Don't wanna let you go (part 2)

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Eric





Credo che l'adrenalina impieghi solamente mezzo secondo a entrarmi in circolo. La vista si fa più lucida, sento i muscoli pronti a scattare.

L'Erudito tiene il braccio disteso davanti a sé, la pistola rivolta nella nostra direzione. Più precisamente, sta mirando al cuore di Zelda.
Non ha esitazioni, non trema neanche un po'. Ha lo sguardo allucinato, folle, è veramente uscito di senno. Stringe appena gli occhi e spara.

Nemmeno io ho esitazioni.
Non mi preoccupo neanche per un istante della mia incolumità, ogni mio pensiero è rivolto alla ragazza che mi sta di fianco.

Zelda è rimasta a fissare Oliver come se la stesse braccando, allo stesso modo di un animaletto che si trova senza preavviso al cospetto di un feroce avvoltoio affamato. Resta immobile ad aspettare il colpo, non fa nulla per schivare il proiettile che si sta dirigendo a tutta velocità verso di lei.

Maledizione!

Non presto ascolto alle urla d'orrore che rimbombano nella grotta. Mi slancio di lato e afferro Zelda per la vita, buttandola a terra senza troppa delicatezza.
Un'atroce fitta al fianco sinistro mi avverte che non sono stato abbastanza veloce: la pallottola mi ha colpito, sebbene solo di striscio. Farebbe molto più male se mi fosse entrata sotto pelle, lo so per esperienza. Stringo la presa sulla ragazza, mentre invio un muto ringraziamento ai miei ottimi riflessi.

Almeno lei è salva.

Gli occhi di Zelda sono spalancati per la paura, ha il respiro affannoso. – Stai bene? – chiedo, osservando il suo viso con preoccupazione.

Lei ricambia il mio sguardo. Sbatte velocemente le palpebre, come se le avessi fatto una domanda oltremodo complicata e alla fine riesce a mormorare un poco convinto: - Sì, credo di sì -.

Ci fissiamo negli occhi per un interminabile momento, poi la mia attenzione viene attirata da altre urla, questa volta più acute.
Digrigno i denti, mollo la presa su Zelda e mi rialzo in piedi. Il dolore al fianco si acuisce non appena mi muovo: trattengo un gemito e premo una mano sulla ferita. Il sangue ha già iniziato a inzuppare la mia maglietta.

Quanto vorrei averla io quella pistola! Perché non ho mai un'arma a portata di mano quando serve?! Fisso Oliver con uno sguardo d'odio puro.

Quel dannato iniziato ha davvero avuto il coraggio di premere il grilletto. Non me lo sarei mai aspettato, non lo facevo così impulsivo, o disperato.
L'ho sempre visto come un debole, non riusciva nemmeno a guardarmi in faccia.
Potrei anche provare pena per lui, se non avesse osato puntare la sua fottuta arma contro Zelda – la mia Zelda, dannazione!
Se avesse cercato di uccidere me, forse sarei riuscito a provare un minimo di pietà nei suoi confronti, o almeno avrei capito il motivo di un gesto così estremo. La lista dei miei nemici è lunga, non sono esattamente l'idolo della maggior parte delle persone che mi circondano.

Ma come si può anche solo pensare di voler far del male ad una persona altruista, buona e gentile come Zelda? Dopo averla conosciuta, nemmeno io mi azzarderei mai a torcerle un capello. Mi vergognerei profondamente di me stesso, non mi darei pace se con i miei modi violenti dovessi metterla in pericolo.
Dal primo giorno, da quando l'ho sentita cantare per la prima volta, Zelda mi ha cambiato.
Lei è stata, è e - lo so per certo - sarà l'unica capace di penetrare la barriera di ghiaccio che custodisce il mio cuore.

Dannazione, Eric! Ma dico, ti sembra il momento adatto per queste riflessioni filosofiche?!
Non hai qualcosa da fare, tipo cercare di fermare quel pazzo squilibrato che ti ha appena ferito?!
Rientra nel tuo ruolo di Capofazione e vedi di restarci!


