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«Freddo?» chiedo a Paulo, mettendo le mani in tasca mentre lui viene verso di me e Nahuel nel parcheggio gremito di fotografi.

«Mi hanno preso tutti per il culo nello spogliatoio, non rigirare il coltello nella piaga» appoggia il borsone per terra, vicino ai miei piedi, e si avvicina per baciarmi, ma io mi sposto.

Sento le sue labbra sottili e un po' screpolate fare pressione sulla mia guancia e scuoto la testa quando incontro il suo sguardo confuso.

«Andiamo?» Nahuel interrompe il momento imbarazzante mentre la notte buia di Torino viene illuminata dai flash delle macchine fotografiche.

Paulo annuisce, prendendo il borsone in una mano e la mia mano nell'altra, sorridendo forzatamente ai fotografi. Ha la mascella serrata e lo sguardo basso, chiaro segno che sia arrabbiato o perlomeno infastidito dal mio gesto.

«Mamma» tira fuori le chiavi della macchina, aprendo la portiera del passeggero per far salire sua madre.

«Hai già fatto abbastanza cazzate, ti conviene non continuare» mormoro quando mi passa accanto, a denti stretti per non farmi sentire da nessuno se non da lui.

Si ferma davanti a me, i pugni serrati lungo i fianchi e lo sguardo arrabbiato puntato sul mio viso.

«Spiegami quali cazzate avrei fatto adesso! Pensi che in ogni partita si possano segnare tre goal solo per dedicarteli?» alza il tono della voce, probabilmente inconsciamente, e io mi giro verso la macchina, dove Alicia ci sta guardando interessata al nostro litigio praticamente pubblico.

«Ne parliamo a casa tua» lo precedo ad aprire la portiera, salendo in macchina velocemente e richiudendola dietro di me.

Lo sguardo di Alicia incontra il mio attraverso lo specchietto retrovisore, ma nessuna delle due osa parlare, così nella macchina risuonano i rumori dell'esterno, un po' attutiti, finché non sale anche Paulo.

«Allora, vi è piaciuta la partita?» chiede il ragazzo, facendo manovra per uscire dal parcheggio.

«Certo amore, è sempre un emozione vederti giocare dal vivo in uno stadio così pieno di gente che ti supporta» Alicia accarezza il braccio del figlio con un sorriso adorante dipinto in volto.

«Grazie mamma, mi fa piacere. Tu, invece, Fe?» si ferma ad un semaforo. La luce rossa proietta delle ombre lunghe sul suo viso pulito, quasi mortificando i suoi occhi luminosi.

«È stata una bella partita, indubbiamente, peccato per il freddo» dico, e per un momento penso che sia risultata più gelata la mia voce del venticello che tira fuori.

Il viaggio in macchina procede silenziosamente, con semplicemente la musica che passa alla radio come sottofondo alla tensione che, anche se è la prima e l'ultima volta che la definisco così, la povera Alicia avrebbe potuto tagliare con un coltello, neanche troppo affilato.

Ed è proprio la donna ad essere la più felice nell'intero appartamento, anche più di Abba che, vedendo uno dei suoi padroni un po' abbacchiato lo imita, senza nemmeno sapere il perché.

Il borsone che Paulo fa cadere a terra appena entra nell'appartamento provoca un rumore sordo, facendomi fermare sui miei passi mentre mi sto sfilando il giaccone dalle spalle.

Mi giro verso di lui, che si sta togliendo la sciarpa che prima gli cingeva il collo e la sta appendendo, per poi fare lo stesso con la giacca e le scarpe, gettate in modo disordinato nella scarpiera vicino all'ingresso.

«Bene, adesso possiamo discutere in pace? O vuoi che vada via anche mia madre e, magari, anche Abba?» sul suo viso si dipinge un sorriso insolente quando indica la madre, conoscendo bene la nostra inimicizia. Lei è seduta su una sedia del tavolo da pranzo, sorseggiando del succo di frutta che ha appena preso da qualche ripiano della cucina.

¡Mala Mía!paulo dybalaWhere stories live. Discover now