39. Non passerai.

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"Aspetto amore, ma tu non mi amerai.
Aspetto sicurezza, ma tu non mi rassicurerai.
Aspetto di vederti, ma tu non mi vedrai.
Ti aspetto comunque, perché non passerai."

Mi svegliai con la gola in fiamme e la pelle imperlata di sudore. Presi la testa che mi pulsava tra le mani tremanti, era buio, fuori pioveva. Nemmeno il ticchettio della pioggia, però, riuscì a calmarmi, rimasi a letto finché riuscii a sentire di nuovo le gambe e riuscii a tenermi su di esse con stabilità. Scesi in cucina, che era completamente deserta, nonostante fossero le sei e mezza passate di mattina. Presi un bicchiere d'acqua e mi diressi in bagno per fare una doccia, evitando di guardarmi allo specchio perché sapevo già cosa avrei visto. Un volto scavato nel dolore, un'anima scavata nella disperazione di una vita orribile. Perché era quello la mia vita ormai, orribile. Mi vestii velocemente e uscii di casa senza curarmi di sembrare uno spaventapasseri appena scappato da una clinica psichiatrica.
Arrivai a scuola e subito vidi Kat venirmi incontro nel corridoio d'entrata.

"Hei, come stai?" mi chiese stringendomi in un abbraccio. Ripeteva quella stessa frase da dieci mattine ormai appena mi vedeva, ogni volta nella stessa identica maniera. Con quel tono che io odiavo da chiunque e che sopportavo a stento da lei che era la mia migliore amica, quel tono odiosamente compatito, come se avessi passato il peggiore dei guai.

"La mia risposta non cambierà a distanza di dodici ore Kat. Sto bene." alzai gli occhi al cielo. Non volevo essere dura, sapevo che lo faceva per me, perché era preoccupata, ma davvero non ne potevo più di quel tono.

"Scusami..." si incupì per un attimo ma poi si riprese. "Oggi vieni con me, niente scuse, niente impegni."

"E dove dovrei venire?"

"Non te lo dico, altrimenti scappi." mi disse con voce innocente.

"Kat." le lanciai un'occhiataccia sapendo a cosa stesse pensando.

"Dai Dè ci divertiremo!" mi supplicò a mani congiunte.

"No Kat non mi trascinerai a fare shopping, piuttosto rimango chiusa nello stanzino del bidello fino a Natale!" piagnucolai.

"Ti prego ti prego ti prego! Fallo per me, devi aiutarmi!" continuò, come una bambina di sei anni che chiedeva alla mamma di comprarle la bambola nuova.  Mi supplicò fino al suono della campanella.

"Sai che non smetterò finché non dirai di sì." tentò un'ultima volta.

"Va bene ma..." non feci in tempo a finire la frase che mi era già saltata al collo esultando.

"Grazie grazie grazie. A dopo!" mi liquidò dopo qualche secondo.

Sbuffai e mi diressi in classe con aria nuovamente afflitta.
In quei giorni gli unici che erano riusciti a farmi distrarre erano stati Kat e Dylan. Kat sapeva tutto, e poi lei c'era sempre stata, quindi non mi sorprendeva. Ma Dylan era semplicemente stato presente, non sapevo se avesse capito o meno ciò che mi turbava ancor di più del solito, non aveva fatto domande, si era limitato a passare del tempo con me semplicemente guardando la TV o parlando. Una sera mi aveva persino portata a vedere la sua partita di Lacrosse, mi aveva letteralmente pregata e non ero riuscita a rifiutare, nonostante il mio umore non fosse dei migliori. Mi aveva presentato ad alcuni suoi amici e avevo persino scoperto il nome di una ragazza che gli piaceva, Lydia. Mi aveva parlato di lei, dei suoi capelli corvini e dei suoi occhi azzurri, mi aveva raccontato del loro incontro a scuola e delle loro chiacchierate, seppur in modo superficiale e avevo capito che per lui era speciale quella ragazza. Si notava da come pronunciava il suo nome, da come cercava di non avere stampato in faccia un sorriso beota quando parlava di lei. Gli avevo consigliato di farsi avanti ma mi aveva liquidato dicendo che era complicato, che lei stava con un altro e che qualunque cosa ci fosse tra di loro non poteva continuare. Mi ero bloccata a quel commento non sapendo come rispondere, non ero in vena di dare consigli amorosi, non ero per niente la persona giusta.

La ragazza di vetro (DISPONIBILE CARTACEO!)Where stories live. Discover now