61. Amore e odio.

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Per tutta la settimana successiva vissi sulle spine, come se aspettassi in ogni momento qualcosa che,però, sembrava non arrivare mai. Al mattino mi alzavo con delle occhiaie profonde e scure perché la notte non riuscivo a dormire per più di un'ora consecutiva, a volte i miei occhi rifiutavano di chiudersi, il mio cervello rifiutava di spegnersi e i miei incubi tornavano di tanto in tanto, quindi dormire stava diventando un'impresa impossibile. In più, era fine trimestre e avevo compiti in classe in tutte le materie e l'unica che non mi preoccupava era letteratura, mentre per le altre sarei stata davvero spacciata se non avessi avuto tempo ed energie per studiare. Di pomeriggio cercavo di chiudermi in casa a studiare, ma non potevo chiudere fuori la mia vita nemmeno un'ora che mi ripiombava addosso tutto. E la mia media scolastica in quel momento era l'ultima cosa che sfiorava i miei pensieri. I medici di mia madre avevano avuto il coraggio di dirci che dopo tutto quel tempo sarebbe servito un miracolo per farla risvegliare senza traumi o altro. Dylan aveva fatto di tutto per non farmi assistere al colloquio con il dottore ma dire che avevo insistito sarebbe stato un eufemismo: mi ero praticamente fatta strada nell'ufficio del medico spintonando e superando mio fratello. Se c'era una cosa che non riuscivo proprio a sopportare era non avere consapevolezza di ciò che accadeva; per me l'essere coscienti era tutto, e io volevo essere cosciente al cento per cento di ciò che sarebbe successo a mia madre. Erano passati quasi due mesi da quando era in quel letto d'ospedale e non era mai cambiato niente, non riuscivo a pensare alla possibilità di poterla perdere, non potevo farlo senza crollare del tutto e in quel momento , l'ultima cosa che potevo fare era crollare. Quindi non avrei potuto abbandonare il barlume di speranza al quale mi aggrappavo da quasi due mesi.

A scuola non vidi Derek per parecchi giorni, cominciai a preoccuparmi, non me lo sarei mai perdonata se gli fosse successo qualcosa per ciò che gli avevo chiesto. Avevo riflettuto tanto sulle sue parole, su quelle di Freddie e su quelle di Jace, ma non ero riuscita a venirne a capo a quella situazione. Jace non mi parlava dal giorno in cui avevamo discusso davanti casa mia, e nemmeno io avevo cercato di parlargli, perchè sapevo sarebbe stato del tutto inutile. Ma non riuscivo a negare il fatto che mi mancasse molto,troppo, e che soprattutto in quel momento avevo bisogno di lui per andare avanti. Se ci fosse stato lui forse avrei potuto evitare molte notti insonni, molti incubi, molte lacrime, perchè lui mi avrebbe presa tra le braccia facendomi dimenticare tutto, alleviando ogni mio dolore. Ma lui non c'era e dovevo prendere atto delle mie ferite e curarle da sola.

"Desteny!" sentii gridare alle mie spalle, mentre andavo nella classe di francese alla terza ora. Mi voltai e vidi la mia migliore amica correre verso di me. 

"Kat!" le andai incontro e la strinsi in un interminabile abbraccio. Era andata fuori città per poco più di una settimana con la sua famiglia e mi era mancata davvero tanto, anche se, a dirla tutta, avevo avuto ben poco tempo anche per sentire la sua mancanza.

"Mi sei mancata amica mia" mi strinse ancora più forte e io ricambiai la stretta. 

"Anche tu" sussurrai con la faccia ancora immersa nei suoi lunghi capelli scurissimi.

"Come stai?" mi chiese allontanandosi, ma non di molto.

"Come sempre... Tu, invece? Com'è andata da tua zia? Ti sei divertita?"

"E' stata una noia mortale, non hai idea. Tu piuttosto, che succede?" in quel momento la campanella mi salvò dal riversare su qualcun altro lo stato pessimo in cui mi trovavo. "Ma chi l'ha inventato questo maledetto affare?!" Kat alzò gli occhi al cielo e sbattè un piede per terra nervosamente.

"Ci vediamo a pranzo e parliamo, a dopo." le sorrisi, lei annuì e mi abbracciò di nuovo velocemente. 

La lezione di francese fu più insostenibile del solito, la volta successiva avrei dovuto fare il test di fine trimestre e io ero sempre stata troppo distratta da Jace per prestare attenzione alle lezioni in modo corretto. Vedere il suo banco vuoto incrementava il peso che sentivo al petto, e a fine lezione, sfrecciai il prima possibile fuori, come se avessi qualcuno che mi seguiva alle calcagna.

La ragazza di vetro (DISPONIBILE CARTACEO!)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora