77.

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Sbuffo e appoggio il cellulare sulla scrivania, dondolandomi sulla sedia di plastica e spostando velocemente gli occhi per la stanza, cercando invano di calmarmi.

«Questa era la decima? O forse la undicesima?» la voce di Lea arriva un po' sfumata alle mie orecchie, come se fosse esageratamente lontana, ma è semplicemente stesa sul mio letto a giocare con la solita pallina da tennis.

Quando sono tornata a Laguna Larga non abbiamo perso nemmeno un attimo e abbiamo ricominciato a fare tutto come prima, come se non avessimo mai litigato.

«Non stai aiutando per nulla, anzi, stai solo peggiorando la cosa» le rivolgo un'occhiataccia e controllo le notifiche, sperando in una chiamata da parte sua.

«Dio, perché non mi chiama? È sempre con il suo benedetto telefono in mano, come cazzo fa a non aver visto tutte queste chiamate?» chiedo, frustrata da tutta questa situazione.

La ragazza si limita a scrollare le spalle e continuare a giocare con quella pallina, facendomi innervosire ancora di più.

«Pensi che gli sia successo qualcosa?» la mia voce esce stridula e abbastanza fastidiosa, tanto che non riesco nemmeno a realizzare subito il fatto che sia effettivamente io a parlare.

«Penso che sia ad allenamento, a cena, o semplicemente a farsi la doccia e che tu lo stai affogando con una quantità spropositata di telefonate. Ti richiamerà» si gira verso di me e alza entrambe le sopracciglia, facendomi capire che probabilmente ho esagerato.

«Che colpa ne ho io? Sembra che mi stia ignorando. Prima facevamo almeno una videochiamata al giorno, adesso è già tanto se mi da la buonanotte» continuo a lamentarmi, spiegandole per la centesima volta l'intera situazione.

Lea si alza dal letto, lascia cadere la pallina per terra e mi sfila il cellulare dalle dita, mettendolo in tasca e prendendo le mie mani tra le sue.

«La puoi smettere, per favore?» mi supplica, a voce bassa «Paulo è pazzo di te, non hai niente di cui preoccuparti. Se ti dico che ti richiamerà, ti richiamerà, fidati di me» il cellulare comincia a squillare e lei assume un'espressione orgogliosa.

Me lo porge e io guardo subito il nome del contatto, rendendomi conto che non è definitivamente la persona da cui volevo ricevere una telefonata.

«Lautaro, ehi» la fulmino mentre ridacchia e fa un gran rumore, anche se so che sta cercando di essere il più silenziosa possibile.

«Ciao Fe, come va?» la sua voce allegra rimbomba nella mia testa. Assomiglia un sacco a quella di suo zio.

«Tutto bene dai, non mi lamento. Tu invece?» accavallo le gambe e prendo una penna dalla scrivania, facendola girare tra le dita.

«Bene, grazie per avermelo chiesto. Senti, da quando sei tornata Mariano non fa che chiedere di te e mi ha detto di invitarti a cena da noi stasera, ti va di venire?» lascio andare un sospiro, pensando velocemente ai pro e ai contro.

«Sì, volentieri» rispondo, ignorando l'occhiata allusiva di Lea.

«Bene» esclama «Quando vuoi» non appena pronuncia quelle parole mi rimbombano in testa, facendomi ricordare la voce roca e sensuale di Paulo quando le aveva dette lui.

«Okay, a dopo» lo saluto velocemente, poi metto giù e lascio uscire un gemito di frustrazione, appoggiando il telefono sulla scrivania.

«A dopo? Cos'hai in mente?» alza le sopracciglia a ritmo, sedendosi sul letto e aspettando una risposta.

«Niente di quello che la tua testolina malata si è immaginata» stronco la sua immaginazione sul nascere «Mi ha invitato a cena a casa sua, e io ci vado perché siamo amici e da quando sono tornata non ho visto nessuno che non sia tu o Arturo» mi alzo dalla sedia e apro l'armadio, cercando qualcosa da mettermi.

¡Mala Mía!paulo dybalaWhere stories live. Discover now