Oliver, grazie al cielo, comincia a dare segni di cedimento. Abbassa lentamente l'arma, osservandola con orrore, neanche fosse un insetto ripugnante e velenoso, e la getta a terra con violenza. Poi, inspiegabilmente, si butta sul pavimento a sua volta e comincia ad emettere lamenti strozzati, come se lui fosse solamente una vittima e non un folle bastardo che ha appena terrorizzato mezza fazione e tentato di ammazzare una ragazza disarmata e innocente.

Non lo perdo di vista neanche per un istante. La sua potrebbe essere tutta una recita ben orchestrata, non posso permettergli di cogliermi di sorpresa una seconda volta.
Faccio un cenno alle guardie del Pozzo per invitarle a procedere all'arresto dell'iniziato.
La legge parla chiaro, finirà in carcere a vita. Probabilmente nel reparto psichiatrico.

Con la coda dell'occhio vedo Zelda accennare un passo in avanti e mi irrigidisco.
Anche lei non ha smesso di osservare Oliver, che se ne sta accovacciato su se stesso mentre piange come un bambino.

Prego che non le sia venuto in mente di fare ciò che sto pensando stia per fare.

Zelda non sembra avvertire la mia occhiata ammonitrice, così le prendo il polso prima che possa andare incontro al pericolo di propria iniziativa.
Sarebbe tipico di lei. – Sei impazzita? -. La tiro verso di me d'istinto, ma non smetto di guardare Oliver. La mia voce di fa dura e sottilmente ironica. – Cos'hai intenzione di fare? Aspiri al suicidio? -.

Che non ti venga in mente di avvicinarti a quel bastardo, vorrei aggiungere.
Non pensare neanche di chiedermelo, perché la risposta è no. Assolutamente no, maledizione!

Zelda non replica, ma sento il suo sguardo trapassarmi da parte a parte. Alla fine sono costretto ad incrociare i suoi occhi, seppur riluttante.
So benissimo quanta persuasione possano scatenare quelle iridi infuocate, non voglio dargliela vinta così facilmente. Questa volta c'è in ballo la sua sicurezza, non un ridicolo braccialetto!

Lei non batte ciglio davanti ad una delle mie collaudate occhiatacce che, di solito, riescono a piegare anche il più coraggioso degli Intrepidi.
Uno sguardo del genere potrebbe ridurre in polvere un intero masso di granito con estrema facilità, eppure non sembra sortire il minimo effetto su questa ragazzina.

Zelda continua a fissarmi intensamente. – Voglio sapere perché l'ha fatto. Ha bisogno d'aiuto – dice in tono fermo e convinto. – Lasciami andare -.

No, la risposta è no. Assolutamente no!

Forse la vera pazza è lei, non quell'Erudito piagnucoloso.
Mi chino in avanti fino a trovarmi a un centimetro dal suo volto. - Te lo puoi scordare! Guardalo, maledizione! Quel ragazzo ha perso del tutto la ragione, potrebbe ammazzarti nel giro di due secondi in preda a un attacco di rabbia. Cosa pensi di fare, andare da lui e offrirgli una spalla su cui piangere? Sai quale sarebbe la sua reazione? Ti stringerebbe entrambe le mani attorno al collo e non mollerebbe la presa finché non ti vedrebbe esalare l'ultimo respiro! -.

Rimango a fissarla per un interminabile momento, poi ricordo - con rammarico - che non siamo soli. La lascio andare controvoglia e mi guardo attorno, nella speranza che nessuno abbia notato la mia, chiamiamola 'simpatia' per questa insopportabile, assurda, impulsiva, trasfazione.

Nessuno sta prestando attenzione a noi e al nostro battibecco, tutti gli sguardi sono puntati su quell'imbecille di iniziato che piange e si lamenta come se gli stessimo bruciando le dita dei piedi ad una ad una.

Però! Non sarebbe una cattiva idea...

I miei pensieri spietati vengono interrotti da una mossa fulminea di Zelda, che riesce a scattare in avanti prima che possa trattenerla.
– Maledizione! – sibilo, ma ormai è tardi. Non posso fare altro che rimanere lì immobile ad osservare la scena.

