27.

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Quando Paulo apre la porta del suo appartamento, la prima cosa che faccio è dirigermi in camera e lasciarmi cadere sul letto, sfinita da tutto ciò che è successo oggi ma, sfortunatamente, il ragazzo ha la malsana idea di seguirmi.

«Che cazzo ti salta in testa?» esclama, chiudendo la porta della stanza dietro di sè.

«Da quando hai questi deliri di onnipotenza? Cosa ti fa pensare che tu sia capace di girare per Torino senza conoscere nemmeno una via o almeno la strada di casa?» il suo tono di voce si alza e i suoi occhi sono più scuri, segno palese che è arrabbiato.

«Paulo, per favore, non è il momento più adatto alla predica» mormoro, sistemandomi sul letto e togliendomi le scarpe.

«E quando pensi che lo sia? La prossima volta che esci di casa da sola perdendoti e facendoti venire a prendere?» chiede, sarcasticamente, allargando le braccia al cielo.

«Sai cosa poteva succedere?» mette le mani sui fianchi, infastidito dal mio silenzio insistente, dettato dal fatto che magari se non lo interrompo finisce di sfogarsi prima e mi può lasciare un po' di tempo da sola.

«Bene, te lo dico io cosa poteva succedere» si schiarisce la voce, neanche dovesse dire una lista lunghissima di fatti possibili «Potevi avere il telefono scarico, potevi incontrare qualcuno che vedendo il nome del mio contatto avrebbe potuto condividere il mio numero su internet, potevi non incontrare qualcuno che ti aiutasse e restare da sola con il tuo attacco di panico, potevi essere derubata, toccata, violentata...» fa per continuare, ma io scoppio a piangere involontariamente alle sue parole, lasciandolo stupito mentre sta contando sulle dita tutte le possibilità che sta enunciando.

«Mi dispiace, ti basta?» esclamo, cercando di mandarlo via «Ho cercato di fare di testa mia e mi è andata male, ma non per questo mi merito tutta questa ramanzina che ti stai inventando» incrocio le gambe, guardandolo negli occhi.

«Perché stai piangendo?» ignora quello che ho appena detto e si siede sul letto. Sembra quasi che tutto quello che è stato detto fino ad adesso sia stato cancellato dalla sua testa.

«Perché sono stremata» dico la prima cosa che mi passa per la testa, senza effettivamente pensare ad una scusa migliore.

«Jazmín, ho detto che potevi essere violentata e tu ti sei messa a piangere, mi puoi dire cosa cazzo sta succedendo?» alza di nuovo la voce, ma questa volta in modo controllato, prendendo una delle mie mani tra le sue e accarezzandone il palmo.

«Niente, niente, non è successo niente» abbasso lo sguardo, incapace di reggere il suo, pieno di quesiti senza risposta.

«Niña, lo sai che puoi dirmi sempre la verità» annuisco, osservando le lenzuola pulite e subito dopo il viso del ragazzo seduto davanti a me.

Mi fido davvero di Paulo fino a questo punto? Non lo sa nessuno se non mio fratello.
Dirgli una cosa del genere equivarrebbe all'affermare che mi fido più di lui che di Lea, quando in realtà lei è la mia migliore amica.

«Vieni qui» allarga le braccia, facendomi appoggiare la testa sul suo petto e accarezzandomi i capelli, cercando di calmare il mio pianto silenzioso.

Si siede sul letto, con la schiena appoggiata alla testiera e le gambe stese, e io lo abbraccio, tenendo la testa tra l'incavo del suo collo e la spalla e cingendogli la vita con le braccia, mentre lui mi accarezza i fianchi e qualche volta lascia dei baci tra i miei capelli.

Smetto di piangere quasi subito, cullata dalle sue braccia muscolose e dal suo corpo solido che mi protegge, e mi ritrovo a pensare cosa sarebbe effettivamente successo se non avessi potuto chiamare Paulo a salvarmi.

