missing moments: 8

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«Cosa guardi?» chiedo, con un tono di voce scocciata, mentre Paulo è fermo davanti a me, guardandomi come se non mi conoscesse, come se vedermi lì gli avesse tolto la terra da sotto i piedi. Lo guardo anche io, spero di non sembrare così sconvolta quanto lo è lui, anche perché devo sembrare almeno un po' seria e sicura di me.

«Io non... ti aspettavo» annuisco leggermente. Non so cosa dire, anzi, sto quasi pensando di tornare indietro, di lasciar stare questa missione suicida che mi era stata consigliata non solo da una ma da due delle mie più care amiche «Entra dai» si schiarisce la voce e mi fa spazio, spostandosi e lasciando aperta la porta per farmi entrare. Io lo sorpasso facilmente e mi fermo giusto a qualche metro da lui, guardando l'appartamento che abbiamo condiviso per un paio di mesi.

«Fa caldissimo qui, solo perché prendi tantissimi soldi non vuol dire che devi spenderne altrettanti in riscaldamento» affermo appena lui chiude la porta. È così che reagisco quando non mi sento a mio agio e l'insicurezza punge come un ago ogni centimetro della mia pelle.

«Scusa se ti rispondo bruscamente, ma non penso che tu abbia il diritto di mettere parola nelle mie decisioni al momento» sorride teneramente e si muove in imbarazzo sui piedi, spostando il peso da una gamba all'altra e continuando a sistemarsi la maglietta a maniche corte e i pantaloncini che gli arrivano giusto sopra le ginocchia. Sospiro. Sono venuta qui per chiarire cosa stia succedendo, non per aggredirlo, anche se per quello avrei tutto il diritto.

«Hai ragione, scusa» ammetto. La mia voce esce quasi strozzata e abbasso lo sguardo, immediatamente in imbarazzo. Sento, dentro di me, che il muro di sicurezza che mi ero costruita durante il tragitto si sta smontando, mattoncino dopo mattoncino, e non posso permettermelo se voglio ottenere la verità dall'uomo che ho davanti.

«Puoi toglierti la giacca, se hai freddo, o sederti sul divano. Vuoi qualcosa da bere?» chiede lui quasi subito, per evitare che il silenzio si insinui troppo in questa "conversazione", se è così che possiamo chiamarla.

«L'ultima volta che sono venuta qui non mi hai riservato questa accoglienza» nonostante le mie parole pronunciate con un tono tagliente, mi sfilo la giacca di dosso e l'appoggio sul divano, dove mi siedo subito dopo. Da qui non posso vedere la cucina, ma posso sentire Paulo armeggiare con i cassetti e gli utensili per portarmi qualcosa da bere.

Appena pronuncio quella frase, lui si ferma. Lo sento chiaramente sospirare e posso immaginarlo mentre chiude gli occhi e appoggia la fronte a una delle ante chiuse in cucina, mentre cerca di respirare regolarmente e ragiona su come rispondermi senza risultare cattiva come ho fatto io.

«Hai ragione, e riconosco di aver sbagliato» dice poi, riprendendo a muoversi per la cucina. Mi rendo conto che, prima d'ora, poche erano le volte in cui aveva messo da parte l'orgoglio ammettendo di avere sbagliato «Ma è stato tanto tempo fa» aggiunge poi, facendo sospirare me.

«A me questo mese non è passato così velocemente, ma d'altronde il tempo passa più velocemente quando ci si diverte, o no?» finisco di dire questa frase proprio mentre lui sta venendo da me con un bicchiere pieno di -probabilmente- succo ace, l'unica bevanda che non sia acqua che ha sempre in casa. Lo vedo fermarsi bruscamente e far uscire qualche goccia di succo dal bicchiere, ma è solo un attimo, perché si riprende subito e in pochi secondi è davanti a me e mi sta porgendo il tutto.

«È stato un mese molto lungo anche per me» ammette, sedendosi dall'altra parte del divano, consapevole di non poter stare a meno di un metro da me.

«Ah scusa allora, ma da quanto ho potuto vedere non mi è sembrato per nulla» prendo un breve sorso di succo dal bicchiere prima di continuare «Proveniva dal tuo appartamento la ragazza che stava scappando in lacrime quando sono arrivata?» chiedo, ritrovando l'aggressività che avevo perso quando aveva ammesso di aver sbagliato.

¡Mala Mía!paulo dybalaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora