Ready or not

2.4K 94 11
                                    



Zelda




Non appena imbocco il corridoio che conduce al dormitorio, getto indietro la testa e scoppio a ridere.

Deve essere colpa della tensione pre-incontro, ma non riesco a smettere e dopo pochi secondi mi scendono le lacrime.

La faccia di Eric era troppo divertente. Avrei voluto scattargli una foto, tanto per immortalare il momento. Sembra che il mio nuovo obiettivo sia quello di farlo ridere, ci sto quasi riuscendo.

Non so come mi sia uscita quell'ultima frase, però è stata un colpo di genio. Lui è rimasto talmente sorpreso da non riuscire a replicare come suo solito.

Mi sembra di aver vinto due volte nel giro di pochi minuti. Prima contro Oliver, anche se per lui ho provato compassione...quasi.

È più forte di me: ogni volta che lo guardo, rivedo in lui mio fratello Clark – quell'idiota di mio fratello Clark – e muoio dalla voglia di fargli perdere quel sorrisetto arrogante. Quando l'ho immobilizzato, non stava affatto sorridendo. Scalciava e si dimenava come un ossesso, neanche stessi per tagliarlo a fette.

Non gli ho torto un capello, per l'amor del cielo! Non ha riportato nemmeno un misero graffio!
Dovrebbe ringraziarmi, spargere petali di rosa sul mio cammino, o che so io.

D'accordo, magari la presa che ho usato per fermare il suo pugno è stata un po' fastidiosa, ma cosa si aspettava? Che lo lasciassi fare? Che mi inginocchiassi a terra, permettendogli di colpirmi, senza neanche provare a combattere?

Ha fatto male i suoi conti. Io non sono una ragazzina debole, io sono Zelda. Dovrà imparare a portarmi rispetto, altrimenti la prossima volta non sarò così delicata.

In ogni caso, la sua espressione era impagabile. Quando varco la soglia del dormitorio sto ancora ridacchiando. Mi asciugo le tracce di lacrime e raggiungo il letto di Leslie.

Le mie condizioni fisiche non sono nulla rispetto alle sue. Siamo entrambe finite in fondo alla classifica, ma questo, per il momento, è l'ultimo dei miei pensieri.

Mi siedo al suo fianco e le sfioro il dorso della mano. Ha i capelli castani sparsi a ventaglio sul cuscino e alcune ciocche le ricadono sull'occhio sinistro, circondato da un livido dello stesso colore del mio. Riesce a malapena ad aprirlo, nonostante tutti gli impacchi di ghiaccio che io e Felix le abbiamo applicato ieri sera.

- Ehi - esclamo, cercando di usare un tono abbastanza frivolo. – Vuoi sapere la novità? -.

Leslie fa un sorriso sghembo. – Spara -.

- Indovina chi è la vincitrice dell'ultimo battibecco contro Eric? – chiedo, allegramente.
Il mio tentativo di farla divertire è piuttosto penoso, lo ammetto, ma qualcosa dovevo pur inventarmi.

Lei fa una risatina debole. – Quando c'è di mezzo quel Capofazione, io scommetto sempre e solo su di te – risponde. – Cosa ti ha detto stavolta? Ti ha punita di nuovo? -.

Scuoto la testa. – No, anzi, si è complimentato con me per l'incontro -. Per un attimo l'espressione allegra lascia il posto ad una decisamente sbalordita. – Sembrava quasi...curioso. Mi ha anche fatto alcune domande. Secondo te, cosa può significare? Che mi sta preparando un agguato? Più cose sa di me e più dettagliato sarà il suo piano per eliminarmi? -.

Leslie ci pensa su. – E se invece volesse far colpo su di te? – propone, mentre io faccio una smorfia schifata. – Dopotutto è un ragazzo, ha solo un anno più di noi -.

- E' di Eric che stiamo parlando – sbotto, arricciando il naso. – Non potrebbe mai guardarmi in quel modo. Lui detesta tutti, noi iniziati in particolare -.

Lei alza le spalle, ma se ne pente all'istante perché emette un gemito e intuisco che quello all'occhio non è l'unico livido che lo scontro le ha regalato.

Mi alzo dal letto. – Hai fame? Posso portarti qualcosa? – domando, in tono gentile.

Prendermi cura delle altre persone è una delle cose che mi riesce meglio, sono troppo sensibile alla sofferenza altrui. A casa i miei fratelli chiamavano sempre e solo me quando stavano male, ero la loro infermiera personale. Dicevano che la mia presenza li faceva sentire meglio, ma di sicuro era perché li viziavo e non perché mi volessero veramente bene.

- No, ma grazie per averlo chiesto – mormora Leslie, chiudendo gli occhi. – Ho solo bisogno di riposare. Tu va pure, non preoccuparti per me -.

