Don't wanna let you go (part 1)

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Zelda




Un click. Un semplice, leggero, metallico click.

Eppure quel click è il suono più minaccioso che io abbia mai sentito: fende l'atmosfera tesa che aleggia intorno a me come un colpo di cannone.
Il ritmo del mio cuore accelera, ormai non sento più nulla, tranne le sorde pulsazioni nelle orecchie.

Non faccio in tempo a registrare tutti i fatti che accadono nei secondi successivi allo sparo, so solo che lo sguardo di Oliver puntato su di me mi immobilizza, impedendomi di compiere una qualsiasi azione sensata.
I suoi occhi perforano i miei, sono carichi d'odio, di rancore e di gelosia.
Gli occhi allucinati di un pazzo.

Vuole uccidermi, lo vuole sul serio, glielo leggo in faccia.
E quando spara lo fa con precisione e intenzione: mira esattamente al centro del mio petto.

Non riesco a muovermi. Rimango a fissare la canna della pistola con gli occhi sbarrati, come un cerbiatto finito in trappola. Quel buco nero riempie il mio campo visivo, quasi non sento le urla provenire dagli Intrepidi ammassati lungo la grotta.

Un attimo prima sono in piedi, i muscoli contratti e il respiro spezzato, un attimo dopo mi ritrovo a terra, senza capire come ci sia finita. Batto le palpebre due volte e metto a fuoco la persona che mi ha tratta in salvo con uno scatto degno di un felino.

Le braccia di Eric mi circondano i fianchi e mi tengono premuta contro il suo corpo, come se avesse paura di vedermi sparire in uno sbuffo di fumo. Quando incrocio i suoi occhi grigio acciaio noto una traccia di apprensione. – Stai bene? – chiede.

Impiego qualche secondo a rimettere in moto il cervello. Quando, finalmente, riesco a formulare una risposta, la voce mi esce roca e strozzata. – Sì, credo di sì -.

Altre urla, questa volta più acute, ci fanno scattare.

Eric si scosta da me e si alza in piedi con una mossa veloce. Con la coda dell'occhio noto che tiene una mano premuta contro il fianco sinistro, ma non vi presto molta attenzione.

Oliver ha ancora la pistola puntata verso di noi, ma ora il suo braccio è percorso da spasmi.
Dopo un momento che mi pare eterno, abbassa lentamente l'arma e la guarda con disgusto, come se si fosse reso conto solo in quell'istante di dove fosse e cosa stesse per fare. La getta lontano da sé, si butta in ginocchio e si prende la testa tra le mani. Vedo le sue spalle tremare, in preda a singhiozzi incontrollati.

Il lamento che riesce a filtrare attraverso le sue dita premute contro il volto è straziante, mi perfora i timpani. Non riesco a rimanere impassibile di fronte a tutta quella disperazione, anche se lo vorrei.
Tipico di me, non posso resistere alle richieste d'aiuto, nemmeno se provengono da uno psicopatico che ha appena attentato alla mia vita.

Dimentico che ha appena cercato di uccidermi, dimentico i suoi occhi accesi di furia, dimentico ogni cosa tranne quella figura accasciata a terra.

Non mi appare come una minaccia: è solo una persona fragile, instabile e confusa, che ha solo bisogno di sfogarsi e di qualcuno disposto ad ascoltarla e tenderle una mano.

La mia voce interiore comincia a sbraitare contro di me non appena formulo quel pensiero fin troppo altruista anche per i miei standard.

Se la pensi così, allora la pazza sei proprio tu Zelda! Ha mirato al tuo cuore, per l'amor del cielo!
Non puoi lasciar perdere il tuo animo buono e gentile per un momento e limitarti a odiarlo come farebbe una ragazza normale?!


Escludo quelle urla mentali scuotendo il capo. No, non posso fingere di essere ciò che non sono. Io sono fatta così e non cambierò mai.

Quando muovo un passo verso Oliver, una mano si chiude attorno al mio polso per trattenermi. – Sei impazzita? – sibila Eric, senza guardarmi in faccia. Anche il Capofazione sta fissando l'Erudito: a differenza di me, nelle sue iridi non c'è alcuna pietà, solo risentimento e disprezzo. – Cos'hai intenzione di fare? Aspiri al suicidio? -.

