Beware

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Zelda




Sono paralizzata. Fatico a respirare, mi sembra di avere una catena di ferro avvolta strettamente attorno al petto.

È un incubo. Deve esserlo. Non sta accadendo davvero. Qualcuno mi svegli.

Stringo i pugni contro i fianchi quando incontro gli sguardi dei miei tre fratelli, che si sono staccati dalla folla e si stanno dirigendo a passo tranquillo verso di me.

- Ehi, Zeldy! – fa Clark, spalancando le braccia come se volesse stringermi a sé.

Io indietreggio, un brivido di repulsione mi corre giù per la schiena. – Non provare a toccarmi – sibilo, rivolgendogli il mio miglior sguardo minaccioso.

Sembra funzionare. Clark si blocca come se avesse sbattuto contro un vetro invisibile e mi fissa come se non mi riconoscesse. Anche Damien, che rimane nelle retrovie, sgrana gli occhi.

A casa non mi sarei mai permessa di usare quel tono con loro. Ma ora le cose sono cambiate, non sono più la loro serva, il loro giocattolino. Sto per diventare un'Intrepida e ho tutta l'intenzione di dimostrarglielo.

L'unico che non si mostra impressionato dalla mia audacia è Alfred. Mi viene vicino e mi fa scorrere un dito sulla guancia. Mi ritraggo istintivamente, ma lui mi afferra un polso e me lo torce fino a farmi gemere.

I suoi occhi scuri luccicano, perfidi e divertiti. – Bene, bene – esordisce, squadrandomi da capo a piedi. – Hai messo su qualche muscolo dall'ultima volta che si siamo visti -. Scuote il capo come se stesse rimproverando una bambina dispettosa. – Ci hai giocato proprio un bello scherzetto, cara sorellina. Nostro padre è ancora profondamente scosso, nessuno di noi si aspettava questa tua Scelta -.

- Sì, immagino il vostro dispiacere – dico, cercando di non mostrare alcuna emozione.
La sua stretta mi sta facendo male, se continua così perderò la sensibilità delle dita. – Credevo di avervi fatto un favore. Non dicevate sempre di non volermi tra i piedi? -.

Alfred si china ancora di più verso di me. È talmente alto che deve piegare la schiena per mettere i suoi occhi all'altezza dei miei. – Non fare la furba con me – mormora, a un soffio dal mio orecchio.
Il suo tono velenoso mi fa rizzare tutti i capelli in testa. – Hai una vaga idea di ciò che hai combinato? Vieni da una delle famiglie più ricche della città, che vanta più di tre generazioni di Eruditi e tu, stupida ragazzina, che fai? Decidi di mollarci così, di punto in bianco? -.

Le sue dita lunghe e fredde stritolano le ossa del mio polso fino a farmi lacrimare gli occhi. – Meriti una lezione. Questo è per la vergogna a cui ci hai sottoposti -.

Vedo il suo braccio libero scattare all'insù e chiudo le palpebre d'istinto.
Tuttavia, il colpo atteso non arriva.

Quando sento il gemito strozzato di Alfred mi azzardo a riaprire gli occhi.
Davanti a me è comparsa una figura possente che lo ha obbligato a lasciarmi andare.

Osservo la scena a bocca aperta.

Le dita di Eric sono strette attorno al collo di mio fratello: i muscoli del suo avambraccio tatuato guizzano mentre stringe la presa. Gira appena la testa per guardarmi in faccia. – Tutto bene? – chiede, bruscamente.

Io mi limito ad annuire e mi massaggio il polso. Sulla pelle stanno cominciando ad apparire i segni delle cinque dita di Alfred.

Eric lo lascia andare di scatto. Mio fratello ha gli occhi fuori dalle orbite: si tocca la gola e inizia a tossire. Fissa il Capofazione con la faccia paonazza. – E tu chi diavolo sei? – sbotta, fumando di rabbia.

Fossi in te terrei la bocca chiusa, fratellone, penso, vedendo i muscoli del collo di Eric tesi al massimo. Anzi no, continua a provocarlo. Spero proprio che perda le staffe e ti riduca in poltiglia.

Contrariamente alle mie aspettative, Alfred non sembra intimorito dall'occhiata di fuoco che Eric gli sta rivolgendo. Ammetto di averlo sottovalutato. - Togliti di mezzo, buffone – gli intima, mentre stende le braccia avanti per dargli una spinta.

Eric non batte ciglio, ma so benissimo che non lascerà perdere quest'affronto.

Ora lo ammazza.

Più che spaventati, i miei pensieri sono speranzosi. Mi sento come una bambina a cui è stato appena mostrato un pacco regalo grande e luccicante.

Prima che Alfred possa anche solo sfiorarlo, il Capofazione gli afferra il polso con una mossa fulminea e lo scaraventa a terra. Dentro di me esulto, vorrei saltellare di gioia.

