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Zelda




Apro lentamente le palpebre, per godere il più a lungo possibile della sensazione di torpore che il sonno mi ha gentilmente donato.

Non ricordo con precisione cosa stavo sognando, ma doveva essere qualcosa di veramente piacevole perché, quando mi sveglio del tutto, sorrido beata.
Era da tanto che non dormivo così bene. Quando vivevo con i miei fratelli avevo imparato a rimanere vigile anche mentre mi trovavo nel mondo dei sogni: scattavo in piedi al minimo rumore, terrorizzata dal fatto che potessero architettare qualche scherzo ai miei danni anche nel bel mezzo della notte. Era successo poche volte, ma non avrei dato loro la sensazione di cogliermi impreparata. Di nuovo.

Sospiro e mi stiracchio leggermente, alzando le braccia sopra la testa e strizzando gli occhi per mettere a fuoco il dormitorio.
Mi aspetto di sentire i rimproveri di Mel da un momento all'altro ('Zelda, smettila di poltrire a letto, dobbiamo andare a fare shopping!'), invece il silenzio è pressoché assoluto, interrotto solo da un respiro sommesso a poca distanza da me.

Strano, non avverto nemmeno il leggero russare di Felix, o i bisbigli di Leslie e Xavier che bisticciano di frequente, a causa della spiccata capacità del ragazzo di barare ogni volta che giocano a carte.

Quando metto finalmente a fuoco la stanza, la realtà mi colpisce come un pugno nello stomaco.

Spalanco gli occhi di colpo e scatto a sedere. Gli avvenimenti della giornata si sovrappongono gli uni sugli altri, vorticano nella mia testa in modo confuso, ma la scena avvenuta nel Pozzo mi scorre davanti come un film, precisa, nitida e terrificante.

Stringo con forza il lenzuolo candido e lo premo contro la bocca per impedirmi di emettere un gemito d'orrore.
Non so se la sensazione di disperazione che mi invade da capo a piedi sia dovuta al suicidio di Oliver, di per sé già tragico, o al fatto che non sia riuscita a impedirgli di togliersi la vita.

Il senso di colpa mi mozza il respiro in gola e non riesco a trattenere un singhiozzo. Sento le lacrime bagnarmi le guance e scendere fino al mento, prima che mi decida ad asciugarle col dorso della mano.

Non so nemmeno perché sto piangendo. Dovrei essere felice di essere uscita viva da quell'assalto ingiustificato e che il colpevole non possa più farmi del male.
Invece mi sento svuotata, impotente, con un macigno al posto del cuore.

Un altro gemito mi esce dalle labbra senza che possa farci nulla. Ho solo bisogno di sfogarmi, ne ho viste troppe da quando sono qui. Piangere non è sinonimo di debolezza, significa solo che sono ancora capace di provare sentimenti, che sono ancora umana.

Stringo i denti e mi strofino gli occhi con le dita, mentre cerco di riprendere a respirare in modo normale.

Lancio una veloce occhiata alla mia sinistra, dove riposa un corpo caldo e muscoloso, a cui sono stata avvinghiata per la maggior parte del tempo durante il sonno.
Non che la cosa mi sia dispiaciuta, mi guardo bene dal lamentarmi.

Eric dorme profondamente, grazie al cielo non ha assistito alla mia pietosa perdita di autocontrollo. E' sdraiato sulla schiena, il lenzuolo lo ricopre a malapena, lasciandomi la possibilità di ammirare ampi scorci di pelle tatuata e tonica. Gli addominali scolpiti sono coperti dalla spessa fasciatura che gli ho praticato poco fa – o ore fa, non so nemmeno per quanto tempo ho dormito.

Mi sporgo dalla sua parte per dare un'occhiata alla sveglia e mi sorprendo nel constatare che sono le otto di sera passate. Ho dormito tutto il pomeriggio in camera sua!
Se qualcuno dovesse scoprirlo potrebbe essere molto imbarazzante, specialmente se con 'qualcuno' si intende Mel!

Sbuffo e passo una mano nella massa arruffata che identifico come i miei capelli.
Nonostante tutto, non voglio davvero andarmene da questa stanza. Qui per qualche ora mi sono sentita al sicuro, e il merito va senz'altro alla presenza di Eric.

E alle sue braccia che ti stringevano, non dimentichiamolo!

Arrossisco ripensando al bacio che gli ho dato e al tono tenero con cui lui mi ha chiesto di rimanergli accanto. Certo, era ubriaco e gli avevano appena sparato ... non c'è da sorprendersi se si sentisse un minimo confuso.

Sorrido involontariamente e rimango un bel pezzo a fissarlo. Mentre dorme i tratti del suo volto si fanno meno spigolosi, perde la sua tipica aria di sufficienza e superiorità, assomigliando meno al rigido Capofazione degli Intrepidi e più al ragazzo diciassettenne che dovrebbe essere.

La tentazione di toccarlo è forte, troppo forte. L'elettricità che sento vibrare in mezzo a noi quando ci sfioriamo ora è concentrata al massimo, non fa che spingermi verso di lui e devo fare un enorme sforzo per resisterle.