Non replico, mi limito a guardarlo in viso finché non si decide a incrociare i miei occhi. – Voglio sapere perché l'ha fatto. Ha bisogno d'aiuto – dichiaro in tono risoluto. – Lasciami andare -.

Eric stringe gli occhi a fessura e si china verso di me, spaventosamente vicino. - Te lo puoi scordare! – ringhia, stringendo le dita attorno al mio braccio. – Guardalo, maledizione! Quel ragazzo ha perso del tutto la ragione, potrebbe ammazzarti nel giro di due secondi in preda a un attacco di rabbia. Cosa pensi di fare, andare da lui e offrirgli una spalla su cui piangere? Sai quale sarebbe la sua reazione? Ti stringerebbe entrambe le mani attorno al collo e non mollerebbe la presa finché non ti vedrebbe esalare l'ultimo respiro! -.

Ci guardiamo in cagnesco per alcuni secondi, poi lui mi lascia andare di scatto.
Scruta la folla come per sincerarsi che nessuno si sia accorto della familiarità con cui ci siamo appena parlati. Probabilmente non vuole che gli altri Intrepidi si facciano strane idee su di noi.
Mi viene quasi da ridere.

Eric che protegge una trasfazione? Che evento imperdibile.

Il suo tentativo di riprendere un contegno passa inosservato, perché nessuno ci sta minimamente prestando attenzione.
Tutti gli sguardi delle persone radunate nella grotta sono fissi su Oliver.
Alcuni energumeni si stanno facendo avanti per prenderlo e, molto probabilmente, traferirlo in una cella di massima sicurezza con le pareti imbottite.

E cosa ci trovi di strano? Ha appena sparato in mezzo ad una folla senza un motivo apparente!

Non sono d'accordo con il mio inconscio. Un motivo ci deve essere, non può essere passato da ragazzo controllato a sociopatico in poco meno di ventiquattro ore!
Qual è il fattore scatenante? Devo saperlo.

Mi lancio in avanti prima che Eric possa impedirmelo. Lo sento imprecare alle mie spalle, ma non mi fermo. Raggiungo Oliver e poggio un ginocchio a terra. I quattro Intrepidi che l'hanno circondato mi lanciano un'occhiata perplessa, poi cercano Eric con lo sguardo.

Non vedo la sua espressione, ma capisco che ha dato l'ordine di lasciarmi procedere. Le guardie si immobilizzano, tuttavia rimangono a pochi passi da noi, pronti ad intervenire nel caso Oliver perda la testa di nuovo e cerchi di azzannarmi come un leone inferocito.

Do un calcio alla pistola, facendola rotolare verso uno degli Intrepidi che prontamente la raccoglie. Prendo un respiro profondo e tocco leggermente la spalla di Oliver.
Lui sussulta e toglie le mani dal volto per guardarmi. Ha le guance rigate di lacrime, gli occhi iniettati di sangue e il labbro inferiore che trema.

Sento lo strano impulso di abbracciarlo, ma mi trattengo. – Cosa ti è successo, Oliver? – sussurro, stringendo le palpebre e mantenendo un tono severo. Non devo dimenticare il suo recente episodio di follia, devo andarci cauta.

Lui rimane a fissarmi in silenzio, riesco quasi a percepire i suoi pensieri confusi.
Il suo cipiglio assassino è scomparso, quindi la mia voce si addolcisce un po'. – Perché l'hai fatto? Cosa ti ha spinto a reagire così? -.

L'Erudito scuote piano la testa e posa lo sguardo sulle sue mani aperte come se non le riconoscesse. – Io... io... - balbetta e deglutisce rumorosamente. Lancia una rapida occhiata alle persone che ci circondano e i suoi occhi si spalancano per l'orrore. – Non lo so. Dopo la ... la simulazione ... non riuscivo più a liberarmi di quelle immagini ... era ... orrendo. Tutto quel sangue ... -. Un altro singhiozzo gli fa tremare le spalle.