Eric gli punta un piede sul petto e lo guarda dall'alto con un sopracciglio inarcato. – Credo di non aver sentito bene – dice, in tono volutamente calmo e composto. – Hai detto qualcosa? -.

Finalmente vedo apparire una scintilla di panico negli occhi di Alfred. Sembra un insetto finito per sbaglio nella tela di un grosso ragno, che si agita inutilmente per divincolarsi, anche se sa bene che non esistono vie di fuga.

Ha gli occhi spalancati e le pupille dilatate: fissa Eric come se lo stesse ipnotizzando e balbetta qualche parola sconnessa. – N-o...no...io... -.

Scuote la testa e alza le mani in segno di resa.

Eric lo squadra da capo a piedi con la sua ormai celebre occhiata azzardati-a-fiatare-e-sei-carne-morta, poi si sposta e lo lascia respirare.
Alfred ansima come se avesse corso a perdifiato per cinque chilometri e striscia all'indietro, fuori dalla portata del Capofazione.

Quest'ultimo si volta verso di me e mi rivolge un ghigno. – Di solito non sono ammesse risse nel Giorno delle Visite – afferma, con una vena ironica nella voce. – Ma se vuoi picchiarli, fa pure. Mi girerò dall'altra parte -.

Sto seriamente prendendo in considerazione l'idea di baciarlo.

Gli faccio un ampio sorriso. – Mi stai dando campo libero? -.

- Ne hai tutto il diritto -. I suoi occhi grigi sono seri ora, non c'è più traccia di ironia.
Mi rendo conto all'improvviso che lui conosce i miei trascorsi con questi tre imbecilli meglio dei miei nuovi amici.

Faccio per ringraziarlo, ma un movimento mi distrae. Alfred si è rialzato in piedi e sta per gettarsi su Eric con il pugno alzato.

No!

Il mio corpo si muove d'istinto, con velocità e precisione. Spingo da parte il Capofazione e mi paro davanti a mio fratello. Aspetto che la sua mano chiusa sia a pochi centimetri dal mio volto, poi gli afferro il polso con una mossa repentina. Lui non se l'aspetta, perciò perde l'equilibrio e si sbilancia in avanti.

Lo colpisco allo stomaco con una ginocchiata e Alfred cade a terra per la seconda volta nel giro di pochi minuti. Mugugna dal dolore e si raggomitola su se stesso.

Non provo né pietà, né compassione. Può colpire me, urlarmi addosso, ma non gli permetto di alzare le mani su Eric, né su nessun altro.

Mi inginocchio al suo fianco e gli prendo una ciocca di capelli. Tiro finché non alza la testa e mi guarda negli occhi. - Vigliacco – sibilo, quasi sputandogli la parola in faccia. – Lo vedi quello? – chiedo, facendolo voltare verso lo strapiombo.

Alfred osserva il buio che regna al di là della ringhiera con gli occhi sbarrati, il suo pomo d'Adamo va su e giù. - Sei fortunato che io abbia un cuore, altrimenti ti avrei già gettato nel torrente. E senza un briciolo di rimorso -.

Lo mollo e mi rivolgo a Clark e Damien, che sono rimasti immobili a guardarci.
Nel Pozzo non si sente alcun rumore, gli occhi della folla sono tutti puntati sulla scena.

- Non siete i benvenuti qui – dichiaro, puntando l'indice verso l'uscita. – Andatevene! -.

Clark porge una mano ad Alfred e lo rimette in piedi a fatica. – D'accordo, d'accordo. Ce ne andiamo – farfuglia, indietreggiando lentamente come se si trovasse al cospetto di una pantera arrabbiata con i denti scoperti.

Continuano a lanciarmi occhiate intimorite finché non varcano la soglia del tunnel, poi le loro figure slanciate scompaiono nell'oscurità.

Punto i miei occhi socchiusi su Damien, che non si è mosso di un millimetro. – Quale parte della frase 'non siete i benvenuti qui' non ti è chiara? – ringhio, muovendo un passo in avanti.

Ora sono esattamente a un palmo di distanza da lui, che mi guarda intensamente con i suoi occhi verde scuro. È l'unico ad averli ereditati da mia madre.

- Zelda, io ... - comincia, ma si interrompe e scuote la testa. I suoi tratti spigolosi si ammorbidiscono e sulla sua fronte appare una piccola ruga.

Prima che possa ribattere con una battuta pungente, Damien si china su di me e mi cinge con le braccia. Trattengo il fiato e mi irrigidisco.

- Volevo solo chiederti scusa. Per tutto – sussurra, con le labbra contro il mio orecchio. Il suo tono è incerto e spezzato. Sento le sue dita stringersi convulsamente alla mia maglietta. – E voglio anche complimentarmi per la tua Scelta. Scommetto che qui non troverai nessuno coraggioso come te, sei sempre stata la più forte di tutta la famiglia -.

