45 - it's complicated

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Finalmente le porte del piccolo ascensore si spalancano, posso sentire le voci degli angeli che cantano in segno di riuscita.

Ho seriamente creduto che sarei rimasto intrappolato qui dentro, lo scricchiolio prodotto non appena ho premuto il pulsante del quarto piano mi ha fatto deglutire timorosamente; ho sempre odiato questi stupidi mezzi, e la mia lieve claustrofobia non aiuta affatto.

Mi affretto a sgusciarvi via con la mia solita poca eleganza, per poco non mi ingoio la lingua quando rischio di inciampare sui piedi del facchino; dopo avergli posto le mie scuse farfugliate, mi allontano alla velocità della luce come se non mi stessi sentendo un completo idiota.

Iniziamo molto bene.

Quando mi inoltro nel corridoio delle camere del piano, capisco subito che la maggior parte deve essere occupata dai rugbisti di Busan: musica ad alto volume e chiacchiere spassose riempiono l'aria, possono essere udite tranquillamente da fuori ma non credo proprio che la cosa li disturbi.

La stanza di Hyunsu è la 182, fortunatamente riesco a trovarla con facilità. Alzo il pugno per bussare ma la mia mano non tocca mai la porta, perché essa si apre di scatto facendomi sobbalzare per la paura.

«Perché cazzo sei in ritardo? Pensavo non venissi più!» il viso incavolato del mio amico incontra il mio, ancora scosso.

«Mi hai spaventato, stupido!» protesto, facendomi più vicino per tirargli uno schiaffo sul braccio che non farebbe male neppure ad una formica.

Hyunsu mi fissa, poi scoppia a ridere.
Sul suo viso si disegnano le due immancabili fossette che spesso, a Seoul, riuscivano a farmi cambiare umore con una rapidità incredibile. «Muoviti, entra» ridacchia, prendendomi per il polso e guidandomi all'interno.

L'ambiente è stranamente accogliente, seppure di dimensioni piuttosto ridotte. Una luce gialla a led illumina l'arredamento un po' all'antica, composto da uno spazioso letto matrimoniale, un comodino in mogano e un armadio dello stesso materiale. La lunga tenda bianca che copre la finestra sulla sinistra, si accorda bene con il colore chiaro del piumone; all'angolo, quello che deduco sia il bagno trova il suo spazio. Non avrei mai pensato di dirlo, ma lo stile di questo albergo (tralasciando quel dannato ascensore) rientra nei miei gusti.

«Non puoi capire che casino ho fatto per farmi dare questa stanza» dice in uno sbuffo divertito Hyunsu, notando l'evidente attenzione che gli sto dedicando. «Credo sia una tra le più belle insieme ad altre tre, almeno non ha lo strano odore di chiuso come quelle degli altri giocatori» sghignazza, sedendosi a gambe incrociate sul letto.

Beh, vista la percentuale di turismo in questa città pari probabilmente all'uno o al due per cento, non mi stupisco affatto che alcune camere siano messe così.

«Sai» dico, togliendomi la giacca scura e accomodandomi anch'io sulla coperta morbida che ricopre il materasso. «Credo proprio che siate le uniche persone presenti in questo hotel, Hyunsu. Forse anche le prime»

«Vero?» fa lui, guardandomi con le sopracciglia sollevate. «Questa cosa è inquietante, e anche tanto» borbotta.

Annuisco, incapace di fare altro. Mi stanno tornando i sensi di colpa, ma li scaccio subito quando Hyunsu riapre bocca, lanciando un'occhiata verso l'ampia finestra. «Il nostro coach ha avuto la sensazione che qualcuno lo stesse seguendo, ieri sera. Lui l'ha presa sul ridere, ma non ti nego che mi sono morto di spavento»

Hyunsu sfodera il suo solito sorriso, ma a me si ghiaccia il sangue. Mi stringo forte nella felpa.

«Hyunsu, non andare in giro da solo, quando è buio» dico in un sussurro, non incrociando il suo sguardo. «E quando sei qui chiudi sempre la finestra e la porta. Può essere pericoloso e non voglio che—»

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