Intanto le guardie si sono posizionate intorno all'iniziato, pronte ad obbedire al mio prossimo ordine. Quando Zelda si avvicina ad Oliver, con passi lenti e misurati come se avesse davanti un animale selvatico e imprevedibile, loro mi gettano un'occhiata interdetta.
Faccio cenno di lasciarla fare, anche se a malincuore.

Io mi becco un proiettile per salvarle la vita e lei cosa fa? Va a parlare con il pazzo che le ha appena sparato.
Logico e razionale, davvero. Non fa una piega, penso con velenosa ironia.
Ma si può essere così... così ...
Dannazione, non riesco nemmeno a concentrarmi a sufficienza per trovare un termine adatto. Il mio cervello è troppo impegnato a calibrare ogni singola mossa di Oliver per prevenire un secondo raptus di follia omicida.

Zelda calcia via la pistola e una delle guardie la prende al volo. Faccio una smorfia. Almeno le è rimasta una briciola di buonsenso, anche se millimetrica e quasi invisibile.

Oliver toglie le mani dal volto e la guarda ad occhi spalancati, come se si trattasse di un fantasma o di un'apparizione improvvisa.
Anche se tendo le orecchie al massimo non riesco a decifrare le frasi che si scambiano: distinguo solo le spalle tremanti dell'Erudito e il tono morbido di Zelda. È lo stesso che usa con Ted, quando vuole rabbonirlo.

- Hai tentato di uccidermi, Oliver – dice Zelda a voce abbastanza alta da farsi udire da me.

Provo un'inaspettata vampata di irrazionale gelosia quando la vedo posare le mani sulle spalle del ragazzo. Si è forse scordata il modo in cui l'ha guardata un attimo prima di premere il grilletto? Il suo sguardo feroce non le ha fatto alcun effetto? Come può trattarlo con tanta gentilezza?

Se qualcuno mi avesse prima minacciato e poi avesse tentato di farmi fuori, avrei quanto meno voglia di fargliela pagare. Per non dire di peggio! Lei, invece, si limita a chiedergli: - Cosa speravi di ottenere? –.

Oliver impiega qualche minuto a rispondere, ma, quando lo fa, sento un brivido d'orrore percorrermi l'intera spina dorsale. Mormora qualche parola, poi si protende in avanti e scaraventa Zelda a terra senza tante cerimonie.

- Prendetelo, dannazione! – ringhio ai cinque Intrepidi che scattano all'istante verso di lui.

Per fortuna lo vedo indietreggiare e non aggredire la ragazza. Se l'avesse toccata di nuovo, anche solo con un dito, avrei dato l'ordine di mirare al suo cuore e fare fuoco.

L'Erudito sfugge agilmente alle guardie e si dirige verso... verso la ringhiera? Che diamine...?

Zelda si alza in piedi ed emette un gemito strozzato. Molto probabilmente è giunta alla mia stessa conclusione.

Quando Oliver sale sulla ringhiera e si sporge nel vuoto non mi sorprendo affatto.
Le guardie gli intimano di scendere, ma lui non sembra far caso alle loro minacce o alle armi puntate sulla sua testa. Inclina il corpo all'indietro e si lascia cadere nel baratro, senza emettere un suono.

Dalla folla si sollevano grida isteriche. La maggior parte degli Intrepidi corre verso lo strapiombo, da dove di sicuro possono ammirare il cadavere dell'iniziato in prima fila. Sempre che il torrente non l'abbia già condotto in profondità.

Approfitto dell'assenza di occhi indiscreti per avvicinarmi a Zelda.
Ad ogni passo il dolore al fianco si fa più intenso: il tessuto della maglietta entra in contatto con la pelle lacerata e mi fa stringere i denti.

Hai sopportato di peggio, mi ricorda la voce dell'inconscio in tono aspro.
Anche questo è vero, non posso che darle ragione. Per distrarmi, mi concentro sul profilo di Zelda.

