40. Brutti scontri.

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Il pomeriggio con Kat passò in modo meno tragico del previsto; alla fine, nonostante i vestiti, i negozi, i miei continui sbuffi e i suoi squillanti rimproveri ero riuscita ad uscirne indenne e a distrarmi. Fortunatamente ero riuscita anche ad evitare qualsiasi capo volesse appiopparmi, non sapevo esattamente chi dall'alto avesse voluto mandarmi una grazia del genere, ma chiunque fosse stato sapevo di dovergli parte della mia sanità mentale, quella che perdevo quando Kat si metteva in testa di occuparsi del mio look e della mia vita sociale.

Tornai a casa, vidi la macchina di mia madre già parcheggiata nel vialetto e cominciai ad irrigidirmi. Non ero riuscita più a parlarle da quella sera del mio compleanno, avrei voluto scusarmi ma non ci ero riuscita. La scatolina con la lettera era ancora sotterrata nel mio cassetto, non avevo avuto il coraggio di aprirla di nuovo nè tanto meno di leggere quella lettera.
L'idea di non entrare, per tornare più tardi, quando non avrei trovato nessuno in giro per casa, era sempre più forte. Ma ci riflettei e mi rifiutai di scappare di nuovo, così presi un grande respiro ed entrai. In quel momento capii ancor di più che la mia coscienza aveva sbalzi d'umore assurdi, alcune volte si sforzava di incoraggiarmi, altre volte mi rendeva ancora più codarda. Con Jace ero decisamente passata da un estremo all'altro e alla fine il lato codardo aveva avuto la meglio.

In cucina trovai mia madre e mio fratello parlottare tra di loro a bassa voce e rimasi interdetta quando scrutai meglio le loro facce e vidi un misto tra tristezza e avvilimento, disperazione.
Appena mi notarono cessarono di parlare e Dylan assunse un'espressione quasi allarmata.

"De-Desteny." balbettò, sorpreso. Probabilmente non mi aveva sentita arrivare.

"Hei." dissi con un filo di voce e uno sguardo interrogativo.

"Sei già tornata?" era palesemente nervoso e mi chiesi cosa stesse succedendo, sicuramente qualche altro casino.

"Si, cosa succede qui?" indagai lanciandogli un'occhiata per fargli capire che doveva assolutamente dirmi tutta la verità.

"Desteny...noi" si intromise mia madre con voce tremante e solo in quel momento notai le lacrime che rigavano il suo volto.

"Mi dite cosa succede?" domandai impaziente.

"Papà è stato ricoverato." sbottò Dylan e io rimasi impietrita. "Si è sentito male ma la situazione è sotto controllo, sta bene ma quando lo dimetteranno andrà direttamente in quel centro di recupero."  Rimasi interdetta per qualche secondo prima di riprovare a parlare per capirci qualcosa in più.

"E tu perché piangi?" mi rivolsi a mia madre in modo fin troppo duro. Non volevo essere cattiva ma in quelle situazioni la sua debolezza mi dava troppo sui nervi. Insomma, lei era la madre, era lei che doveva infondere coraggio, era lei a dover consolare noi. Non poteva comportarsi come una bambina spaventata, non poteva lasciare a noi il peso di cavarcela da soli e badare anche a lei, era da sempre così e non era giusto. Mia madre non rispose scossa dai singhiozzi e dalle lacrime, di cui non capivo davvero il motivo. Ogni volta che quel fannullone di mio padre veniva ripreso da qualche centro in casa regnava un po' più di pace, nonostante le crisi di mia madre e i litigi con Dylan, che però, ora, non sembravano più essere un problema.

"Desteny... Lascia perdere, è scossa." mi riprese Dylan, in modo però non molto duro, quasi premuroso.

"Anch'io sono scossa Dylan! Tutti noi lo siamo e non abbiamo messo su un teatrino. Dovrebbe essere felice di essersi sbarazzata per un po' di lui." Da come parlavo sembrava la odiassi con tutta me stessa, ma non era così. Lei non aveva mai espresso il suo bene verso di me, non come ne avevo bisogno io almeno. Io non ero forte, non potevo essere forte per entrambe. Avevo bisogno di lei, dei suoi abbracci, della sue parole, avevo bisogno di mia madre. Ma lei non c'era, lei era troppo debole per esserci. Lo era sempre stata.

La ragazza di vetro (DISPONIBILE CARTACEO!)Where stories live. Discover now