49. Un posto per me.

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'Cos'è la felicità?'

Ci chiedono, ci chiediamo e cerchiamo una risposta, una risposta semplice, come quando un bambino ci domanda cos'è una casa, una sedia o un fiore. Al bambino rispondiamo semplicemente, ma non esiste risposta semplice per una domanda che di risposta non ne ha davvero una. La felicità è soggettiva e può essere interpretata in migliaia e migliaia di modi diversi. Per ognuno ha un significato; qualcuno la ritrova in un'emozione, in un posto, in un oggetto o in una persona. Per qualcuno un semplice sorriso può essere sinonimo di felicità. Tutti gli esseri umani vogliono essere felici; ma, per poter raggiungere una tale condizione, bisognerebbe cominciare a capire che cosa si intende per felicità. 

Nella felicità, quella di cui parlavano i poeti, non vi ero mai entrata, mai. Neanche una volta,tranne in effimeri attimi, la mia anima si era sentita appagata, in una tranquilla quiete. Sempre, la guerra e il sangue avevano macchiato la candida luce emanata dal mio cuore. Quella sensazione interiore di aver raggiunto la cima, o anche solo di aver fatto un piccolo passo in avanti ed essere felice, io non l'avevo mai provata. Fino a quel momento.

Fino a lui.

Con lui mi sentivo sempre tranquilla, anche quando litigavamo, c'era una strana calma dentro di me. Sembrava il solito clichè della ragazza innamorata vista da fuori, ma ovviamente per me era totalmente diverso. Per me niente di ciò che stava accadendo era abituale o 'normale'. La mia vita era sempre stata un disastro e io avevo sempre visto tutto nero, ma in quel momento no. Era stato come risvegliarmi; la mia vita aveva iniziato a prendere colore, anzi, era tanti colori mischiati, tante emozioni perfettamente amalgamate. E forse sì, forse ero felice.

Quella mattina alzarmi fu complicato, avevo dormito tranquillamente senza sogni, nè incubi, e il letto mi attirava come mai prima. Di solito scappavo da quel letto che mi portava solo a disperate urla, da tanto tempo era così. Mi alzai faticosamente, feci una doccia e mi vestii. Scesi per prendere un bicchiere di succo, già pronta per uscire.

"Buongiorno." sentii Dylan alle mie spalle.

"Giorno" mi girai e vidi che era vestito ma aveva ancora i capelli tutti arruffati dal sonno.

"Hai fatto tardi ieri sera?" chiese sbadigliando, mentre prendeva del latte. 

"Sei tu quello mezzo addormentato." gli rivolsi una smorfia. 

"Com'è stato l'appuntamento con Jace Morgan, sorellina?" evitò le mie parole e scimmiottò il nome di Jace in un modo infantile. Mi resi conto che non avevo mai visto quel lato di lui prima di quel periodo.

"Dylan." gli rivolsi un'occhiataccia.

"Ho solo chiesto." fece spallucce, posando il bicchiere di latte vuoto nel lavandino.

"Come sta Lydia?" decisi di fare il suo stesso gioco. 

"Benissimo." mi rivolse un fastidioso sorriso compiaciuto e capii che con lui quel gioco non funzionava, non era il tipo che si imbarazzava così facilmente. In quel momento il mio cellulare squillò e mi chiesi chi fosse, forse Kat, o Jace, anche se lui non sembrava il tipo che mandava il buongiorno ogni mattina, con un cuore,eccetera.  Sbloccai lo schermo e lessi il messaggio. 

"Sono da te tra due minuti." 

Jace. Avrei dovuto aspettarmelo, e non c'era neanche un 'buongiorno' e neanche una faccina o un cuore, almeno su quello non mi ero sbagliata. 

Finii il mio succo, posai il bicchiere e presi la borsa, non ebbi nemmeno il tempo di rispondere al messaggio che un'auto si era fermata davanti casa. Dylan scoccò un'occhiata fuori e capì chi era. 

"Autista personale?" 

"Smettila." diventai paonazza, gli diedi un pugno leggero sul braccio sorpassandolo e lui ridacchiò. Uscii di casa e mi fiondai nell'auto di Jace. 

La ragazza di vetro (DISPONIBILE CARTACEO!)Where stories live. Discover now