Posso solo immaginare la sua allucinazione, ma se è riuscita a fargli perdere la testa in questo modo deve essere stata tremenda.

Ma non giustifica quello che ha fatto.

- Hai tentato di uccidermi, Oliver – affermo con la massima calma.

Lo afferro saldamente per le spalle e non gli permetto di distogliere lo sguardo. Lui mi fissa come farebbe un coniglio davanti ad un serpente a sonagli e spalanca la bocca, da cui però non esce alcun suono.

- Cosa speravi di ottenere? – lo incalzo di nuovo, nella speranza di farlo reagire e sfogare.

Oliver ha gli occhi lucidi e la mascella rigida. Mi guarda per un lungo momento, poi scuote la testa. – Mi dispiace, Zelda – mormora, con voce strozzata, un istante prima di spingermi violentemente a terra.

Sento Eric sbraitare degli ordini, ma non riesco ad afferrarne il senso.
Sbatto le palpebre, ancora stordita dall'impatto con il freddo pavimento di roccia. Gli Intrepidi si lanciano verso l'Erudito in simultanea, ma Oliver scatta all'indietro, sfuggendo per un soffio al loro attacco.

I nostri occhi si incrociano per una frazione di secondo ed è allora che intuisco le sue vere intenzioni. Un urlo si fa strada nella mia gola quando lo vedo correre in direzione della ringhiera di ferro. Mi alzo in piedi, ma è già troppo tardi.

Oliver si arrampica sulla balaustra che oscilla paurosamente sotto il suo peso. Fermati, vorrei gridare. Non farlo, ti prego, non farlo.

Accade tutto così in fretta che non posso fare altro che rimanere impotente a guardare.
Gli Intrepidi si gettano verso di lui, intimandogli di scendere, ma Oliver non sembra sentirli.
Lancia loro un'occhiata desolata e vuota, un attimo prima di buttarsi nel baratro.

Mi tappo la bocca con entrambe le mani.

Dalla folla provengono delle grida strozzate e tutti si dirigono verso il punto dove è appena saltato Oliver. Alcuni ragazzi si danno di gomito e confabulano, come se stessero assistendo ad un evento insolito, ma spassoso.
Cosa sperano di vedere? Il suo cadavere?  Ho la nausea.

Sento le ginocchia cedere e cadrei a terra se un paio di mani forti non mi afferrassero per la vita giusto in tempo.
Mi lascio sostenere senza opporre resistenza. So benissimo a chi appartengono quei tatuaggi, e in questo momento mi importa poco di cosa potrebbero pensare gli altri Intrepidi. In ogni caso nessuno sta guardando verso di noi.

Alzo lentamente la testa e mi perdo per un istante all'interno degli abissi delle iridi di Eric.
Lui rimane stupito e confuso di fronte alle mie lacrime, come se fossi un cavallo imbizzarrito e non sapesse cosa fare per domarmi.

Mi aggrappo alla sua maglietta e appoggio una guancia contro il suo petto.
Lo sento sussultare leggermente: per un attimo temo di aver osato troppo, so che non gli piacciono le smancerie, ma, inspiegabilmente, lui non fa nulla per respingermi. Anzi, comincia ad accarezzarmi i capelli, con una tenerezza di cui non lo credevo capace.

La sua vicinanza mi fa dimenticare tutto il resto, perfino il suo odore riesce a tranquillizzarmi.
Un misto di sudore, polvere da sparo e ... sangue?

Mi scosto bruscamente, come se mi fossi scottata, e Eric alza un sopracciglio. – Cosa ...? – fa per chiedere, ma io lo ignoro. Faccio scorrere le dita lungo il suo torace, sperando di sbagliarmi.
Tolgo di mezzo il suo braccio e rimango impietrita. Sulla stoffa della maglietta si sta allargando una macchia più scura del tessuto stesso.

Rabbrividisco involontariamente. – Santo cielo, ti ha ... - esclamo, ma non faccio in tempo a dire 'colpito' perché Eric mi tappa la bocca con una mano.

- Zitta – mi intima, accompagnando quel brusco ordine con uno sguardo duro come l'acciaio.