Attrazione fisica. Deve essere così, non riesco a spiegarla in altro modo.

Il mio corpo è attirato dal suo, come se lo riconoscesse, come se lo stesse aspettando da tempo, come se sapesse perfettamente che è destinato a me.

Di che mi stupisco? È ovvio che mi senta attratta da lui anche fisicamente.

All'inizio mi sono innamorata del suo carattere, così simile al mio, eppure così diverso allo stesso tempo. Mi piace anche il suo modo di fare, sebbene a volte sia eccessivamente crudele e quasi privo di tatto e sensibilità. Quasi.

Non posso certo dimenticare le innumerevoli volte in cui si è precipitato in mio soccorso: ha cercato di tranquillizzarmi quando eravamo prigionieri in quell'ascensore, si è messo in mezzo per difendermi dai miei fratelli, si è deliberatamente esposto per salvarmi dalla pazzia di Oliver, beccandosi come premio un colpo d'arma da fuoco ...

Sbatto le palpebre e inclino il capo da un lato. Mi rendo improvvisamente conto che Eric ha un lato gentile ... e che lo tira fuori solo quando è con me. Non credo che sarebbe corso in difesa di Xavier, o Leslie, o qualsiasi altro iniziato. Forse, a suo modo, anche lui tiene a me.

Il pensiero mi rende felice e cancella l'angoscia che mi attanagliava fino a pochi attimi prima.
So bene che non devo farmi illusioni, che molto probabilmente Eric non ricambierà mai i sentimenti che ormai mi legano a lui, ma non posso impedire ad un raggio di speranza di farsi largo nel mio cuore.

Mi concedo di restare in contemplazione del suo volto per altri cinque minuti, poi mi armo di forza di volontà e mi alzo dal letto, cercando di fare meno rumore possibile.

Entro in bagno e chiudo delicatamente la porta alle mie spalle. Mi piazzo davanti allo specchio e cerco di dare una sistemata ai miei capelli: la lotta dura circa dieci minuti e termina con la sconfitta della sottoscritta.

Sospiro esasperata e li lego in una spessa treccia, che mi ricade sulla spalla sinistra.
Mi sciacquo il viso con l'acqua fredda, per eliminare le ultime tracce di lacrime. I miei occhi rimangono rossi e lucidi, ma decisamente meno gonfi.
Concedo alla mia immagine riflessa un sorriso mesto, prima di voltarmi e tornare nella stanza.

Non riesco nemmeno a fare un passo, mi immobilizzo sulla porta del bagno e trattengo il respiro.
Eric è appoggiato con la schiena alla testiera del letto e mi squadra con i suoi occhi di ghiaccio, inarcando appena le sopracciglia chiare. – Zelda – mi saluta, con un impercettibile cenno del capo.

Non riesco a decifrare il suo tono di voce. Pare una via di mezzo tra perplessità e ironia, con l'aggiunta di un pizzico di incredulità.

Mi impongo di continuare a guardarlo negli occhi. Non arrossire, maledizione, non arrossire.
Visto che il mio corpo non risponde agli ordini del mio cervello come vorrei, abbasso lo sguardo a terra e mi tormento le mani in preda al nervosismo. – Io ... ecco ... - balbetto, senza sapere cosa dire.

Quando prendo coraggio e torno a fissarlo, Eric ricambia con un'occhiata preoccupata. Si sofferma sui miei occhi e stringe le palpebre. – Cos'è successo? Stai bene? – chiede, mentre cerca di alzarsi dal letto. Il movimento repentino lo fa gemere e diventare ancora più pallido.

Muovo qualche passo verso di lui. Mi accorgo che sulla sua fasciatura si sta allargando una macchia cremisi e l'imbarazzo si dissolve di colpo.

Appoggio le mani sulle sue spalle, intimandogli con un'occhiata di darmi retta.
Eric emette uno sbuffo seccato, ma asseconda i miei ordini senza protestare, docile come un bambino. Non è da lui.
Forse il mio assalto di poche ore fa l'ha terrorizzato e ha paura che lo baci di nuovo a tradimento. Il mio orgoglio scricchiola come una lastra di ghiaccio calpestata con forza.

Stringo i pugni. Beh, non deve preoccuparsi. Non succederà più.

Lo faccio stendere sul letto e gli sistemo il cuscino dietro la testa. – Devo cambiarti le bende e dare un'occhiata ai punti – dichiaro, evitando di guardarlo in faccia. Afferro lo scatolone con i pezzi di benda avanzati e lo stringo tra le braccia. – Muoviti il meno possibile, devi dare alla ferita il tempo di cicatrizzarsi o tornerà a sanguinare -.

Quando pronuncio l'ultima parola, la mia mano è già sulla maniglia della porta che conduce nel corridoio.

Lo sento sospirare. – Zelda ... – comincia, ma io lo interrompo con un gesto della mano.

– Tu resta fermo. Torno tra poco –.

Detto ciò, apro la porta e sparisco nel tunnel.




Burn in my frozen heart like a dancing flameWhere stories live. Discover now