- D'accordo – sospiro, avviandomi verso la porta. - Quando torno ti porto del ghiaccio e qualcosa da mangiare –.

Leslie fa una risatina. – Va bene, mamma -.

Mi sto già avviando in direzione dell'infermeria, quando vedo una chioma infuocata corrermi incontro. – Ciao, Mel – la saluto.

Lei non si scomoda a rispondermi. Mi afferra un braccio e comincia a trascinarmi verso il Pozzo.
– Ehi, calma, dove mi stai portando? – chiedo, sospettosa.
- Lo vedrai – canticchia, procedendo a passo marziale.

Alzo gli occhi al cielo con un sospiro. Non mi sono mai piaciute le sorprese, preferisco sapere tutto in anticipo e nei minimi particolari. Tipica sindrome da cervello Erudito.

Melanie non spiccica parola finché non arriviamo davanti alla tendina di perline che separa il corridoio dall'ingresso di uno dei negozi. Osservo la scritta incisa sulla parete e scuoto la testa. – Oh no -.

- Oh sì – ribatte lei, e il sorrisetto che le increspa le labbra a dir poco inquietante. Scosta le perline, facendole tintinnare e scompare all'interno.

- Non se ne parla – sibilo.

La gente che transita lungo le scale di roccia si volta a guardarmi, incuriosita. Dalle mie labbra esce un verso indefinito, di fastidio e di esasperazione mischiate assieme, ma alla fine mi decido a varcare la soglia per seguire Mel.

Prima quel 'vestito', adesso questo. Quando capirà che l'abito non fa il monaco? Io mi sento già un'Intrepida, non mi servono marchi indelebili sulla pelle per provarlo.

Il tatuatore si gira verso di me quando entro e ghigna davanti alla mia espressione arcigna. – Ciao. Prima volta, eh? -.

Spero di essermi solo immaginata quel velo di ironia nascosta. Non mi faccio deridere da un uomo del genere: ha decine di piercing su tutto il volto e la pelle interamente coperta di disegni colorati, dal collo fino alle dita delle mani. Quella vista mi provoca un brivido di repulsione.

Lo ignoro e cerco Mel con gli occhi. Lei è qualche metro più in là, intenta ad osservare la bacheca su cui sono esposti i tatuaggi più alla moda.

Mi piazzo alle sue spalle e incrocio le braccia. - Avrei fatto meglio ad andare al poligono ad allenarmi assieme ai gemelli – borbotto, mentre scorro i vari disegni con gli occhi. Li trovo abbastanza raccapriccianti.

Mel passa un dito sul vetro. – Mi serve un consiglio –.

- Spiacente, non credo di essere la persona giusta a cui chiederlo -.

Lei va avanti a parlare come se non avessi aperto bocca. – Sono indecisa tra questi due – dice, indicando alternativamente il disegno di una fenice dalle piume dorate e quello di una tela di ragno dai bordi argentati.

Ammetto la sconfitta. Sono entrambi molto carini. – Ma non hai già dei tatuaggi? Vuoi ridurti come quel mostro laggiù? – sussurro, accennando col capo al tatuatore che mi sta ancora fissando.

Mel sbuffa. – E' arte, Zelda – afferma. – Tu eri un'Erudita, dovresti capirlo meglio di tutti gli altri -.

- Ok, ok – rispondo, alzando le mani in segno di resa. Mi chino verso la bacheca e osservo entrambi i disegni con cipiglio critico. Poi punto l'indice sulla ragnatela. – Preferisco questo -.

- Anche io! – esulta lei, abbracciandomi di slancio. – Lo vedi, siamo in sintonia! -.

Chiama il tizio al bancone con un cenno e lui si avvicina. – Allora, ragazze, avete scelto? -.

Mel sembra una bambina al parco giochi, ci manca solo che inizi a saltellare in preda all'entusiasmo.
Mi guarda, raggiante, prima di seguire il tatuatore sul retro.

Rimango sola nel negozio. Per far passare il tempo mi siedo su una delle poltroncine foderate di pelle nera e comincio a sfogliare alcuni album.
L'arte in sé mi ha sempre affascinato, per cui non posso non rimanere incantata a guardare alcuni dei disegni, specialmente quelli dai colori vivaci.

- Hai visto qualcosa che ti piace? – chiede una voce di donna alle mie spalle.

Prima che possa rispondere, l'Intrepida in questione si siede sul bracciolo della poltrona e mi prende il raccoglitore dalle mani. Inizia a scorrerlo velocemente e nel frattempo mi fa alcune domande: il mio colore preferito, la mia data di nascita e altre sciocchezze del genere.
Io rispondo a monosillabi, ma alla fine lei fa un sorriso soddisfatto e mi mette davanti agli occhi una pagina su cui spicca il disegno di una stella a otto punte.

