missing moments: 1, no corras

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«Dio, Dio, Dio, Dio» ormai la mia è diventata una cantilena che ripeto mentre mi rigiro il telefono tra le mani e mi stringo nella giacca leggera che non mi protegge per nulla dal freddo torinese.

Guardo l'edificio da cui sono appena uscita e il mio sguardo corre velocemente verso la finestra del suo appartamento. Scorgo i tratti inconfondibili del suo viso, la fronte appoggiata al vetro della finestra e la mano sinistra con il braccialetto che gli ho regalato a Natale che nasconde i suoi occhi.

Sospiro, poi guardo il mio cellulare e mi decido a sbloccarlo. Guardo Paulo ancora una volta. Sposta la mano e si morde il labbro inferiore. Ha gli occhi rossi.

Andare da Lautaro sarebbe la goccia che fa traboccare il vaso e io non voglio che questa storia finisca. Nahuel non sa tenersi le cose per sé e finirebbe per spifferare tutto al suo amico d'infanzia, Fede va spesso in Argentina e sta poco in Italia. L'unica soluzione è Sierra, sperando che abbia spazio per me nel suo appartamento.

«Tesoro, ciao, come va?» la sua voce allegra riscalda un po' l'ambiente gelato intorno a me e mi fa spuntare un sorriso nonostante la mia faccia torni subito seria, perché non mi sembra proprio il momento.

«Mah, potrebbe andare meglio» sospiro, guardando le macchine passare e le persone passeggiare tranquillamente, inconsapevoli di tutto ciò che è appena successo nella mia vita.

«Che succede?» il suo tono si fa immediatamente preoccupato e io chiudo gli occhi. Non voglio rivivere tutto ciò che è appena successo solo per raccontarglielo.

«Io e Paulo abbiamo litigato» sputo velocemente, cercando di non confondere le parole italiane con quelle spagnole.

«Come? Perché?» guardo ancora una volta la finestra, che adesso non ha nulla di particolare. La sua figura è sparita e la cosa mi rattrista un poco. Finché vedevo ancora il mio viso, mi sembrava di essere ancora con lui. Probabilmente è andato da qualche altra parte, da qualche altra persona.

«Non... voglio, te lo spiego dopo? Ti prego vieni a prendermi» il mio tono esce più disperato di quanto credessi e penso che lei lo abbia capito facilmente. Non voglio risultare pietosa, ma anche cercando in tutti i modi di evitarlo, sarebbe evidente la disperazione che ho nella voce.

«Dimmi dove sei» sento qualcosa spostarsi dall'altro capo della linea, probabilmente Sierra che si prepara velocemente per venirmi a prendere.

«Sotto casa di Paulo» dico, in un sussurro, abbassando la testa e muovendo i piedi, cercando di non prendere troppo freddo.

«Cinque minuti e sono lì, aspettami» borbotta, per poi chiudere la telefonata. Guardo lo schermo per un attimo, osservando il mio sfondo, una delle trecento foto con le facce buffe che Paulo si era fatto in ascensore prima di accompagnarmi in aeroporto. Per un istante, penso di voler tornare indietro nel tempo a quell'esatto momento e stare lì per sempre, con noi due sereni e felici semplicemente perché eravamo insieme, poi metto il telefono nella borsa. Non ho la forza di cambiarlo ora.

Mentre aspetto Sierra guardo i passanti, cercando di indovinare chi siano, cosa facciano e cosa li porta qui, in pieno centro, poco prima di cena.
Ci sono dei nonni con i nipoti che tornano a casa, delle coppie che passeggiano prima di andare a prendere un aperitivo, gruppi di amici che vanno a vedere un film al cinema o si preparano per andare a ballare, dei genitori con i bambini.

Mentre li vedo ridere insieme, penso che né io né Paulo abbiamo potuto avere un'infanzia e un'adolescenza del genere.
I miei genitori erano sempre troppo occupati a lavorare, o fuori a cercare di racimolare qualcosa, mentre suo padre è morto quando aveva solo quindici anni.
Non sono mai andata a ballare in una discoteca, a Laguna Larga non ce ne sono e sinceramente a me non è mai interessato troppo. Lui ci andava spesso, a me non ha mai dato troppo fastidio che lo facesse. Mi fidavo di lui, ma a quanto pare lui non si fidava di me.

¡Mala Mía!paulo dybalaNơi câu chuyện tồn tại. Hãy khám phá bây giờ