Quando sono a poco meno di due passi da lei, noto che sta tremando.
Faccio appena in tempo a circondarle la vita con le braccia: se avessi agito con un secondo di ritardo sarebbe caduta di nuovo a terra.

Finalmente una reazione normale!

Non mi respinge, anzi si appoggia a me e alza lentamente la testa. I suoi occhi luccicano di lacrime trattenute, quasi mi stessero lanciando una muta richiesta di aiuto. La disperazione racchiusa in quello sguardo mi fa ammutolire, non posso fare altro che rimanere a fissarla, totalmente smarrito.

Cosa diavolo devo fare per consolare una ragazza che ha appena assistito ad un suicidio?!
Sopporto la vista di sangue e ossa spezzate, ma crollo davanti alle lacrime di una donna.
Splendido.
Se non fosse così umiliante per il mio ego, potrei quasi trovare un lato comico in questa situazione.

Tutto il caos creato da questi miei ragionamenti mentali scompare non appena Zelda appoggia la guancia al mio petto. Quando stringe la stoffa della maglietta tra le dita, provocandomi un'altra fitta di dolore al fianco, sussulto involontariamente.
Ma, invece di allontanarla, la stringo ancora di più a me.
Mi importa poco della ferita, anche se ad ogni respiro mi sembra di avere mille aghi piantati sottopelle. Voglio continuare a sentire il suo corpo premuto contro il mio, è una sensazione così ... piacevole.

Con Josie non è mai stato così. Non ho mai avuto voglia di abbracciarla, né consolarla, né mi sono mai impietosito di fronte ai suoi capricci. Le altre ... hmmm ... presenze femminili della mia vita hanno fatto tutte la stessa fine: più le conoscevo, più mi disgustavano.
Non tolleravo la loro vicinanza per più di un minuto e, alla fine, troncavo sul nascere ogni tentativo di rivendicazione nei miei confronti.

Con Zelda è diverso.
Innanzitutto, lei è sostanzialmente diversa da tutte loro.
Non è superficiale, né sciocca, e di certo non prevedibile. Se la tocco, non provo ripugnanza: anzi, voglio sempre di più.
Voglio sentirla sempre più vicina, ho addirittura voglia di baciarla, accidenti! Il che, detto da me, ha dell'incredibile, visto quanto poco sopporti le smancerie da fidanzatini.

Amare significa questo? Diventare uno stupido rimbambito che non riesce nemmeno a pensare ad altro, se non a lei, per un fottuto minuto?!
Ora capisco perché mio padre mi ha sempre detto di starci alla larga. Avrei dovuto dargli più credito.


Senza rendermene conto, comincio a far scorrere le dita tra i capelli di Zelda. Sono morbidi proprio come avevo immaginato. Non riesco a trattenere un sorrisetto, anche se è del tutto fuori luogo in un momento come questo.

Emetto un leggero sbuffo dal naso.
Io di certo non mi dispererò per la morte di quell'iniziato.
A mio parere, ha fatto un favore alla comunità e anche a se stesso: tra il trascorrere il resto della vita in una cella e farla finita gettandomi da quell'altezza, io personalmente avrei preferito la seconda opzione.

Mentre sono perso in queste amare riflessioni, Zelda si tira indietro di colpo, sciogliendosi dal mio abbraccio come se l'avessi minacciata con una lama affilata.
Trattengo una smorfia di delusione – non ero ancora pronto a lasciarla andare – e alzo un sopracciglio con aria ironica. – Cosa ...? – domando, ma lei non mi permette di finire.

Inizia a esaminare il mio torace, con un'espressione concentrata e preoccupata allo stesso tempo. Sposta il mio braccio e si immobilizza quando nota la chiazza scura che imbratta il tessuto della maglietta.
Rimane a bocca aperta e spalanca gli occhi. – Santo cielo, ti ha ... - comincia a dire, ma la interrompo a metà frase tappandole la bocca.

All'improvviso avverto una vampata di furia bruciare tra le tempie.
Scocca dal nulla come una scintilla e rende la mia risposta più dura di quanto vorrei. – Zitta – ordino, fulminandola con un'occhiata.