Prima che possa ribattere, il Capofazione si volta e imbocca uno dei corridoi che – lo so per esperienza – conduce alla sua stanza.
Resto immobile per qualche secondo, incerta se seguirlo oppure no. Dal suo atteggiamento si può intuire che non desidera compagnia, né qualcuno che gli presti soccorso. Mi domando quanto grave sia la ferita, se il proiettile sia penetrato sotto pelle o se l'abbia solo colpito di striscio.

Emetto uno sbuffo scocciato.

Al diavolo lui e il suo orgoglio! Si è ferito per proteggermi, non posso far finta di nulla. Comincio a correre nella direzione opposta.

Non vuole che lo aiuti? Beh, è un problema suo.

Non lo lascerò in pace finché non avrò appurato che non corre rischi. Sarà anche un Capofazione, ma di certo non è immortale!

Spalanco la porta dell'infermeria con slancio eccessivo e il vetro trema pericolosamente. La stanza è deserta, probabilmente Elizabeth è corsa al Pozzo non appena Oliver ha iniziato a sparare. Purtroppo l'unico che è rimasto ferito ora non si trova più lì, penso tra me con ironia.

Afferro uno scatolone vuoto e comincio a gettarci dentro ogni cosa utile che mi capita sotto mano. Fasci di bende, disinfettante, l'astuccio con ago e filo, cerotti e un sacchetto pieno di batuffoli di cotone. Dopo essermi assicurata di avere il minimo indispensabile per curare quel testardo Capofazione, schizzo fuori dall'infermeria e torno sui miei passi.

Seguo con raccapriccio le gocce di sangue che si è lasciato alle spalle: risaltano in modo impressionante sul pavimento di roccia. La scia scarlatta mi conduce direttamente davanti alla porta degli appartamenti privati di Eric. Poso a terra la scatola, faccio un respiro profondo e busso due volte.

Le mie orecchie catturano un grugnito di fastidio. Conto mentalmente fino a dieci, poi, con tutta la grazia e la delicatezza che mi contraddistinguono, comincio a colpire freneticamente lo stipite.

Questa volta sento distintamente le imprecazioni di Eric, ma non demordo.
Mi sta facendo preoccupare a morte. Non gli darò tregua finché quella ferita non sarà ricucita.

- Vattene! – ringhia lui. Il suo tono non promette bene, ma ci vuole ben altro per scoraggiarmi.

- Per favore, fammi entrare – replico io, continuando a colpire ripetutamente l'acciaio arrugginito. Sto quasi per scorticarmi il palmo, ma non mi importa.

Passano alcuni minuti. Eric rimane cocciutamente barricato nella sua stanza e io perdo definitivamente la pazienza.
Digrigno i denti. – Dannazione, Eric! – sbotto, e la mia voce rimbomba nel corridoio semibuio. - Apri. Questa. Maledetta. Porta. – scandisco, accompagnando ogni parola con un pugno.

Sento dei passi provenire dall'interno, prima che quell'idiota di un Capofazione apra la porta con impeto tale da farla tremare sui cardini.

Eric si limita a incenerirmi con lo sguardo, per poi ritornare nella stanza, senza dire una parola.
Recupero lo scatolone e con un colpo d'anca richiudo la porta alle mie spalle.

Do un'occhiata veloce ai pochi mobili presenti, senza soffermarmi per più di un istante su ciascuno di essi. Un armadio, una scrivania, alcune mensole, un letto al centro. È la tipica camera di un soldato, ordinata in modo maniacale e priva di decorazioni. Le pareti sono spoglie, di un bianco immacolato, fatta eccezione per una figura di cartone appesa ad un chiodo accanto alla porta.

Quella vista mi strappa un sorriso. Figurarsi se Eric non aveva il proprio bersaglio personale!

Appoggio il mio kit di pronto soccorso sulla scrivania e comincio ad allineare l'occorrente sul ripiano. Quando mi giro, noto che il paziente mi sta fissando con un'espressione incredula e sospettosa. – So cosa vuoi fare – esordisce in tono divertito. – E la mia risposta è no -.