«Stasera doveva essere una serata film con Federico e Nahuel, ma se mi lasci un secondo annullo tutto e diventa una serata film solo tra noi due e una vaschetta di gelato» sussurra, mentre io sono assorta nei miei pensieri.

Annuisco, un po' divertita da ciò che ha appena detto e un po' perplessa dal fatto che quei due ragazzi siano praticamente sempre qui.

«Però non andare» dico, alzando lo sguardo verso il suo viso e incatenandolo con il suo, magnetico e profondo come sempre.

«E come faccio ad arrivare al cellulare?» ridacchia, facendo per alzarsi, ma io gli porgo il mio.

«Chiamo uno dei due e digli che stasera non si fa niente perché tu ti senti poco bene, qualche obiezione?» scuoto la testa, chiudendo gli occhi e inspirando profondamente il suo odore di colonia.

«Hola hermano» la voce di Paulo vibra nel suo petto, facendola risultare molto più profonda.

«Jazmín non si sente bene, rimandiamo a domani sera, vi va bene?» sospiro, ripensando alla velocità con cui questo ragazzo è riuscito a venire a salvarmi.

«Certo, starà meglio presto, a domani, ciao» mette giù il mio telefono e guarda il soffitto, perso nei suoi stessi pensieri.

«Mi sono sempre chiesto perché hai un nome così particolare» ammette, dopo qualche secondo di silenzio. Mi alzo sul gomito, guardandolo dall'alto.

«E questa da dove ti è uscita?» chiedo, divertita dalla sua domanda piazzata completamente a caso nella conversazione.

«In realtà me lo chiedo da quando ti ho conosciuta, ma mi è tornato in mente solo adesso» scrolla le spalle, guardandomi con un'espressione interessata dipinta in viso.

«Beh, lo sai che ci sono certi nomi stabiliti dal governo argentino, diciamo "unisex", che hanno bisogno di almeno un altro nome tipico di solo uno dei due sessi vicino per stabilire se l'individuo sia maschio o femmina, no?» gli domando, testando la sua conoscenza dell'attualità argentina.

«Forse ne ho sentito parlare al liceo, perché?» corruga le sopracciglia, confuso dalla mia domanda.

«Beh, si da il caso che sia "Fe" che "Jazmín" siano dei nomi "unisex" e i miei genitori hanno avuto la brillante idea di metterli assieme, anche se non sono ancora sicura che sia totalmente legale come cosa» sorrido alla sua espressione stupita.

«È una cosa geniale! Perché non ci ho mai pensato prima?» chiede retoricamente, facendomi ridere.

«Tu, invece, hai un secondo nome?» chiedo, curiosa di sapere qualcosa di più su di lui in un momento così intimo.

«Ne ho tre, di nomi» sospira, e ciò mi da l'impressione che questi nomi siano molto imbarazzanti «Paulo, e fin qui immagino che ci fossi anche tu, Bruno Exequiel» scoppio a ridere sonoramente, accasciandomi su di lui.

«Non ridere, stronza!» si lamenta, anche se lo intravedo sorridere.

«Bruno! E chi l'avrebbe mai detto che Paulo Dybala ha come secondo nome uno che sembra quello del cane di Heidi?» lui fa finta di ridere, mentre io mi sto tenendo la pancia dalle risate.

«Sei veramente una piccola stronza» mi tiene ferma per i fianchi e mi stampa un bacio sulla fronte, così mi calmo e mi stendo di nuovo su di lui, ascoltando il suo cuore battere più veloce del normale.

lollissimo

allora, breve riassunto

•paulo versione hulk

•paulo diventa detective conan

•paulo diventa Padre Pio

•paulo diventa il cane di Heidi

io direi che più che un giocatore è un transformer!!

pessima

ciaone💙💙

¡Mala Mía!paulo dybalaWhere stories live. Discover now