Non mi importa un accidenti della mia fottuta ferita, sto quasi per gridare.
L'unica cosa che volevo in questo momento, era rimanere tra le tue braccia. È chiedere troppo?!

Infuriato sia con lei che con me stesso per il brusco cambio di umore, mi volto in fretta e mi dirigo a grandi passi verso la mia stanza.
Ora che non ho più il calore del corpo di Zelda che mi fa da anestetizzante, sento la ferita tirare e bruciare come se qualcuno avesse appiccato un incendio proprio sotto la mia pelle.

Dovresti andare in infermeria, mi avverte la voce della ragione in tono saccente.
Come se non lo sapessi.
Solo perché sono innamorato – puah, spero di non dover mai pronunciare queste due parole ad alta voce! – non significa che mi stia tramutando in un completo cretino. O almeno me lo auguro!

Continuo ostinatamente a percorrere il corridoio che va nella direzione opposta, senza badare ai commenti pungenti del mio inconscio. Nel frattempo mi sto chiedendo se Zelda deciderà di seguirmi, per medicarmi come ha fatto l'altra sera con Ted.
Una parte di me esulta all'idea, mentre l'altra – quella orgogliosa – la respinge con disgusto.

Arranco fino alla porta della mia camera, la chiudo con un calcio e mi lascio ricadere sul letto.
Ho il respiro affannoso e la fronte ricoperta di sudore. Credo di aver preteso troppo da me stesso: in fin dei conti nemmeno io sono invincibile.
Avrei dovuto ascoltare la mia coscienza e lasciarmi condurre in infermeria. Poi però ripenso all'espressione di Zelda e stringo i denti.

No, ho fatto bene ad andarmene da lì, non permetterò che lei mi veda in questo stato.

Allungo il braccio e apro il secondo cassetto del comodino, tirandone fuori una bottiglia ancora sigillata. Non so nemmeno cosa contiene – è stato il regalo di Max per la mia nomina a Capofazione e non ho voluto indagare troppo sul contenuto.
Conoscendo i suoi gusti, si tratta di qualcosa di forte, di sicuro abbastanza per far passare il dolore che mi tiene avvinto in una morsa.

Svito il tappo e tracanno qualche sorso. Il liquido trasparente, e all'apparenza innocuo, lascia una scia di fuoco nella mia gola.
Arriccio le labbra: è più forte di quanto mi aspettassi. Osservo la bottiglia con un sopracciglio inarcato, chiedendomi distrattamente dove Max abbia scovato questo veleno alcolico.

In mezzo alla nuvola di torpore che si sta facendo strada in me, sento distintamente un leggero bussare alla porta. Rischio quasi di far cadere la bottiglia quando capisco che si tratta di Zelda e mi lascio sfuggire un grugnito di fastidio.

Passano alcuni secondi, ma il mio ostinato silenzio non sembra scoraggiarla come avevo sperato. Caparbia come suo solito, la trasfazione non si arrende e continua testardamente a colpire lo stipite.

Prima che l'alcol mi faccia perdere del tutto l'uso della ragione, mi decido ad articolare una risposta sufficientemente ostile. – Vattene! – tuono, per poi venire assalito da una vertigine che mi obbliga a gettare di nuovo la testa sul cuscino.

Non toccherò mai più un regalo di Max, lo giuro.

La voce di Zelda si fa più indistinta. – Per favore, fammi entrare – replica, non smettendo di prendere a pugni l'acciaio della soglia.
Dopo pochi secondi, il suo tono sale di alcune ottave. Scandisce le parole con colpi sempre più forti. – Dannazione, Eric! Apri. Questa. Maledetta. Porta. –.

Imprecando tra me, mi decido ad alzarmi per farla entrare. Sempre meglio che sentirla sbraitare come un'isterica fuori nel corridoio.
Fortunatamente il mio senso dell'equilibrio tiene testa all'alcol: arrivo incolume fino alla porta e la spalanco di scatto.