La sua voce ha qualcosa di strano. Lo scruto da capo a piedi, per poi lanciare un'occhiata di disapprovazione alla bottiglia che tiene in mano. È piena solo per metà di un liquido trasparente, ma dallo sguardo inebetito del Capofazione capisco che non si tratta di semplice acqua.

Alzo gli occhi al cielo. Ci mancava solo l'alcol! Come se la situazione non fosse già complicata di per sé. Lo lascio solo per poco più di dieci minuti ed ecco come si riduce...

Mi avvicino a passi lenti e calcolati fino a trovarmi esattamente di fronte a Eric, che se ne sta seduto comodamente sul letto. Faccio per prendergli la bottiglia, ma lui scuote la testa e scoppia in una risata fragorosa. – Niente da fare, piccola – biascica, bevendo un altro lungo sorso. Si pulisce la bocca con il dorso della mano, posa la bottiglia sul comodino e mi fa un sorriso malizioso. – Allora, bellezza, posso esserti utile? – chiede, incrociando le braccia dietro la testa.

Mi mordo il labbro per trattenere una risata. Caspita, quella roba deve essere parecchio forte.
Sospiro, esasperata. Almeno in questo stato non sentirà molto dolore quando gli medicherò la ferita.

- Devo toglierti la maglietta – dichiaro, nel tono più autoritario possibile.

Lui alza le braccia, senza perdere l'aria divertita. – Ai tuoi ordini -. Poi mi guarda come per dirmi 'fai pure di me ciò che vuoi' e faccio molta fatica a non scoppiare a ridere.

Beh, devo dire che l'Eric ubriaco ha il suo fascino. Non è sprezzante come al solito, anzi lo trovo spassoso. Comincia decisamente a piacermi la sua risata spensierata, vorrei tanto sentirlo ridere così anche da sobrio.

Una volta sfilata la maglia, la piego alla meno peggio e mi dirigo verso la porta socchiusa alla mia destra. Una delle fortune di essere un membro effettivo della fazione è quella di avere un bagno privato. Getto il fagotto in un catino, poi riempio il lavandino di acqua calda e vi immergo un asciugamano.

Torno nella stanza, prendo cotone e disinfettante dallo scatolone e avanzo risoluta verso il paziente decisamente alticcio. Lui non mi perde di vista neanche per un secondo, osserva con curiosità ogni mio movimento.

Socchiudo gli occhi ed esamino attentamente la ferita, evitando di lasciarmi distrarre da tutti quei tatuaggi e muscoli scolpiti. Grazie al cielo il proiettile gli ha solo sfiorato il fianco sinistro, tuttavia il taglio è abbastanza profondo e deve essere medicato al più presto.

Mentre passo il disinfettante sulla sua pelle, Eric comincia a canticchiare sottovoce.
Mi sforzo di ignorarlo, devo mantenere la concentrazione.
Finisco di pulire con cura la ferita, poi vado a prendere l'asciugamano inzuppato d'acqua. Lo strizzo un po' e lo uso per togliergli il sangue dall'addome.

Alcune parole della canzone che Eric sta tentando di riprodurre - col suo tono incerto da ubriaco - mi sembrano familiari.

...l'inchiostro può macchiare la mia pelle, i miei jeans possono essere strappati. Io non sono perfetto, ma giuro ...

Cerco di ricordare dove l'abbia già sentita. Nel frattempo impugno ago e filo ed approfitto dello stato di grazia del Capofazione per mettergli i punti di sutura.

Purtroppo la pace dura poco.

Alla prima puntura dell'ago, lui schizza a sedere sul letto come se gli avessi gettato una secchiata di acqua gelida in viso. Rimane a fissarmi come se mi vedesse per la prima volta, poi si scosta bruscamente, imprecando. – Che diavolo...? – ringhia, facendo saettare lo sguardo da me all'ago che tengo tra le dita. La sbornia sembra essergli passata all'improvviso.
Corruga le sopracciglia e i suoi occhi luccicano in maniera pericolosa. – Mi sembrava di averti detto di andartene! Vattene, trasfazione, e lasciami in pace! -.

Lo preferivo sbronzo e canticchiante, decisamente.

