19.

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«La música curando como medicina» canticchia Paulo, allungando la seconda o e stonando leggermente.

«Per fortuna che fai il calciatore e non il cantante» commento, appoggiando la testa sul finestrino e chiudendo gli occhi, stanca e infastidita dalla sua voce così stonata.

«Stai attenta a quello che dici, potrei anche abbandonarti in mezzo alla superstrada per Buenos Aires» alza un sopracciglio, rivolgendomi uno sguardo scherzoso.

«Non lo faresti mai» mi appoggio sullo schienale, chiudendo gli occhi per cercare di prendere sonno.

«Hai dormito poco stanotte, niña?» scala la marcia e fa per posare la mano sulla mia coscia, poi la ritira e picchietta con le dita sul volante, un po' in imbarazzo.

«Come facevo a dormire se continuavi a scrivermi quanto fossi contento di ritornare a Torino?» chiedo retoricamente, massaggiandomi le tempie e cercando di alleviare in qualche modo questo mal di testa pulsante che non sembra voler lasciarmi in pace.

«Esagerata» ride lui, sapendo perfettamente che ho ragione io, solo che, orgoglioso com'è, non vuole ammetterlo.

«Hai anche aggiunto che c'è un sacco di gente che vorresti presentarmi» lo stuzzico, aprendo un occhio e ridacchiando sottovoce mentre lui si trova veramente in difficoltà a rispondere.

«Per il resto?» si schiarisce la voce, cercando di lavare via un po' di imbarazzo «Com'è andata oggi a scuola?» accavallo le gambe, cercando di ricordare anche solo un secondo della mia giornata scolastica in cui io non abbia voluto correre nel mio letto e recuperare le ore di sonno perse stanotte a causa di Paulo e della mia eccitazione per il viaggio.

«È stato noioso, non vedevo l'ora di tornare a casa» sbuffo, cercando di stendere le gambe ed evitare che si addormentino. La canzone che sta passando alla radio non mi piace, quindi cambio stazione, sperando che ce ne sia una migliore.

«Carino quell'anello» distoglie un attimo lo sguardo dalla strada e osserva la mia mano, io arrossisco leggermente.

«È un anello di castità» mormoro, decisamente in imbarazzo. Sapevo che ne avremmo parlato prima o poi, ma non credevo che il momento sarebbe arrivato così presto.

«Ah» dice lui, guardando fuori dal finestrino «Posso chiederti perché ce l'hai?» si schiarisce la voce, mentre il navigatore del cellulare gli dice di girare a destra.

«Sì, puoi chiedermelo» mi stringo nella felpa leggera che ho addosso, rendendomi conto che è stata una pessima idea ascoltare i consigli di mio fratello. Questa mattina, infatti, mi aveva detto di vestirmi leggera perché in Italia adesso è estate.

«Perché ce l'hai?» chiede, svoltando a destra. In fondo alla strada si riesce anche a vedere, in lontananza, il parcheggio dell'aeroporto.

«Ho fatto una promessa» dico semplicemente, facendogli capire che non dirò nulla di più di questo. Lui non insiste e i pochi minuti rimasti del nostro viaggio in macchina sono silenziosi.

«Hai i biglietti?» chiedo, scendendo dalla macchina e andando a prendere la mia valigia nel portapacchi.

«Certo, niña, pensavi che li avrei dimenticati?» risponde, con sguardo ammiccante. Prende le sue cose e mi fa cenno di controllare se abbiamo lasciato qualcosa in macchina.

«Onestamente, sì» lo prendo in giro, scuotendo la testa. Lui mi fa il medio e chiude la macchina, dirigendosi verso l'aeroporto con il suo trolley scuro.

Faccio una corsetta per raggiungerlo e guardo l'entrata dell'aeroporto, sempre più eccitata per il viaggio che sto per intraprendere.

«Pensa che se non avessi una cotta secolare per tuo nipote sarei a casa a fare i compiti e non starei per andare in Italia con uno degli scapoli più desiderati nel mondo del calcio» commento, rendendomi conto di questa cosa. Però sono troppo incazzata con Lautaro per ringraziarlo, anche solo nella mia mente.

¡Mala Mía!paulo dybalaKde žijí příběhy. Začni objevovat