21.

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«Eccoci qua, l'Italia» Paulo allarga le braccia, mettendo in bella vista il tatuaggio a fasce che tanto mi piace. Se in Argentina c'erano dieci gradi, qui ce ne sono almeno trentacinque e l'umidità è insopportabilmente alta, il che ci ha portato a toglierci le felpe e restare in maniche corte, anche se fa ancora troppo caldo.

«Portami a dormire, ti prego, l'Italia la guarderò dopo» mi lamento, stropicciandomi gli occhi. Le ore di volo sono state devastanti e il resto è stato fatto tutto dal jet lag.

«Agli ordini, niña» ride della mia espressione stanca e si avvia verso una Jeep nera, aprendo la portiera posteriore.

«Mia signora» allunga scherzosamente il braccio verso di me e mi fa salire, per poi sedersi dall'altra parte.

«Allora, Jazmín, lui è Nahuel e lui è Federico, ragazzi, lei è Jazmín» ci presenta velocemente, e neanche il tempo di stringerci le mani che siamo già per le vie di Torino, verso casa di Paulo.

L'aria condizionata accesa lenisce il caldo bestiale, ma la musica estiva mi ricorda che qui non è inverno, come in Argentina. I tre ragazzi conoscono praticamente tutte le canzoni che stanno passando in radio, per la maggior parte italiane, e mi sento a disagio a non poter canticchiare con loro.

«Jazmín» la voce di uno dei due amici di Paulo mi sveglia dal torpore, facendomi sbattere le ciglia freneticamente per cercare di capire dove sono.

«Siamo arrivati» mi informa, sorridendo teneramente quando mi stropiccio gli occhi di nuovo, osservando l'argentino che viene svegliato dall'altro suo amico.

«Dai, saliamo, dormirete meglio in un letto» mi rassicurano, facendomi scendere dalla macchina in un garage buio ma abbastanza fresco.

Paulo mi affianca, mi prende la mano e la stringe alla sua, camminando di fianco a me in un silenzio religioso.

L'ascensore ci mette poco ad arrivare e nessuno ora proferire parola nemmeno lì. I due amici di Paulo si scambiano delle occhiate, probabilmente riferendosi alle nostre mani intrecciate, ma non dicono nulla riguardo.

«Bene, noi ci fermiamo qui, se avete bisogno di qualcosa chiamate» ci fa sapere Nahuel, salutandoci al pianerottolo. Io gli faccio un cenno con la mano e Paulo mi imita: siamo entrambi troppo stanchi per poter fare altro.

«Muoviti, voglio andare a dormire» mi lamento, mentre lui cerca le chiavi di casa nello zaino che si è portato dietro.

«Quanto sei impaziente» finalmente, le tira fuori e le inserisce velocemente nella toppa, facendole girare in modo da farmi entrare nel suo soggiorno quasi immediatamente.

«Casa dolce casa» sospira, appoggiando le chiavi al mobiletto mentre io strabuzzo gli occhi alla vista del suo appartamento.

«Perché hai quell'espressione sconvolta?» chiede, ridacchiando, lasciandosi tranquillamente cadere sul divano.

«Un soprammobile qui costa come tutto il mio armadio» sospiro, osservando le foto incorniciate ad una ad una e sorridendo quando ne trovo una di lui con Lautaro.

«Non ho ancora avuto il coraggio di toglierla» mi affianca, probabilmente pensando che io mi stia riferendo alla fotografia che ha con la sua ex ragazza, posizionata esattamente a destra di quella che stavo osservando io.

«Hai fatto bene, secondo me, certe cose le superi ma non le dimentichi» gli faccio notare, soffiando via la polvere da quella cornice.

«Dovevi proprio volerle bene per non pulire questa fotografia da mesi» ridacchia, grattandosi la nuca.

«Ti mostro la stanza degli ospiti?» chiede, cambiando radicalmente argomento. Annuisco, trascinando il mio trolley con me mentre lo seguo in corridoio.

«Ecco, metti giù le tue cose, andiamo a fare un giro» scuoto la testa vigorosamente. Non se ne parla neanche.