Io rimango a fissarla come ipnotizzata. – Cos'è? – mi arrischio a chiedere.

- Si chiama 'stella del caos' o 'caosfera' – spiega lei. – In passato era il simbolo di una forma di magia, legata anche a teorie scientifiche e alla matematica. Coloro che la praticavano ritenevano di poter cambiare la realtà -. Si interrompe per sorridermi. – Tu eri un'Erudita, hai studiato e approfondito quasi tutte le materie conosciute, no? Ma poi hai deciso di cambiare, scegliendo gli Intrepidi. In poche parole, tu sei una Stella del Caos -.

Rimango a fissare quel disegno nero per un bel pezzo. Tutto quello che lei ha detto è vero, sarebbe proprio il simbolo adatto a me. Ha anche un suo fascino.
Ci metto mezzo secondo a decidermi.

Mezz'ora dopo Mel ed io usciamo dal negozio. Lei è eccitata, io un po' meno.
La ragazza – Tori, si è presentata prima di iniziare con la tortura – non mi ha fatto male: la tecnica che ha usato è una delle novità di quest'anno, o almeno così ha detto.

Entro questa sera la pelle irritata tornerà come nuova, tutto merito di una pomata speciale di provenienza Erudita, e potrò perfino togliere la benda.
Allungo una mano e sfioro il sottile rigonfiamento tra le scapole. – Non voglio altre sorprese – dico a Mel, che mi cammina a fianco. – Almeno per i prossimi trent'anni -.

- Quanto la fai lunga, è solo un piccolo tatuaggio. Non ti ho mica chiesto di tuffarti in una vasca piena di meduse assassine –.

- Tatuaggio? Ho sentito bene?! –.

La voce squillante di Xavier per poco non mi assorda. Sbuca dall'oscurità del tunnel, con Felix alle calcagna. Fa per abbracciarmi, ma io alzo le braccia e lo tengo lontano. – Apprezzo l'entusiasmo, ma è meglio di no. Sono ancora dolorante -.

Lui fa una smorfia delusa. – Quindi non posso vederlo? -.

- Solo questa sera – aggiungo, prima di cambiare discorso. – Com'è andata al poligono? -.

Felix fa un ghigno perfido. – Xavier non colpirebbe il bersaglio nemmeno se fosse grande il doppio e illuminato da luci al neon – spiega, facendomi ridere. – E' una causa persa -.

- Almeno io sono riuscito a battere il mio avversario oggi – rilancia scaltramente Xavier. – Cosa che non si può dire di te, caro il mio fratellino impiccione -.

I gemelli bisticciano per tutto il tragitto, mi fanno venire il mal di testa. Quando entriamo in mensa mi siedo il più lontano possibile da loro, incastrandomi tra Quattro e Zeke.

Quest'ultimo non sembra per nulla infastidito, anzi, si sposta sempre più vicino, finché le nostre gambe non si toccano. – Il tuo istruttore mi stava raccontando del tuo incontro di oggi – esordisce, rivolgendomi un sorriso che va da un orecchio all'altro. – Mi vuoi sposare? -.

Non posso fare a meno di ridere. – Certo che potevi scegliere un luogo più romantico per la proposta, non ti pare? -.

Quattro fa un ghigno. – Mi ha obbligato a descrivere l'incontro fin nei minimi dettagli. E sta ripetendo da mezz'ora la stessa frase e cioè...-.

L'altro non lo lascia finire. – Cioè sentiti libera di mettermi al tappeto in quel modo quando vuoi – mormora al mio orecchio in tono provocante.

Scuoto lentamente la testa, senza perdere il sorriso. – Stai attento a quel che desideri, Zeke. Potrei prenderti in parola -.

Vedo una luce maliziosa lampeggiare nei suoi occhi scuri. – Bellezza, non aspetto altro -.

Alzo un sopracciglio e scambio uno sguardo con Quattro. Lui inclina il capo come a dire 'che aspetti? E' tutto tuo' e io non me lo faccio ripetere.

Afferro la mano che Zeke tiene sul tavolo e gliela torco, portandola dietro la sua schiena. Lui è troppo sbalordito, non fa in tempo a fermarmi. Mi alzo in piedi e gli prendo anche l'altro braccio. Punto il palmo della destra tra le sue scapole e, con l'altra mano, imprigiono le sue.

Zeke finisce con la testa nel piatto, schizzandosi tutto il viso con il sugo della pasta.

Quattro per poco non soffoca dalle risate, i gemelli non sono da meno. Sembra che perfino le persone ai tavoli vicini facciano fatica a rimanere serie, infatti dopo pochi secondi sento alcuni fischi di approvazione.