Zelda fa un passo indietro e mi guarda con astio. La situazione mi appare sempre più divertente, credo ci sia di mezzo lo zampino del regalo-misterioso-ma-letale-di-dubbia-provenienza.
Devo combattere contro una risata che si sta facendo strada nella mia gola per conservare la mia espressione di pietra.

Rientro nella stanza a passo malfermo, spero che lei non se ne accorga. Mi butto di nuovo sul letto e rimango ad osservarla mentre si guarda attorno con stupore.

Cosa pensava di trovare nella mia camera, macchine medievali per le torture?
Armi di ogni tipo incastonate nelle pareti? Un cappio appeso al soffitto?


Trovo l'ultima opzione stranamente divertente. Devo avere proprio un senso dell'umorismo perverso se l'idea di un nodo scorsoio minaccia di farmi scoppiare a ridere.
Ma molto probabilmente la colpa è dell'alcol che mi sta scorrendo nelle vene.

Zelda accenna ad un sorriso quando nota la sagoma che funge da bersaglio appesa alla parete e io sorrido a mia volta.
Mi affretto a bere un altro sorso. Preferisco di gran lunga quest'allegria forzata al senso di umiliazione che di certo proverei se fossi sobrio.

La ragazza smette di guardarsi attorno con meraviglia e appoggia uno scatolone sopra la mia scrivania. Come ho fatto a notarlo solo adesso?

Scuoto la testa. Com'era quel detto? 'In alto i bicchieri, giù i pensieri'?
O era il contrario? Ma come fa un ubriaco a capire la differenza tra su e giù?!

Tutto sembra ruotare attorno a me, vedo le pareti allargarsi e restringersi.
Mi massaggio le tempie, cercando – invano – di resistere al torpore.

Mi concentro sui movimenti di Zelda e sul contenuto dello scatolone allineato sopra al ripiano.
Quando si volta per lanciarmi una breve occhiata – forse per assicurarsi che io sia ancora nel pieno delle mie facoltà mentali – io ricambio corrugando le sopracciglia.
– So cosa vuoi fare – esclamo, con un tono divertito che sembra coglierla di sorpresa. – E la mia risposta è no -.

Zelda rimane un attimo interdetta, poi mi squadra da capo a piedi, fino a soffermarsi alla bottiglia appoggiata al mio fianco. L'occhiata di disapprovazione che mi lancia potrebbe ridurmi in cenere all'istante.
Si avvicina a me lentamente, come se fossi una pantera scappata da una gabbia. Cerca di sfilare la bottiglia dalla mia presa, ma i miei riflessi – seppur appannati dai fumi dell'alcol – rimangono più pronti dei suoi.

– Niente da fare, piccola – ribatto, mentre tracanno un altro generoso sorso.
Forse, dopotutto, inizio ad apprezzare i regali singolari di Max. Appoggio la bottiglia sul comodino e torno a posare gli occhi su Zelda. Sento le labbra schiudersi in un sorriso. È sempre stata così bella?

Come diavolo ho fatto a non buttarmi ai suoi piedi non appena è scesa da quel treno?

L'alcol mi fa dimenticare qualsiasi prudenza, elimina ogni mia paranoia o inibizione. Incrocio le braccia dietro la testa e socchiudo le palpebre. – Allora, bellezza, posso esserti utile? – chiedo, con un tono malizioso che fatico a considerare come mio.

Incredibilmente, anche Zelda assume un'aria divertita: sembra stia facendo di tutto per non scoppiare a ridere. Dopo un momento alza una mano e riprende un'espressione seria, come se si stesse preparando a farmi la predica.
Già mi immagino cosa sta per dire ...

– Devo toglierti la maglietta –.

Okay, mi aspettavo tutto tranne questo.

Alzo le braccia con un sorrisetto. – Ai tuoi ordini –. Tu puoi spogliarmi quando vuoi, piccola.

