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«Mi puoi spiegare esattamente che correlazione ci sia tra il lieto vivere in questo appartamento e tu che continui a mandarmi via dai posti che mi trovo per fare questi quiz in pace perché devi trovare la luce perfetta per farti un selfie?» dico, scocciata dalla sua mano destra che per la decima volta mi spinge lontano da dove sto tranquillamente con un libro in mano.

«È per lavoro, lasciami fare» alzo un sopracciglio, guardandolo in viso, ma lui è troppo concentrato sullo schermo del suo cellulare per considerarmi minimamente.

«L'ultima volta che ho controllato il tuo lavoro consisteva nel calciare un pallone. Non penso che questo possa c'entrare minimamente con il tuo cellulare» glielo sfilo dalle dita, mettendomelo nella tasca posteriore dei jeans.

«Dai, è per una sponsorizzazione» frigna lui, indicando il marchio stampato sulla sua felpa.

«Sei un calciatore o un influencer?» faccio il giro della cucina, portandomelo dietro anche per il corridoio verso la camera.

«Dai, Jazmín, ridammelo e basta» mi prende il polso e io giro di poco la testa, rivolgendogli un sorriso furbo.

«Mancano pochi giorni e poi andrò via, e tu sei sempre e solo concentrato su altre cose. Da quando siamo tornati da Siviglia non passiamo più decentemente il tempo insieme» gli dico, entrando in camera e lasciandomi cadere sul letto di schiena.

«Mancano pochi giorni e poi andrai via, e tu stai solo facendo quiz per l'esame per entrare all'università» replica lui, sedendosi sul bordo del letto e rivolgendomi uno sguardo infastidito.

«Touché» scrollo le spalle, prendendo il suo cellulare dalla tasca dei pantaloni e sbloccandolo velocemente.

Lui me lo sfila dalle mani velocemente, lasciandomi a malapena il tempo di vedere cosa stesse facendo.

«Paulo» dico, e non so se essere infastidita per il suo gesto o delusa dal fatto che mi abbia mentito.

«Mh?» mi chiede. Si mordicchia il labbro, chiaro segno che è nervoso, e io comincio veramente a preoccuparmi.

«Dammi il tuo cellulare» cerco di mantenere un tono di voce fermo e autoritario, per quanto l'insicurezza che trasudo possa permettere.

«Perché? Non ti fidi di me?» alza di un po' il tono della voce, trasmettendomi solo una profonda insicurezza.

«Il fatto che tu non me lo voglia dare mi fa solo preoccupare di più, perché vuol dire che c'è qualcosa che non vuoi che io veda!» esclamo, zittendolo.

«E io? Il tuo cellulare non l'ho mai controllato» si alza dal letto, allargando le braccia con fare drammatico.

«Vuoi controllarlo? È lì, prendilo pure, non ho nulla da nascondere» prendo il mio telefono dal comodino e glielo porgo, sbloccandolo.

Lui lo guarda, un po' insicuro sul da farsi, e continua a mordicchiarsi il labbro, facendomi cadere in un limbo tra il desiderio e la rabbia per il suo gesto di qualche minuto fa.

«Avanti, prendilo» glielo sventolo sotto il naso e lui lo prende, rigirandoselo tra le mani prima di guardarlo veramente.

«Non voglio controllarlo, sai che mi fido di te» dice dopo qualche attimo di silenzio, rimettendomelo in mano.

Infila il suo cellulare nella tasca posteriore dei jeans bianchi, spostando il peso da un piede all'altro. Io lo guardo, ma i suoi occhi si spostano per la stanza, cercando qualcosa che ancora non conosco.

Mi alzo sui gomiti, stringendo le mani in dei pugni e continuando a squadrarlo. È così bello che stento a crederci che sia vero.
Ci guardiamo per un attimo, e sembra che si sia acceso un fuoco nella stanza, impossibile da spegnere.

¡Mala Mía!paulo dybalaOn viuen les histories. Descobreix ara