Mollo Zeke e mi volto per concedere un inchino educato ai miei ammiratori. Con mia grande sorpresa, noto che anche i cinque leader stanno sorridendo. Vedo addirittura una scintilla di apprezzamento nello sguardo grigio e abitualmente freddo di Eric.

Imbarazzata, torno a sedermi. Zeke si sta pulendo le guance col tovagliolo, ma non mi pare offeso, né indispettito dal mio attacco. – Tempismo perfetto, Zelda – ridacchia, leccandosi le labbra sporche di sugo.

- Contento? Posso sempre rifarlo, una volta o l'altra – replico, sbattendo le ciglia con fare innocente.

Lui sorride. – Ci conto -.






* * *



Eric




Sento gli angoli delle labbra scattare all'insù ogni volta che ripenso alla scena.

L'umiliazione di quello stupido di Zeke non ha prezzo, ma se penso che è stata opera di Zelda, mi sento stranamente compiaciuto.

Appoggio i piedi sul tavolo del mio ufficio e do un'occhiata all'orologio. È quasi mezzanotte, Quattro dovrebbe arrivare a momenti.

Ho preparato una piccola sorpresa per i nostri cari iniziati. Di solito giochi di questo tipo vengono organizzati alla fine del percorso di iniziazione, invece quest'anno ho voluto anticipare i tempi.

Mi alzo di scatto quando sento picchiare due volte contro la porta. Esco e mi ritrovo a poca distanza da Quattro, che se ne sta appoggiato alla parete a braccia incrociate.

Lo supero, senza rivolgergli la parola, e mi avvio a passo spedito verso il dormitorio delle reclute.
Chissà che facce faranno quando, svegliati bruscamente dai loro bei sogni, troveranno me ad osservarli, come un felino dagli artigli scoperti. Sento già l'odore della paura nell'aria.

Quando raggiungo la porta arrugginita, giro piano la maniglia, attento a non emettere nemmeno il minimo rumore, ed infine varco la soglia.

Quattro mi segue come un'ombra, senza fiatare. Sembra che anche lui si stia divertendo, non riesce a trattenere un ghigno quando passiamo a pochi centimetri dai letti degli ignari ragazzini.

Li osservo uno ad uno, illuminati solo dalla luce fioca che entra dalla porta aperta.

So bene chi sto cercando.

Focalizzo il mio obiettivo dopo pochi passi. Zelda è sdraiata di fianco, il lenzuolo le copre appena i fianchi. È rannicchiata in posizione fetale, con le mani unite vicino al volto.

Sembra rilassata, ma poi noto il sudore che le imperla la fronte e sono costretto a ricredermi.
Le sue palpebre si muovono avanti e indietro, a scatti, come se fosse prigioniera in un incubo e non riuscisse a trovare la via d'uscita.

Se la sveglio ora, le faccio solo un favore.

- In piedi! – tuono, battendo le mani con forza.

Nessuno degli iniziati reagisce al mio ordine, dormono beati come agnelli.

Anche io avevo lo stesso sonno pesante prima di attraversare la fase delle simulazioni: adesso scatto anche al minimo cigolio.

Aumento il volume della voce. Dopo tre tentativi, finalmente raggiungo il mio scopo. Mi godrei volentieri i loro sguardi spaventati e sconvolti, se non fossi così concentrato su Zelda.

È stata la prima a svegliarsi ed è rimasta a fissarmi ad occhi spalancati per alcuni secondi, prima di passarsi una mano sul volto. La sua espressione terrorizzata non mi è sfuggita, ma dubito che fosse a causa mia. È più probabile che fosse la conseguenza dell'incubo di cui era preda.

- Avete cinque minuti per prepararvi – ringhio, socchiudendo minacciosamente gli occhi. – Non avrò pietà per i ritardatari -.

Prima di uscire, lancio un altro sguardo alla ragazza. E' immobile, le onde ribelli dei capelli le nascondono il viso, impedendomi di leggere la sua espressione. L'unica cosa che noto è il suo respiro accelerato.

- Pensi di farcela, Zelda? – sibilo, in tono ironico.

Lei mette le gambe fuori dal letto e si alza in piedi come un automa. Non indossa un pigiama, ma una semplice e comoda tuta da ginnastica. Infila una maglietta sopra la canottiera nera, lega i capelli e allaccia in fretta le scarpe.

Rimango a fissarla sbalordito.

Come fa ad essere così carina senza nemmeno un filo di trucco?

Josie non esce mai senza almeno tre chili di roba in faccia e a me non piace lo stesso.

Zelda allarga le braccia. – Sono pronta, signore – dice, sfidandomi col suo sguardo di fuoco.

La paura ha lasciato il suo viso, sul quale la determinazione è tornata a divampare. Ora la riconosco.

Burn in my frozen heart like a dancing flameWhere stories live. Discover now