39.

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«Ciao niña, come va?» sorrido allo schermo un po' malinconicamente, guardando il viso di Paulo lentamente illuminarsi mentre mi osserva.

«Non male dai, potrebbe andare peggio» scrollo le spalle «Tu invece? Siamo a metà settembre, il campionato è cominciato quasi un mese fa e non mi hai detto nulla» sorride, entusiasta della mia domanda riguardante il lavoro che gli piace così tanto.

«Molto, molto bene, in realtà. Abbiamo cominciato abbastanza male, poi ci siamo un po' ripresi. Tra pochi giorni giocheremo contro il Bologna, e veramente non vedo l'ora» esclama, eccitato «Mi dispiace che tu non riesca a vedere le partite»

«Dispiace a me più di te, ma sono praticamente tutte a ore improbabili» ripenso all'ultima volta che ho provato a stare sveglia fino alle quattro di mattina per vedere la partita di Paulo, sbadigliando. Lui sospira, abbassando lo sguardo.

«Quando hai detto che è la prossima?» chiedo, cercando di restare vaga.

«Il ventisei» alza un sopracciglio, cercando di capire ciò che ho in mente «Non fare cazzate, il ventisei è di mercoledì e non mi sembra il giorno più adatto per stare sveglia tutta la notte se dopo devi andare a scuola. Non importa se non mi guardi giocare, capisco le tue priorità e le rispetto. In più, se poi vai male a scuola non ci vedremo nemmeno a Natale, visto che dovresti fare la scuola estiva» mi ammonisce.

«Tranquillo, niente scuola estiva, e poi quest'anno prendo il diploma» gli ricordo, pensando a tutte le cose che potrò fare quest'estate, visto che non dovrò studiare.

«Giusto» mormora, riflettendo su qualcosa che ancora non conosco. Se potessi, in questo momento entrerei nella sua testa per capire cosa diavolo stia pensando che lo tiene incatenato e non gli permette di essere completamente sereno.

«È successo qualcosa?» chiedo, la fronte aggrottata a mostrare il mio disappunto.

«No, non è successo nulla, sono solo stanco e un po' ripenso a quest'estate, a Barcellona con te. Ieri stavo cercando la mia felpa grigia di Yves Saint Laurent e non la trovavo, poi mi sono ricordato di averla data a te quando sei partita» lo guardo, confusa, cercando di ricordarmi quel piccolo particolare che mi è sfuggito.

«Mi hai dato una felpa di Yves Saint Laurent?» trattiene a stento le risate, probabilmente causate dalla mia espressione preoccupata «Non ridere, Paulo, probabilmente quella felpa costa più di tutte quelle che ho messe insieme, e io non mi sono nemmeno resa conto di averla! Dio, magari è quella che ho sporcato di sugo ieri» mi porto le mani nei capelli, ricordando a grandi linee che ieri avevo addosso una felpa grigia quando, pranzando, mi sono sporcata con la pasta, mentre lui sembra godersi particolarmente la scena.

«Non fare quella faccia!» esclamo, in preda al panico.

«Non sto facendo nessuna faccia, mi fai tenerezza e basta, ti preoccupi per così poco» si giustifica, adottando un tono che sembra pieno di edulcorante.

«Così poco? Saranno quattrocento euro di felpa!» esclamo, andando a cercare quella benedetta felpa sulla sedia della mia scrivania, che da sempre è ricoperta da vestiti.

«Sono cinquecento novanta euro, per la cronaca» sento la sua voce, ma non vedo il suo viso e spalanco la bocca, sconcertata e sempre più agitata su dove possa averla messa.

«Oddio, Paulo, cinquecento novanta euro? Come puoi affidarmi una cosa così costosa?» esclamo, ormai disperata.

«Jazmín» la sua voce sovrasta la mia, facendo concentrare la mia attenzione completamente su di lui e sul suo viso divertito.

«Non ho tempo, devo cercare quella benedetta felpa» mormoro, dispiaciuta di doverlo contraddire ancora una volta.

«Ce l'hai addosso, quella benedetta felpa» scoppia a ridere, riempiendo l'aria della mia stanza di un suono cristallino che tanto mi ero mancata ma che non mi ero ancora resa conto di necessitare.

