Stronger

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Zelda




Prendo un bel respiro prima di rientrare in mensa.

Il diverbio con Eric ha richiesto l'impiego di tutto il mio autocontrollo, i miei nervi stanno ancora fremendo.

Ora capisco perché nessuno degli altri riesce a fissarlo negli occhi: gli abissi che si nascondono in fondo a quelle iridi grigie sono spazi inesplorati, pericolosi e bui come le profondità degli oceani.

Le persone normali, quelle sane di mente, preferiscono rimanere su terreni conosciuti, non avventurarsi in luoghi potenzialmente oscuri, abitati da chissà quale specie assassina.

Io no.

A me sono sempre piaciute le cose strane, insolite e ambigue: fa tutto parte della mia natura essenzialmente curiosa e intraprendente.
Quando ero piccola, risolvere gli enigmi era il mio gioco preferito: riuscivo sempre a battere i miei fratelli e loro non perdevano occasione per farmela pagare.

Come quando Alfred mi ha fatto bere quella tazza di cioccolata avvelenata.

Sento i muscoli del collo tendersi.

Ogni volta che ripenso a quell'episodio vengo assalita da un'ondata di nausea e da un terrore così intenso che mi impedisce di respirare.
Tutto il mio corpo ricorda quel giorno, come se fosse una ferita impossibile da rimarginare, nonostante svariati anni di cure.

Quando Felix ha piazzato davanti a me quella fetta di torta, poco fa, mi sono quasi sentita mancare.

Anche solo l'odore dolce del cioccolato rischia di provocarmi le convulsioni, come se stessi affogando in una pozza d'acqua poco profonda, ma fossi troppo terrorizzata per raggiungere la superficie e trarmi in salvo.

Ho dovuto afferrare la panca di legno con entrambe le mani e respirare dalla bocca per non vomitare.
Avrei voluto prendere l'intero vassoio e scaraventarlo con rabbia nel cestino.

Come se quel ricordo traumatico non fosse, di per sé, già abbastanza da sopportare, ho dovuto affrontare anche gli sguardi increduli dei miei vicini di tavolo, che non la finivano più di stressarmi con le loro domande.
Se non fossi stata troppo occupata a celare il panico che si stava facendo strada nelle mie vene, avrei perfino potuto ridere alla battuta di Xavier.

So che non l'ha detto per offendermi e non io sono così permalosa da prendermela per una semplice punzecchiatura, ma in quel momento gli avrei volentieri mollato un sonoro ceffone.

Vedere gli altri ridere di me è stata l'ultima goccia.

I miei condotti lacrimali stavano giusto aspettando l'occasione più propizia per tracimare.
Sono dovuta correre via per calmarmi e non scoppiare a piangere.

Non sono mai stata una ragazza piagnucolosa.
Preferisco mordermi le labbra fino a farle sanguinare piuttosto che mostrarmi debole agli occhi altrui.

Tuttavia, in poche ore ho vissuto esperienze che hanno messo a dura prova il mio sangue freddo e la mia capacità di sopportazione deve essere giunta al limite.
Sono come una bomba a orologeria pronta ad esplodere al minimo tocco.

Speravo di trarre beneficio da quella fuga, invece si è rivelata una lama a doppio taglio.

Perché, perché Eric mi ha seguita?

Brutto stronzo, non potevi lasciarmi sola per due minuti?!
Cosa pensavi, che stessi architettando un piano per farti fuori?
Beh, non è detta l'ultima parola, posso sempre strozzarti nel sonno!


Avrei voglia di urlargli contro questi pensieri, anche solo per sfogarmi, ma credo di aver già fatto abbastanza per oggi.

Dopo che gli ho parlato con quel tono furioso e irrispettoso, ho pensato che mi avrebbe presa per la gola e soffocata lentamente, per farmi gustare ogni singolo minuto di agonia.

Sarebbe proprio nel suo stile.

Invece - cosa assolutamente inspiegabile - mi ha lasciata tornare indietro tutta intera.
Ho avuto l'impressione che volesse aggiungere qualcosa dopo che gli ho – sottilmente – rinfacciato la perdita del mio adorato bracciale, ma è rimasto zitto mentre mi allontanavo.

Pensavi si fosse pentito? Povera illusa.