Zelda mi sfila la maglia, ben attenta a non toccarmi il fianco, e poi si avvia verso il bagno.
Ritorna un minuto dopo con un'espressione determinata sul volto.
Prende qualcosa dallo scatolone e, alla fine, si siede sul letto accanto a me. Inizia a passare del cotone umido sul taglio, riconosco l'odore pungente del disinfettante. Non sento alcun dolore, per cui ringrazio mentalmente quell'intruglio dall'alta gradazione alcolica.

Sento una melodia frullarmi in testa e, prima che il cervello possa impedire alla mia bocca di aprirsi, comincio a cantare sottovoce.

...l'inchiostro può macchiare la mia pelle, i miei jeans possono essere strappati. Io non sono perfetto, ma giuro ...

Zelda non sembra far caso a me e alla mia improvvisa vocazione canora.
Finisce di medicare la ferita e poi afferra un astuccio di pelle dalla tasca dei pantaloni. Cerco di ricordare dove l'abbia già visto, mi è familiare.

Alla prima puntura dell'ago tutti i muscoli del mio addome si tendono. In una frazione di secondo torno perfettamente lucido, come se mi avessero tirato un pugno allo stomaco.
Sbatto le palpebre per mettere a fuoco il volto della ragazza e digrigno i denti. – Che diavolo...? – sbotto, fissando l'ago che lei tiene tra le dita come se fosse un'arma mortale. – Mi sembrava di averti detto di andartene! Vattene, trasfazione, e lasciami in pace! -.

Zelda resta spiazzata dalla mia veemenza, ma si riprende in fretta e cerca di avvicinare di nuovo l'ago alla mia pelle.

La allontano come posso: anche se sono furioso, non le farei mai del male. In fondo sta solo cercando di aiutarmi, soccorrere le persone sembra essere la sua vocazione, la sua natura.

Solo che io non voglio essere aiutato, tanto meno da lei!

Ringhio e minaccio senza sosta e, alla fine, Zelda lascia ricadere la mano che stringe l'ago.
Mi sto già gustando la vittoria, quando lei si china su di me senza darmi il tempo di indovinare le sue intenzioni.
Solo quando appoggia delicatamente le sue labbra sulle mie, mi accorgo di star trattenendo il respiro.

Non ricordo più cosa stavo facendo fino a un istante prima.

La scarica di adrenalina che ho avvertito quando Oliver ha premuto il grilletto è niente in confronto a ciò che sto provando adesso.
Il dolore al fianco è un ricordo lontano: sento solo un piacevole calore irradiarsi nelle mie vene, un dolce formicolio che parte dalle labbra e arriva fino ai polpastrelli.

Gli occhi di Zelda sono a un centimetro dai miei, altrettanto increduli e confusi, come se si fosse resa conto del suo gesto solo dopo averlo compiuto.

Dopo pochi, troppo pochi, secondi si allontana, ed io avverto una spiacevole sensazione di gelo.
Sto quasi per protendere la mano per attirarla di nuovo a me, ma mi accorgo che i muscoli non rispondono ai miei comandi. Evidentemente sono troppo scioccato, o troppo ubriaco, per cui lascio perdere.

Zelda si alza in piedi e mi fissa con le mani sui fianchi.
Sbaglio, o è leggermente affannata?
Il mio ego esulta, anche se sono pienamente consapevole che è stata lei a baciarmi.

- Forse adesso la smetterai di blaterare – esclama, in tono deciso. – Sto solo cercando di aiutarti, maledizione! Lasciami finire, poi potrai tornare a sbronzarti come un ... un ... -.

Non termina la frase: scrolla la testa e riprende in mano l'ago.
Non ha tutti i torti, dovrei essere felice che si preoccupi a tal punto per me. Avrebbe potuto far finta di nulla e lasciarmi qui a morire dissanguato.
D'accordo, forse quest'ultimo pensiero è stato un po' troppo melodrammatico, ma posso sempre dare la colpa all'alcol.

Lancio un'occhiata alla bottiglia che luccica debolmente sotto la luce della lampada. – Un pirata? – mi lascio scappare, ripensando alle storie che leggevo da piccolo.

Zelda non stacca gli occhi dai punti di sutura. – Come? -.

