All of us

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Eric






Il braccialetto d'argento scintilla debolmente nel mio palmo, illuminato dal chiarore di uno dei fari posti agli angoli del tetto.

Gli occhi di Zelda sono puntati su quel sottile gioiello, non lo perdono di vista nemmeno per un secondo. La sua espressione si divide tra meraviglia e sospetto, come se pensasse di vederlo scomparire da un momento all'altro nell'aria fresca della sera.
Rimango in silenzio e con il braccio rivolto verso di lei finché non si riprende dalla sorpresa e allunga timidamente una mano per afferrare la catenina. Le sue dita scorrono sulla lamina liscia del bracciale e indugiano per un lungo momento sul retro, sull'incisione che ho letto e riletto mentre mi scervellavo per capire quale fosse il legame che univa Zelda a quell'oggetto.

Ciò che non ti uccide, ti fortifica.

Faccio una smorfia nel constatare quanto quelle parole rispecchino la trasfazione.
Sembrano quasi create apposta per lei, che ha resistito per anni ai maltrattamenti dei fratelli e non si è mai spezzata. Ha continuato a lottare, non si è arresa: è nata Erudita, ma ha uno spirito degno del più coraggioso degli Intrepidi. Merita di rimanere nella fazione più di chiunque altro.

Perso nelle mie riflessioni, mi accorgo con alcuni secondi di ritardo che Zelda sta piangendo.
Ha il capo chino verso la mano che sostiene il bracciale e una lacrima si sta facendo strada lungo la sua guancia, scivolando verso il mento e poi cadendo sul cemento del tetto. Lei non sembra accorgersene: le sue labbra si contraggono e le sue spalle iniziano a tremare, scosse da violenti singhiozzi.

Corrugo la fronte. Non è di certo la reazione che mi aspettavo.
Cosa diavolo ho fatto di sbagliato?! Lo sapevo che i gesti romantici non fanno per me ...

Sotto il mio sguardo atterrito, Zelda si preme una mano sulla bocca e inizia a ridere. Sì, sta proprio ridendo!
D'accordo, qualcuno mi spieghi cosa sta succedendo perché io non ci sto capendo un tubo.

Sto per dare voce alla mia perplessità, ma la trasfazione mi anticipa.
Rimango abbagliato dal suo sorriso, il più luminoso che mi abbia mai rivolto. – Sei davvero uno stronzo, lo sai Eric? – esclama, un istante prima di gettarsi su di me.
Non ho nemmeno il tempo di arrabbiarmi per quell'uscita non proprio lusinghiera nei miei confronti, perché lei mi stringe a sé come se volesse stritolarmi.
Sento il calore delle sue mani irradiarsi lungo tutta la mia schiena e, quando avvicina la sua guancia al mio petto, il mio corpo si rilassa di riflesso.

Zelda si scosta solo per guardarmi in faccia e mormorare: - Un vero stronzo -.
Forse dovrei prendermela per l'insulto gratuito appena ricevuto, ma sono troppo impegnato a baciarla per riuscire a formulare un briciolo di pensiero coerente.

Scosto le labbra dalle sue solo per prendere una boccata d'ossigeno. Lei mi dà un altro piccolo bacio, appena sotto al mento, prima di puntarmi un dito contro. – Non credere di cavartela così facilmente, caro il mio Capofazione. Mi devi delle spiegazioni – sbotta, in tono severo ad accusatorio.

Passo un pollice sul suo zigomo, per asciugare l'ultima traccia di lacrime. – Non avevi detto che non potevi piangere perché avevi il mascara? – domando, tentando di sviare la sua curiosità. La mia voce suona perfettamente controllata, sebbene abbia ancora il fiato corto a causa del bacio intenso appena concluso.

La verità è che questa ragazza è un vera e propria minaccia per il mio autocontrollo.
Mantieni i nervi saldi, Eric. Non lasciarti confondere.
Come se fosse facile, con le braccia di Zelda che mi circondano i fianchi e le sue labbra a cinque centimetri dal mio viso!

Lei inarca un sopracciglio con aria ironica. – Non osare cambiare discorso – mi intima, stringendo pericolosamente gli occhi. – Non ti permetterò di andartene da questo tetto senza prima aver ricevuto esaurienti chiarimenti –.

Ah, vuoi rapirmi? Fa pure, piccola. Lungi da me lamentarmi.

Rispondo alla sua occhiata truce con un ghigno perfido. – Una delle minacce più invitanti che qualcuno mi abbia mai fatto – affermo, mentre le mie dita indugiano sul primo bottone della giacca che le ho prestato. – Siamo in un posto isolato, lontano dal chiasso infernale della festa, completamente soli ... non vorrai sprecare tutto questo tempo in chiacchiere, vero? Perché io avrei un'idea migliore ... –.