Tento di lasciar perdere il suo scatto d'ira, ma Eric continua a ringhiare insulti e minacce e mi impedisce di avvicinare di nuovo l'ago alla sua pelle. Ci provo tre volte, poi sbuffo d'impazienza e agisco d'impulso.

Mi chino in avanti e gli tappo la bocca. Con la mia.

Eric smette all'istante di inveire contro di me e si irrigidisce: sento sulle labbra la leggera pressione dei suoi piercing.
Nessuno di noi due chiude gli occhi, le due pozze grigie che sono le sue iridi si specchiano nelle mie e vi vedo riflesse incredulità, confusione e - o mio Dio – eccitazione.

Se prima non mi ero resa conto di ciò che stavo facendo, ora ne sono più che consapevole.
Mi tiro indietro prima che la situazione precipiti ulteriormente.
Più che un bacio è stato un diversivo, ma il mio cuore batte forte e ho le guance che vanno letteralmente a fuoco. Ringrazio il cielo di trovarmi in una stanza senza finestre e poco illuminata.

Eric mi fissa come ipnotizzato, con le pupille dilatate e un'espressione sgomenta dipinta sul volto.

Mi alzo in piedi e lo fulmino dall'alto con le mani sui fianchi. - Forse adesso la smetterai di blaterare – esclamo, cercando di far rallentare il ritmo del mio respiro.
Noto con una punta di soddisfazione che anche Mr. Ho-il-cuore-di-ghiaccio ha il fiato corto. – Sto solo cercando di aiutarti, maledizione! Lasciami finire, poi potrai tornare a sbronzarti come un ... un ... -.
Non riesco a trovare il termine più appropriato, quindi faccio un gesto di stizza e torno ad impugnare l'ago come se fosse un'arma.

Eric batte le palpebre, tuttavia, questa volta, mi lascia fare. Comincio a suturare il taglio, cercando di essere delicata. Gli sfugge una smorfia, ma si guarda bene dal lamentarsi.
Dopo alcuni minuti di silenzio se ne esce con: – Un pirata? -.

Alzo un sopracciglio, senza staccare gli occhi dall'ago. - Come? -.

- Non erano i pirati quelli sempre ubriachi? Quei tizi che vivevano sui vascelli e derubavano i passeggieri delle altre navi? -.

Un sorriso involontario si fa strada sulle mie labbra. – Sì, hai ragione –.

Mi sto immaginando Eric con una benda nera sull'occhio, un pappagallo sulla spalla e una gamba di legno.Terrificante. Senza volerlo mi lascio scappare una risata.

Lui rimane interdetto, è la prima volta che lo vedo così impacciato e confuso in mia presenza.
Il mio assalto deve averlo proprio sconvolto. - Cos'ho detto di così divertente? -.

- Niente – rispondo, mentre termino i punti di sutura. – Sono solo stupita che tu conosca quelle storie -.

Il Capofazione mi lancia una strana occhiata. – E perché, non dovrei? – replica, sulla difensiva.

Non raccolgo la provocazione, ma gli strizzo l'occhio. – Allora, Eric il Pirata, come ti senti? Non è stato così tremendo, vero? Dovresti avere più fiducia nelle mie capacità -.
Lui abbassa lo sguardo sul taglio, ormai quasi invisibile.

Fa per tastare i punti, ma lo blocco in tempo. – Alza le braccia, prima devo metterti la benda -.

Eric obbedisce senza protestare. Per fasciare bene la ferita devo far passare la garza attorno alla sua schiena più volte. Praticamente lo abbraccio, ma non sembra dargli fastidio. A me neppure.

Quando mi rialzo per mettere in ordine l'occorrente da riportare in infermeria, noto il suo sguardo posarsi più volte sulle mie labbra e avverto un brivido lungo la schiena.

Chissà cosa gli passa per la testa. Di certo è rimasto sorpreso dal mio bacio, ma cos'altro ha provato?

Disgusto? Piacere? Semplice indifferenza?

Pulisco l'ago sotto il getto del rubinetto, lavo sia la maglietta che l'asciugamano e li appendo alla doccia per farli asciugare.