Guardo la felpa che ho addosso, e noto che in effetti c'è scritto sopra "Saint Laurent", e tiro un sospiro di sollievo.

«Scusami, sono molto stanca ultimamente, non riesco a ragionare» sbatto più volte le palpebre, prendendo coscienza di ciò che è successo, poi mi siedo sul letto, un po' imbarazzata per la scena che si è appena verificata.

«Quanto dormi a notte? Hai delle occhiaie che arrivano fin per terra» mi fa gentilmente notare, facendomi alzare gli occhi al cielo.

«Sei sempre così gentile con me» sorrido fintamente, facendolo ridacchiare «Comunque non dormo molto, non ho mai dormito molto. Oggi durante storia dell'arte stavo per addormentarmi, sembrava fossi in coma» mi massaggio le tempie, colpita da un attacco di sonno improvviso.

«Dovresti dormire, niña, se non dormi sei più stressata e i tuoi risultati ne risentono» sembra quasi un padre, mentre pronuncia quelle parole, e io lo guardo, intenerita da ciò che ha appena detto.

I suoi occhi sono luminosi come sempre, e il contrasto con la pelle scura è ancora più accentuato dall'abbronzatura che prende così facilmente passando tutto il giorno a correre sotto il sole.

«Grazie per il consiglio, ma proprio non riesco. E poi sto bene, ti pare che stia morendo in piedi o cose del genere?» chiedo, per poi sbadigliare subito dopo e presentargli un'antitesi su un piatto d'argento.

«A me sembri molto stanca, tutto qui, e sono preoccupato per te. So che la scuola può essere stressante, ma non dovrebbe influenzare in alcun modo la tua salute, mentre invece mi sembra lo stia facendo» sto in silenzio, assaporando quelle parole così dolci e premurose da parte sua.

«Quindi, quando hai detto che giochi?» chiedo, sorridendo furbescamente per la maestria con cui ho cambiato argomento. Lui alza gli occhi al cielo, poi risponde.

«Il ventisei, il ventinove, aspetta un attimo che controllo» esce da Facetime, probabilmente entrando sul calendario «Okay, ci sono, allora: giochiamo il ventisei, il ventinove, il due e il sei ottobre, poi le altre sono a fine mese» ritorna sulla videochiamata e mi fa un sorriso, che io ricambio quasi involontariamente.

«Okay» sospiro, lasciandolo ignaro delle mie intenzioni. Corruga le sopracciglia, poi scrolla le spalle e scuote la testa, consapevole che non gli darò una risposta nemmeno se insiste.

«Te extraño» mormora, mantenendo un sorriso tirato sul viso che in un attimo è diventato triste.

«No parezcas un perro golpeado, sabes que si pudiera, estaría allí de inmediato» sussurro, cercando di convincere più me che lui.

«Lo se» abbassa lo sguardo e restiamo entrambi in silenzio per un attimo, meditando sulle parole che sono appena state dette.

«E quando c'è la pausa per le Nazionali?» domando, cercando di non sembrare troppo impaziente né fastidiosa.

«Giochiamo l'undici e il sedici ottobre in Arabia Saudita, e poi il diciassette e il ventuno novembre prima a Cordoba e poi a Mendoza» immediatamente concentro tutta la mia attenzione sul suo viso, che però non sembra far trapelare nessuna emozione particolare.

«A Cordoba? Giocate a Cordoba?» chiedo, pensando che sia quasi incredibile che non si sia reso conto di una cosa del genere.

«Sì, perché?» si sistema i capelli, guardandomi quasi come se fosse stranito dalla mia espressione vincente.

«Se non sbaglio, da Laguna Larga a Cordoba c'è soltanto un'ora di strada» lui spalanca la bocca, ma non dice nulla e io lo guardo, contenta del ragionamento che ho fatto e della velocità con cui sono riuscita a farlo.

lollissimo

boh in realtà nulla, ho molto sonno e voglio solo andare a dormire

almeno domani si sta a casa

ciaone🥰🥰

¡Mala Mía!paulo dybalaWhere stories live. Discover now