Zelda ignora il mio tono malizioso e fa un sospiro. – Ok, ritentiamo – borbotta tra sé prima di trafiggermi con uno sguardo risoluto. – Ti propongo uno scambio: una domanda per una domanda –.

Inarco un sopracciglio. – Mi stai dicendo che posso chiederti qualsiasi cosa? E che risponderai sinceramente? –.

- Sì, se tu farai lo stesso – assicura lei, annuendo. – Ti lascio perfino cominciare per primo –.

Alzo gli occhi al cielo. – Che trasfazione magnanima – commento, prima di dar voce ad uno dei dubbi che mi tormentano dal nostro primo incontro. – Qual è il significato di quel bracciale? Perché mi ha quasi supplicato per poterlo tenere? –.

Zelda sembra sorpresa dalla mia richiesta. Allontana le mani dalla mia schiena per mettere l'oggetto in questione tra noi ed io ne approfitto per allacciarglielo attorno al polso. – Sai che il rapporto tra me e la mia famiglia è pressoché inesistente. Hai conosciuto i miei fratelli, perciò non ti sarà difficile immaginare come fosse la mia vita fino a dieci giorni fa -.

Faccio un rigido cenno di assenso. Sento i muscoli della mascella contrarsi dalla rabbia: fantastico di piombare nel quartiere degli Eruditi e scagliarmi a testa bassa sui Blackburn al completo. Che soddisfazione sarebbe per il mio ego vederli pagare per ogni insulto, punizione e umiliazione che hanno fatto subire alla mia ... la mia cosa? Ragazza?

Zelda riprende a parlare, gli occhi sempre puntati sul bracciale. – Apparteneva a mia madre. E' uno dei pochi ricordi che sono riuscita a sottrarre a mio padre prima che li vendesse. Lei era l'unica a cui volevo bene: mi sosteneva, mi proteggeva, mi amava. E' stata lei ad insegnarmi la mossa di autodifesa che ho usato per vincere contro Oliver –. Stringe le dita sulla catenina. – Ed è morta quando avevo sette anni –.

Questa volta, non appena vedo i suoi occhi farsi lucidi, so esattamente cosa fare.
Le passo un braccio attorno alla vita e l'attiro a me, accarezzandole i capelli con l'altra mano. La sento stringere la stoffa della mia maglietta come se fosse un'ancora di salvezza. – Questo bracciale mi lega alla sua memoria. Mi ricorda che, anche se non posso vederla o parlarle, lei veglierà sempre su di me –.

– Ora capisco – mormoro, cullandola piano tra le braccia. Non avrei mai pensato di riuscire a consolare qualcuno, sto facendo insospettabili progressi.
E sono segretamente soddisfatto che quel bracciale non sia legato al ricordo di qualche ragazzo Erudito, altrimenti entro domattina quegli intellettuali da strapazzo si sarebbero ritrovati con un membro in meno.

Medito alcuni secondi per trovare il modo di farla sorridere di nuovo. – Se tua madre fosse qui, cosa credi penserebbe di me? –.

La sento ridacchiare contro il mio petto e sorrido anch'io. – Scommetto che le sarebbero piaciuti i tuoi tatuaggi. Amava molto l'arte, da lei definita uno dei modi più puri per esprimere ciò che custodiamo nel cuore -. Alza gli occhi per incrociare i miei. – Lei non ti avrebbe giudicato per il tuo aspetto, sai? E non l'avresti mai spaventata con i tuoi modi bruschi o con le tue occhiatacce da non-fiatare-o-ti-spezzo-le-ossa –.

– Ecco da chi hai preso – commento, incurvando le labbra in una smorfia sarcastica. – Ho notato subito qualcosa di speciale in te. Eri l'unica degli iniziati che mi guardava direttamente in faccia senza rabbrividire –.

– Ed anche l'unica che ti ha quasi sparato ed è sopravvissuta per raccontarlo – mi ricorda Zelda, compiaciuta.
Sto per ribattere con una battuta pungente, ma lei mi blocca. – Ho risposto alla tua domanda, ora è il mio turno –.

Sbuffo, scocciato. – Sentiamo, cosa vorresti sapere? -.

Prego non si tratti di qualcosa di imbarazzante ...

– Come mai porti i capelli così corti? –.

... ecco, come non detto.

Ma come fa?!
Possibile che riesca sempre a cogliere i miei punti deboli? Zelda è una vera mina vagante.