Mi trattengo in bagno anche più del necessario, nella speranza che l'alcol torni a fare effetto.
L'unica cosa che voglio ora è sgattaiolare via senza che Eric mi noti. La ferita è a posto, lui sta bene, non mi resta altro da fare che tornare al dormitorio, gettarmi sul letto e dormire a oltranza.

Sono stanchissima, mi sembra di avere un peso opprimente sulle spalle. Prima la simulazione, poi l'attacco di Oliver e il suo suicidio, infine il bacio non premeditato con Eric. E non siamo nemmeno a metà pomeriggio! Spero davvero che le sorprese per oggi siano finite: non penso di essere fisicamente in grado di reggerne un'altra, neanche se fosse una delle idee strampalate di Mel!

Scuoto la testa, ben attenta a non guardarmi allo specchio. Mi appoggio al lavandino e osservo le gocce d'acqua che scivolano dolcemente sulla ceramica.
All'improvviso ricordo dove ho già sentito le parole che Eric stava canticchiando poco fa.
Era una delle canzoni della mamma, una delle mie preferite.

Come fa lui a conoscerla?

Ritorno nella stanza a passo di carica, decisa a risolvere il mistero, ma mi fermo sulla soglia del bagno. Il mio sguardo si intenerisce: Eric ha gli occhi chiusi e respira piano, perfino i tratti del suo viso sembrano meno spigolosi del solito.

Alla fine l'alcol ha ascoltato le mie preghiere!

Faccio per prendere in mano lo scatolone, ma mi accorgo di non volermene veramente andare da quella stanza. In preda all'indecisione torno verso il letto e mi siedo, ben attenta a non svegliare il Capofazione.

Allungo la mano e gli sfioro una guancia, soffermando per un istante un dito sulle sue labbra.
Se penso che l'ho appena baciato ... ancora non riesco a farmene una ragione.
Però mi è piaciuto. Altroché se mi è piaciuto.
Ed è stato solamente un bacetto di tre secondi. Chissà come sarebbe se mi baciasse sul serio ...

Ok, Zelda. Basta con questi sogni ad occhi aperti. Meglio togliere il disturbo.

Sto per alzarmi in piedi – controvoglia e per l'ennesima volta –, quando Eric emette un gemito.
Rimango immobile per alcuni secondi, nell'attesa che il suo sonno si faccia più pesante, ma, anziché rilassarsi, il suo corpo si contrae come in prenda al dolore e i muscoli del viso si tendono.

Muove appena le labbra, pronuncia qualche parola sconnessa che non riesco a decifrare.

Alla fine, proprio mentre mi sto effettivamente alzando dal materasso, vengo trattenuta dal suo braccio, che mi avvolge la schiena e mi obbliga a sdraiarmi sopra di lui.
Mi stringe dolcemente a sé. La mia vicinanza sembra riuscire a calmarlo, perché il suo respiro si fa più regolare e smette di agitarsi.

Sospira di piacere e le due parole che ora gli sfuggono dalle labbra sono chiarissime. - Non andartene – mormora, sempre ad occhi chiusi.

Fisso il suo volto con sospetto. Che stia effettivamente dormendo? O è solo un trucco per strusciarsi contro di me?

E chi se ne importa?

Appoggio la guancia nell'incavo della sua spalla e chiudo gli occhi a mia volta.
Dovrei provare imbarazzo, invece mi sento a mio agio. Fin troppo a mio agio.
Come se avessi appena trovato un posto che stavo cercando da tempo. Il luogo a cui appartengo.

- No, non me ne andrò – sussurro in risposta, con un mezzo sorriso.

Poco prima di cedere al sonno, mi tornano in mente i versi della canzone della mamma.

Io non sono perfetta, ma giuro ... sono perfetta per te.





* * * * * * *

Ciao gente! Allora, che ne pensate del nuovo capitolo? E della storia in generale?

Questa povera autrice ha bisogno del vostro sostegno per continuare e anche di un consiglio: volevo pubblicare lo stesso capitolo anche dal punto di vista di Eric. Voi che dite? Lo volete? Fatemi sapere ;)

Baci da Lizz

Burn in my frozen heart like a dancing flameWhere stories live. Discover now