8. Ad occhi chiusi.

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Avevo passato il pomeriggio dopo scuola in biblioteca a studiare e appena arrivata in camera avevo ricevuto la chiamata promessa da Kat. Eravamo state quasi un'ora a parlare di Tyler, e lei aveva insistito per parlare di me e Derek, ma io le avevo subito ribadito la mia idea. Il mattino dopo mi svegliai tardi, e capii che non era giornata. Quasi ogni mattina non lo era. Durante la notte i miei incubi erano tornati; era un pò che non li avevo più, probabilmente qualche settimana, e ogni volta era come ricadere da un palazzo di cento piani. Odiavo la mia mente,perchè riusciva a torturarmi in quel modo. Nessuno sarebbe dovuto essere succube della propria mente così, era orribile, straziante,  perchè non riuscivi a liberartene... non potevi liberarti di te stesso e dei mostri che ti avevano accompagnato per tutta la vita. Loro erano in te, tu eri in loro, e non c'era un modo per scappare, non esisteva un'uscita. Di solito quando passavo notti del genere, poi, non avevo nemmeno le forze per riuscire a reggermi in piedi, ma quella mattina mi sforzai, per vincere la stanchezza, e tutto il resto, perchè se le cose stavano per mettersi di nuovo male di notte in quel modo, ne avrei avuto di tempo per consumare tutte le ore di assenza scolastica che potevo compiere in totale per poi riuscire a superare l'anno. Arrivai a scuola in tempo, non ascoltai nemmeno una parola di ciò che dicevano i professori o gli alunni, avevo la mente spenta, non riuscivo ad elaborare nulla. Erano quelle le conseguenze che portavano i miei incubi: giornate intere in piena agonia. Non sentivo niente, eppure tutto mi feriva a morte. Non riuscivo a spiegarmi il motivo di tutto ciò, ero solo frustata e arrabbiata con me stessa. Sapevo di non essere pazza, ma ero troppo paranoica, sensibile,insicura, ansiosa, introversa ed emotiva. Ero piena di emozioni ma non riuscivo a spiegarmi il perchè di quel terribile vuoto che sentivo costantemente,come una voragine dentro di me. I miei genitori, mio fratello, i miei amici, praticamente inesistenti, avrebbero dovuto occupare un posto dentro di me, colmare qualsiasi posto vuoto, invece, riuscivano solo a strapparmi pezzo a pezzo la mia anima.

All'ora di pranzo non avevo fame e non avevo voglia di incontrare nessuno quindi corsi subito sul terrazzo, misi le cuffiette e alzai il volume al massimo. Iniziai a leggere un libro che avevo preso il giorno prima e tentai di concentrarmi sulla lettura, invano. Non riuscivo a focalizzare i concetti, ero sicura che non sarei riuscita a dormire quella sera e nemmeno quella dopo o quella dopo ancora. Avevo perennemente paura di ricadere in quegl'incubi e ogni volta che tornavano, per giorni e giorni cercavo di chiudere gli occhi il meno possibile. Non potevo parlarne con nessuno,nemmeno Kat sapeva nulla, nonostante mi fidassi di lei. Nessuno poteva saperlo. A causa delle barriere che costruivo continuamente nessuno mi conosceva e questo mi faceva sentire sola. Mi rendevo conto di non avere nessuno. Non avevo nessuno ed era solo colpa mia. Non amavo abbastanza me stessa per lasciare che qualcun altro mi amasse. Rimasi seduta su quel terrazzo per tutta l'ora di pranzo, ma quando sentii la campanella sobbalzai e corsi in classe. Avevo chimica. Dopo quella lezione incontrai Derek nei corridoi,gli rivolsi un "ciao" stentato con un mezzo sorriso e corsi via. Non ero in vena di parlare. Mi accorsi che la lezione seguente era storia,la stessa di Kat. Avrei dovuto fingere di stare bene, altrimenti lei avrebbe iniziato con le domande e non le avrei sopportate in quel momento.

"Hei." salutai frettolosamente sedendomi nel banco accanto al suo.

"Hei, non ti sei fatta vedere oggi a pranzo,tutto bene?" mi chiese preoccupata.

"Avevo dei compiti da finire, mi dispiace." evitai il suo sguardo come si evitava una malattia infettiva, per non far scorgere nei miei occhi qualunque tipo di dubbio o incertezza. Lei mi conosceva bene, sapeva quando mentivo e capiva quando avrei lasciato che s'intromettesse e quando no, ma io comunque non potevo fare a meno di sentirmi in colpa per non condividere tutto con lei, come avrebbe fatto una vera amica.

"Non preoccuparti." abbozzò un mezzo sorriso, non molto convinta. "Derek ha anche chiesto di te." disse improvvisamente smagliante.

"Bene, l'ho incontrato poco fa." le passai l'informazione con la massima indifferenza, e sentii il suo sguardo indignato fissarmi senza ritegno.

"Ti ha detto qualcosa?" cercò di strapparmi qualche altra informazione.

"Non ne ha avuto il tempo, dovevo correre a lezione. E a te con Tyler come và?" cercai di cambiare argomento più velocemente possibile.

"A gonfie vele, mi ha chiesto di uscire sabato. Ufficialmente." le brillavano gli occhi, era davvero felice. Adoravo vedere quella luce nei suoi occhi e mi chiesi se ci fosse mai stata nei miei tutta quella felicità.

"Tu perchè non ti lasci andare con Derek? Sono sicura che crede di non piacerti e sò che non è così. Non puoi respingere sempre tutti, Dè. Non è giusto." continuò in tono serio. Sentivo già le lacrime affiorarmi agli occhi, così distolsi lo sguardo. Sì che potevo respingere tutti, non volevo ferire, nè essere ferita da nessuno. Non volevo sanguinare ancora di più, non lo avrei sopportato. Fortunatamente non ebbi tempo di rispondere perchè la lezione iniziò in quel preciso istante. Alla fine, scappai via salutando Kat velocemente. L'ultima lezione era quella di francese. Entrai in classe e mi sedetti al mio solito banco. Per tutta la lezione tenni lo sguardo fisso sul foglio o fuori dalla finestra. Non volevo incontrare lo sguardo di nessuno, soprattutto quello di Jace. Il quale, a fine lezione mi salutò fermandomi.

"Hei Desteny , come và?" domandò con un mezzo sorriso.

"Bene... scusa devo proprio andare." lo liquidai e corsi via sentendo il suo sguardo su di me. Non feci nemmeno tanto caso al fatto che mi aveva di nuovo rivolto la parola. Non mi andava di pensarci. Quel pomeriggio andai dritta in biblioteca per non rischiare di incontrare qualcuno e ci stetti fino a tardi per riuscire a saltare la cena ed evitare i miei. Quando rientrai in casa, andai in camera con il pensiero fisso di non potermi riaddormentare. Non chiusi occhio per le due notti successive, non andai a scuola, non uscii dalla mia camera. Non ne avevo la forza. Dovevo affrontare prima quello che c'era dentro di me per riuscire a convivere con quello che c'era fuori,con il mondo.

La ragazza di vetro (DISPONIBILE CARTACEO!)Where stories live. Discover now