Mi sposto più vicino al muretto e ci salgo sopra. Lei segue il mio esempio e si siede al mio fianco, in attesa della mia risposta. – Nessuno me l'aveva mai chiesto – tento di temporeggiare, anche se so che, per quanto mi sforzi di svicolare, la sua curiosità non mi darà tregua. – Li ho tagliati quando avevo tredici anni e non li ho più lasciati crescere troppo. Due o tre centimetri al massimo –.

Zelda inclina il capo di lato. So che si sta trattenendo dal pormi altre domande, probabilmente ha anche intuito quanto poco mi piaccia parlare di me stesso e del mio passato. Mi sta concedendo il tempo di cui ho bisogno per riordinare le idee e le sono grato per questo.

– Come te, nemmeno io ho avuto un'infanzia molto felice – esordisco, in tono cupo. Non c'entra molto con la sua richiesta, lo sto dicendo solo perché voglio dirglielo. E perché mi serve per spiegarle il resto della storia. – I miei genitori non sopportavano il mio carattere ribelle e mi punivano severamente. Di solito mi picchiavano, oppure mi impedivano di uscire di casa per giorni –.

Zelda allunga la mano e intreccia le dita alle mie, un gesto che mi trasmette calore e comprensione.
Non pietà, quella non sarei riuscito a sopportarla. – Ma la loro trovata più geniale è stata quella di lasciarmi trascorrere interi pomeriggi in compagnia delle mie cugine più grandi. Mary e Rita. Gemelle – aggiungo, sentendo un nodo allo stomaco. – Non erano cattive, ma ... dispotiche: mi trattavano come una specie di bambola. Avevo sempre tenuto i capelli lunghi fino alle spalle, perché a mia madre piacevano così. Loro si divertivano ad intrecciarmeli ed agghindarli con fiori e fiocchi ... disgustoso -.

Scocco un'occhiata a Zelda, che si sta sforzando di trattenere una risata. – Divertente, vero? Ma io già allora non sopportavo di ricevere ordini e lasciarmi comandare a bacchetta. Quando loro hanno cambiato fazione - ora sono due Candide - ho preso un paio di forbici e ho tagliato tutte quelle ciocche bionde da femminuccia. Mia madre non mi ha parlato per mesi –. Mi interrompo un attimo per osservare il cielo stellato sopra le nostre teste. – Lo so che non posso paragonare questa storia con le ... torture ... che ti facevano subire i tuoi fratelli. Ma è comunque umiliante. Sei la prima persona a cui la racconto e mi aspetto che tu mantenga il segreto –.

Zelda scuote il capo. – Eric, il grande Capofazione, tiranneggiato da due ragazzine. Che esperienza traumatica – scherza, ma il suo tono è dolce, non derisorio. Osserva i miei capelli corti, sovrappensiero. – Mi sarebbe piaciuto conoscerti da piccolo. Devi essere stato un bambino bellissimo –.

Mi fingo offeso. – Questo sottintende che ora non lo sono più? –.

Zelda mi tira uno schiaffo sulla spalla. – Hai capito quello che intendevo. Mi piaci anche così, ma avrei comunque voluto vederti con i capelli lunghi, senza tatuaggi né piercing. Avremmo potuto sostenerci a vicenda, diventare amici, chissà ... -. Fa un sorriso desolato e si stringe nelle spalle.

Uso la mano che non è intrecciata alla sua per sollevarle il mento. – Amici? Soltanto amici? Beh, non è proprio quello che avevo in mente mentre ti baciavo – preciso, seguendo il contorno delle sue labbra con il pollice.

Zelda si sporge verso di me con aria maliziosa. – Perché, a cosa pensavi? –.

Ecco è arrivato il momento di dirle quella cosa. Mi armo di coraggio. – A quanto fossi stato fortunato ad averti ritrovata –.

La sua espressione si fa confusa, perciò mi affretto a spiegare. – Quando ero piccolo, mentre passeggiavo con un mio amico, ho scoperto per caso una casa in mezzo ad un bosco. Mi affascinava, sembrava avvolta da un'aura di mistero ... ed io adoravo i misteri. Poi, una volta, ho sentito qualcuno cantare. Una delle finestre del secondo piano era aperta, quindi mi sono arrampicato su un albero per riuscire a scorgere la ragazza a cui apparteneva quella voce. Non ci sono riuscito, così sono tornato il giorno dopo e quello dopo ancora ... -.

Zelda sbarra gli occhi dopo la mia ultima affermazione. – Non è possibile ... stai scherzando? Quante volte ...? -.
Non completa nemmeno la domanda, devo averla proprio sconvolta.
Chiudo gli occhi per un istante. – Quasi tutte le sere. Per cinque anni –.








Burn in my frozen heart like a dancing flameWhere stories live. Discover now