Il mio inconscio ha ragione, Eric non è un essere umano.

E' molto più simile ad una roccia: fredda, senza cuore, incapace di provare emozioni.

Per questo che, anche se si impegna al massimo, non riuscirà mai a spaventarmi.

Perché sono esattamente come lui, una ragazza dai tratti scolpiti nella pietra.

Quasi nulla riesce a filtrare all'interno della spessa armatura che ho costruito attorno al mio cuore, con cura, anno dopo anno, per proteggerlo, per impedirgli di infrangersi in mille pezzi, ma, allo stesso tempo, per avere un luogo in cui rifugiarmi, al quale solo io posso accedere.

Da quando mia madre è morta, ho vissuto esperienze sgradevoli, che non auguro a nessuno.
Ho lottato duramente per diventare ciò che sono ora, soffocando in continuazione il mio animo troppo sensibile.

Il mondo in cui vivevo non era fatto per i deboli dal cuore tenero.

Un'altra persona, probabilmente, si sarebbe arresa, avrebbe ceduto, ma non io.

Non Zelda Blackburn.

Ciò che non ti uccide, ti fortifica.

Erano quelle le parole incise all'interno del bracciale argentato.
Ci ho messo anni per comprendere appieno il loro significato, per metterle in pratica, per dimostrare a me stessa che sono più forte di quello che sembro, più forte di quanto credevo.

Grazie all'intervento di Eric, quell'oggetto, simbolo delle mie vittorie personali e del legame profondo che ancora mi unisce a mia madre, ora è ridotto in cenere.
Distrutto, perduto per sempre.

E quel bastardo insensibile ha anche il coraggio di spiarmi, pedinarmi e, per finire, chiedermi spiegazioni che io non darei nemmeno ai miei amici, figurarsi ad un ragazzo odioso come lui.

E poi, perché mai gli interessa?!
Di certo stava solo cercando di provocarmi, magari per avere un valido motivo per punirmi o cacciarmi dalla fazione.

Grrr, lo detesto!

Spalanco la porta della mensa con un'energica spallata e mi fiondo all'interno, prima di ritrovarmelo di nuovo davanti.
Non risponderei delle mie azioni, questo è poco ma sicuro.

Ritorno al tavolo a passo di carica e mi butto sulla panca, vicino a Xavier.
Nei piatti non è rimasta neanche una briciola di dolce, per cui il mio umore migliora un po'.

Leslie mi posa una mano sulla spalla. – Va tutto bene, Zelda? – chiede, in tono preoccupato, guardandomi fisso per decifrare la mia espressione.

Io mi limito ad annuire, cercando di sembrare convincente.

Chissà che faccia farebbe se le raccontassi del mio litigio con Eric.
Inorridita, suppongo.

Lei non avrebbe saputo tenergli testa come ho fatto io: sarebbe sicuramente scoppiata in lacrime sotto lo sguardo raggelante del Capofazione.

Xavier si sporge verso di me, con fare imbarazzato. – Senti, Zelda...io non volevo...cioè, non avevo idea...-.
Deglutisce e non riesce nemmeno a finire la frase.

Lo vedo in difficoltà e mi intenerisco.
Appoggio la mia mano sulla sua, dandogli una leggera stretta rassicurante. – Non fa nulla, davvero. Lascia perdere -.

Sta per ribattere, ma un'occhiata di Felix lo costringe a tacere.

Scambio uno sguardo con il gemello dagli occhi azzurri.
Lui intercetta al volo il mio muto ringraziamento e mi sorride come per dire 'di nulla, è un piacere'.

In quel momento sento la porta aprirsi di nuovo con un tonfo.

So perfettamente chi l'ha spinta, perciò non mi volto per seguire la figura possente di Eric con gli occhi, come stanno facendo tutti gli altri attorno a me.

Intreccio le dita e fisso un punto impreciso sulla parete.

Non posso fare a meno di notare che nemmeno Quattro si scomoda a guardare l'ingresso del Capofazione.
Provo un'immediata simpatia nei suoi confronti: non sarà una persona affabile, ma almeno una cosa in comune l'abbiamo.

L'odio profondo per Eric.

Burn in my frozen heart like a dancing flameWhere stories live. Discover now