«Paulo, rischio di addormentarmi in piedi» lo avviso, cercando di sistemarmi i capelli informi in testa.

«Non essere così drammatica» mi spinge via dallo specchio, sistemando il suo ciuffo che è già perfetto così «Hai dormito in macchina, in aeroporto, in aereo e poi di nuovo in macchina, hai ancora?»

«Mai sentito parlare di jet lag?» lo seguo in salotto, arrendendomi sul fatto di seguirlo per le vie di Torino.

«Sono molto più abituato a sopportare queste cose rispetto a te, fidati» apre la porta d'ingresso, facendomi passare per prima.

«Sarà» sospiro, cominciando a scendere le scale.

«Dove vai a piedi? C'è l'ascensore» mi fermo sui miei passi, girando i tacchi verso Paulo che mi guarda con un sopracciglio inarcato.

«Tu mi stai dicendo che ti alleni ogni giorno almeno tre ore e non fai mai le scale per uscire di casa? Andiamo, vivi al terzo piano» ricomincio la mia discesa, senza badare a Paulo, che in realtà mi sta seguendo.

«Ma tu non stavi dormendo in piedi fino a due minuti fa?» si lamenta, affiancandomi per le scale. Io scuoto la testa, ridacchiando.

«Lo faccio per il gelato che mi offrirai in quella gelateria di cui mi hai sempre parlato» gli faccio l'occhiolino e lui scoppia a ridere. Il suono cristallino della sua risata rimbomba per la tromba delle scale, facendo un po' sorridere anche me.

«Come vuoi, niña» mi prende per il fianco, avvicinandomi, e mi da un bacio sulla guancia, tenendomi stretta a sé.

«I tuoi amici sembravano quasi straniti dal fatto che ci tenessimo per mano» gli faccio notare, cercando di allontanarmi un po'. Tutta questa vicinanza improvvisa mi mette un po' in soggezione e non ne sono abituata.

«Non ho molte amiche femmine, e ne porto anche di meno a casa. Se mi vedono con una ragazza pensano subito che me la porti a letto e, non credo che tu sappia come funzionano queste cose, però le persone che scopano e basta di solito non si tengono per mano» mi spiega, aprendo la porta d'ingresso e facendomi cenno di uscire per prima. Lo assecondo, aspettandolo a qualche metro dall'uscita.

«Wow, questa sì che è una perla di saggezza» lui alza gli occhi al cielo ma un sorriso spontaneo si disegna sul suo volto, mentre si infila gli occhiali da sole.

«Tu sei esperta nelle materie scientifiche, io in queste cose, non credo che ti aspettassi una risposta tanto più ricercata» scrollo le spalle, osservando il cielo azzurrissimo mentre lo seguo distrattamente.

«E allora perché mi prendi per mano? Perché mi abbracci, ti ostini a tenermi sempre vicina, a dormire con me?» gli chiedo, alzando un sopracciglio. Lui mi guarda, e i suoi occhi chiari si vedono a malapena attraverso quegli occhiali così scuri.

«Per me sei importante, te l'ho detto già altre volte. So che stai male per Lautaro, anche se lo nascondi, e pensavo anche che sei stata male in passato, e l'anello che porti è solo una conferma dei miei sospetti. Sono più grande di te e apparteniamo a due mondi completamente diversi, da quando ti ho vista guardare mio nipote in quel modo così puro e sinceramente innamorato ho capito che ti avrei dovuto prendere sotto la mia ala e proteggerti. Non voglio che niente di brutto ti accada, sei un'amica e una confidente per me» mi sorride teneramente, allargando le braccia e abbracciandomi, appoggiando il mento sulla mia testa e accarezzandomi la schiena.

«Però adesso basta carinerie, siamo a Torino per allontanarci un po' dalla routine e non finiamo di parlare di Lautaro. Gelato?» alzo gli occhi e incrocio il suo sguardo. Sorrido leggermente.

«Gelato»

lollissimo

devo studiare fisica e non ne ho voglia.
commentate qualcosa di stupido e che mi tiri almeno un po' su il morale

qui

ciaone💓💓

¡Mala Mía!paulo dybalaWhere stories live. Discover now