelli. «Perciò concludiamo questa conversazione il prima possibile, che dici?»

Una risata aspra. «È tutto ciò che hai da dire?» chiede, con tono alterato. «Cosa ti è successo, Tasya? Perché tratti così la gente che ti è sempre stata accanto e che ti ha voluto bene? Sei piena di odio e parole cattive. Sei irriconoscibile.»

«La vita mi ha resa così» ribatto.

Veleno, veleno e veleno.
La gente non ha fatto altro che sputarmi veleno addosso nel corso degli anni e mi hanno resa una ragazza fredda, impassibile e con poca fiducia negli altri. Ma ora è il mio momento, ora posso vendicarmi e far capire agli altri cos'ho provato io.
Lo sto facendo con le persone sbagliate? Forse.
Mi interessa? No.

«Non cominciamo con un litigio, non quando ho un sacco di cose da dirti» spiega, con tono già più rilassato. Percepisco dalle vibrazioni della voce che sta cercando di mantenere la calma, che sta cercando di non rovinare il momento. Mi fa quasi tenerezza: pensa di poter ancora aggiustare le cose. «In questi due mesi ho pensato molto a ciò che mi hai detto l'ultima volta che ci siamo parlati e...»

«Hai fatto male» lo interrompo. «Non avresti dovuto. Ormai è acqua passata, non c'è nulla di cui discutere.»

Un'altra risatina. «Ti ho letteralmente lasciato i tuoi spazi come mi avevi chiesto, mi sono fatto da parte e ho aspettato ogni giorno un tuo messaggio. Pensi veramente che io ti abbia superata?»

Faccio spallucce. «Quella di accontentarmi è stata una tua scelta, Kol. Ora impara a conviverci.»

Cala il silenzio.
Lui non sa cosa dire, io forse ho parlato troppo. Mi passo le mani sul volto, incurante del trucco e del fatto che potrebbe sbavarsi.
Non voglio farlo soffrire, ma non voglio nemmeno parlargli.

«Cosa ti ho fatto di male?» chiede, con voce spezzata.

«È colpa tua!» sbotto, non riuscendo più a trattenermi. «È colpa tua se non riesco più a guardarti in faccia, se non ti parlo più! Avresti dovuto rinunciare a me quella sera, non ti saresti dovuto presentare a casa mia promettendomi che non mi avresti mai abbandonata. Sì, io ti ho cacciato, ma tu hai fatto qualcosa per mantenere la tua promessa?»

«Me lo avresti permesso?» chiede in risposta.

«Se tu non ti fossi presentato quella sera io sarei stata con Calvin. Con il mio migliore amico, che aveva bisogno di me. Non sarebbe accaduto nulla a lui e tantomeno a me! Ora sarei felice, forse non sarei peggiorata e starei vivendo la vita normale a cui aspiravo» continuo, ignorando la sua domanda.

«Non puoi incolparmi di tutto questo!» ribatte, furioso. «Non potevo prevedere cosa sarebbe accaduto e nemmeno tu! Magari non ti saresti presentata comunque a casa sua, sarebbe successo tutto in ogni caso con l'unica differenza che tu avresti dovuto affrontarlo da sola e senza nessuno al tuo fianco giorno e notte.»

Sento le lacrime rigarmi il viso.
Vorrei smetterla di piangere, di mostrarmi così debole e fragile ai suoi occhi, ma non riesco. Passo le mani sulle guance sperando di eliminare ogni traccia di tristezza e vorrei implorare Kol chiedendogli di smetterla di parlare, ma lui continua. «Sei stata tu a chiedermi di restare con te quella notte» dice, con voce spezzata dal pianto. «Sei stata tu a ringraziarmi perché non ho rinunciato a te.»

«Ti prego, basta...» sussurro.

«Mi devi un ballo, ricordi? Quella sera mi hai promesso un ballo» insiste e percepisco il suo corpo farsi sempre più vicino. Vorrei gettarmi fra le sue braccia, affondare il viso nella camicia in cui lo immagino ed inspirare a pieni polmoni il suo profumo.

No, non posso.

«Quella era la vecchia Tasya» mormoro, indietreggiando di qualche passo. «Quella nuova vede il mondo com'è realmente. Un luogo marcio, pieno d'odio, ingiustizie e senza speranza, che merita di bruciare ed essere ridotto in polvere. Quella vecchia credeva si sarebbe potuta salvare e che saresti stato tu a farlo. Ora non più. Ho capito che non c'è nessuno, tantomeno me stessa, in grado di salvarmi. Mi sono rassegnata, Kol. Non credo più nell'amore o nell'amicizia, nei desideri... Mi accontento di vivere silenziosamente continuando a gridare dentro.»

«Posso aiutarti, devi solo permettermelo» mormora, azzerando la distanza fra i nostri corpi.

«Ti prego, smettila» sussurro, singhiozzando.

«Permettimi di aiutarti» insiste, accarezzando con il pollice i miei zigomi. Mi lascia un bacio sulla guancia, per asciugarmi le lacrime. «Un'opportunità. Se poi non mi vorrai, io me ne andrò.»

«No, Kol. Perché io non ti voglio nella mia vita» affermo.

Pronunciare delle parole non mi ha mai fatto così male. Kol indietreggia come se gli avessi tirato un pugno in faccia. So di averlo ferito, so che non mi guarderà più in faccia e che ho letteralmente distrutto ciò che avevamo.

«Tasya!» Calvin si ferma al mio fianco e mi lascia un bacio sulla tempia, ignaro di aver interrotto uno dei momenti peggiori mai provati. «Kol! Da quanto tempo sei qua? Non ti avevo visto prima, come stai?»

«Scusa, Calvin, ma me ne stavo giusto andando» dice, con un tono talmente freddo da farmi venire i brividi. «Ci sentiamo.»

Lo sento allontanarsi, aumentando il vuoto che sento nel petto.
Ho rovinato tutto, ma forse è stata la cosa più giusta da fare. Asciugo le lacrime con la consapevolezza di avere tutto il mascara colato, ma mi volto comunque verso Calvin con un finto sorriso. «Ti stai divertendo?» chiedo.

«Sì, ma ora voglio un ballo insieme alla donna della mia vita» dice, trascinandomi in pista.

Questo ballo era riservato a Kol.

Mentre balliamo lo stringo forte in un abbraccio, ricacciando indietro le lacrime e cullandomi fra le sue braccia. Mi godo questo piccolo momento di tranquillità, pensando a quanto sia fortunata ad avere qualcuno come lui al mio fianco. «Ho paura, Tasya» dice all'improvviso. «Il processo mi spaventa. E se lo scagionassero? Se tornasse a piede libero per la città? Se tornasse a casa?»

Il padre di Calvin rischia al massimo sette anni di prigione avendo causato lesioni gravi e messo una persona in pericolo di vita, per giunta minorenne e di famiglia.
Oltre ad essere accusato di violenza domestica, per la città si sono sparsi i primi mormorii che l'accusavano di omofobia. Eppure c'è ancora gente che lo difende a spada tratta.

«Non succederà» lo rassicuro. «Te lo prometto. Mi occuperò io di tutto.»

Chiudo gli occhi: diamo via al desiderio numero sette.

N/A

Ciao people!

Non ho nulla da dire, di nuovo, perciò evito di scrivere papiri immensi e inutili, lol.

Domandina del capitolo: siete dalla parte di Kol o di Tasya?

Al prossimo capitolo!❤️

Dietro ai miei occhi [Cartaceo disponibile] Where stories live. Discover now