Mi sento un vero demente, ma tento ugualmente di spiegarmi. - Non erano i pirati quelli sempre ubriachi? Quei tizi che vivevano sui vascelli e derubavano i passeggieri delle altre navi? -.

Il mio cuore manca un battito quando vedo le sue labbra aprirsi in un sorriso. – Sì, hai ragione – commenta lei, con un lieve cenno del capo.

Ho le allucinazioni? Per caso mi ha appena dato ragione?
Prendi nota, Eric, e gustati il momento. Non sentirai mai più quelle tre parole uscire dalla sua bocca.

Zelda fa una breve risata, come se avesse sentito i miei pensieri.
Corrugo le sopracciglia, perplesso. - Cosa ho detto di così divertente? -.

- Niente – replica lei, mentre termina il suo lavoro di infermiera. – Sono solo stupita che tu conosca quelle storie -.

Per chi mi ha preso, per un stupido ignorante?
Ho letto più libri di qualsiasi altro Erudito e i miei risultati scolastici sono sempre stati eccellenti. – E perché, non dovrei? –.

Zelda risponde con una strizzata d'occhio, facendomi perdere il filo del discorso per l'ennesima volta. – Allora, Eric il Pirata, come ti senti? Non è stato così tremendo, vero? Dovresti avere più fiducia nelle mie capacità -.

Abbasso lo sguardo sulla ferita, fingendo che le sue attenzioni non mi facciano sentire lusingato ed eccitato come un bambino che assaggia il cioccolato per la prima volta. Anche se, trattandosi di Zelda, questa non è esattamente la similitudine migliore.

Allungo la mano per tastare i punti, ma lei mi blocca l'arto a mezz'aria. – Alza le braccia, prima devo metterti la benda – ordina con aria esasperata.

Mi stringo nelle spalle e faccio come dice. Zelda prende una lunga garza bianca e me l'avvolge attorno alla schiena più volte, per assicurarsi che il fianco sia ben coperto.

Ad ogni giro di benda, sento il suo respiro sfiorarmi la pelle come una carezza.
Devo far uso di tutto il mio autocontrollo per non gettarmi su di lei e continuare il bacio da dove ci siamo interrotti.

Una volta terminata la fasciatura, lei si concede un sorriso soddisfatto. Io mi limito a fissare le sue labbra come ipnotizzato.

Sparisce oltre la porta del bagno per quella che mi sembra un'eternità.
Mi metto comodo e chiudo gli occhi con un sospiro. Scivolo immediatamente in una specie di dormiveglia, dal quale riemergo solo quando avverto il lieve tocco di Zelda.

Fa scorrere un dito lungo la mia guancia, poi sulle mie labbra, dove esita qualche istante.
Rimango assolutamente immobile, fingendo di dormire. O magari è tutto un prodotto della mia mente, chi può dirlo? Un sogno sciocco dal quale, però, non ho intenzione di svegliarmi.

Tengo gli occhi ostinatamente chiusi, anche quando il materasso cigola debolmente, avvertendomi che Zelda si sta allontanando.

Questa volta non ti lascerò scappare.

Emetto un gemito di protesta e il mio braccio di alza di propria volontà, circondandole la vita e obbligandola a sdraiarsi sopra di me.
Il mio corpo si rilassa subito a contatto col suo. – Non andartene – mormoro, ed è quasi una supplica.

Per tutta risposta, Zelda posa la guancia contro il mio petto e sospira.
La sento pronunciare poche parole, ma sono le più piacevoli e rassicuranti che abbia mai udito. – No, non me ne andrò -.

Suona quasi come una promessa.
Quanto vorrei che lo fosse.






* * * * * * *

Ciao a tutti! Ecco il punto di vista di Eric. Questo capitolo mi piace in modo particolare, non so perché. Voi che ne pensate? Vi è piaciuto più questo o quello raccontato da Zelda?

Scrivetemi, i vostri commenti mi fanno sempre piacere ;)

Un bacio da Lizz


Burn in my frozen heart like a dancing flameWhere stories live. Discover now