Le sue parole mi confondono. Mi sembra di tornare indietro nel tempo, a quando io e lui eravamo soltanto due bambini spensierati che si divertivano a giocare assieme.
Nonostante tutto, gli voglio bene. Più che a tutti gli altri componenti della famiglia messi insieme.

Lo abbraccio goffamente. – Grazie, Damien -.

- Non ringraziarmi, sorellina. Non me lo merito – bisbiglia lui a bassa voce. – Sono stato insensibile, un vero imbecille. Avrei dovuto proteggerti, avrei dovuto ... -.

Mi stacco e lo guardo dritto in faccia. – So difendermi da sola, Damien -.
Scandisco bene le parole, accompagnandole da un gesto eloquente in direzione dell'uscita.

Lui fa un sorriso storto e annuisce. – L'ho notato -.

Sbaglio, o ha gli occhi lucidi?

Si schiarisce la voce e cerca di riprendere un contegno. – So che non ho il diritto di chiedertelo, puoi anche mandarmi al diavolo se vuoi – continua, passandosi nervosamente una mano nei capelli. – Ma vorrei parlarti. In privato -.
Si interrompe e lancia un'occhiata ad Eric, che è rimasto a fissarci con le braccia conserte e un cipiglio non proprio benevolo sul volto.

Damien dimostra di avere molto più buonsenso di Alfred, non lo guarda direttamente negli occhi. – Sempre che al tuo...ehm...ragazzo vada bene -.

Arrossisco. – No, lui non è ... -.

- Potete andare al poligono. Lì nessuno vi disturberà – si intromette Eric, fulminando mio fratello con le sue micidiali iridi d'acciaio. – Zelda ha una buona mira, non ti conviene provocarla. Vi concedo dieci minuti -.

Sbatto le palpebre, perplessa. Quello che mi sta davanti non può essere il vero Eric. È così...accomodante. E non ha corretto Damien quando lo ha chiamato 'mio ragazzo'!

- Io...grazie, Eric – balbetto, mentre prendo mio fratello per un braccio e lo trascino verso l'altro lato del Pozzo.

La gente si fa da parte al nostro passaggio, guardandoci ad occhi spalancati.
Non so quale sia la mia espressione, ma di certo rispecchia il loro stesso sconcerto.

Damien non apre bocca finché non chiudo la porta del poligono. Si siede sopra al tavolo con un balzo e fa un profondo respiro. Io mi accomodo su una delle sedie addossate alla parete, osservandolo attentamente.

Non ho proprio nessuna idea di cosa voglia parlarmi. Cosa può esserci di così importante e urgente? E perché non poteva dirmelo davanti ad Eric?

- Volevo venire da solo a trovarti, ma quei due hanno insistito – borbotta, in tono contrariato. – Sapevo che sarebbe finita in questo modo, Alfred ce l'ha a morte con te. Continuava a ripetere che sei solo un'ingrata, la vergogna della famiglia e bla bla bla -.

Damien fa una smorfia disgustata prima di continuare. – Hai fatto bene ad andartene. Non so proprio come hai fatto a sopportare quegli idioti per tutti questi anni senza ribellarti -.

- Tu eri uno di loro, Damien – replico in tono gelido. – Non hai mai mosso un dito per aiutarmi. E sai bene che con Alfred non si scherza. Come avrei potuto ribellarmi? -.

Lui mi rivolge uno sguardo contrito. – Mi dispiace, Zelda – mormora di nuovo, stringendo il bordo del tavolo con entrambe le mani.
Le sue nocche diventano livide. – Io...non avrei dovuto assecondarli. Ti abbiamo trattata in modo crudele e tu non lo meritavi -.

- Non mi servono le tue scuse – dico, incrociando le braccia al petto. – Non potrò mai perdonarti per avermi lasciata in balìa di quei mostri. Eri l'unico di cui mi importava, l'unico a cui ero affezionata. E mi hai abbandonata -.

La ruga sulla fronte di Damien si accentua. – Lo so – risponde. – Ho preferito la mia sicurezza alla tua. Sono un vigliacco, proprio come Alfred. Un vigliacco egoista -.

Il suo commento amaro mi spiazza. – Cosa vuoi dire? Non capisco -.

Lui si alza dal tavolo e si guarda attorno con attenzione.
Si avvicina a me e mi posa le mani sulle spalle. – Sono dovuto fuggire da casa nostra – bisbiglia senza quasi muovere le labbra. – Nostro padre stava collaborando con i Capifazione degli Eruditi e non potevo permettere che mi scoprisse -.

Penso di avere un grande punto interrogativo dipinto in faccia.
Di che accidenti sta parlando? Nostro padre stravedeva per lui, aveva i voti più alti di tutta la scuola.

Le iridi color giada di Damien si fissano nelle mie.
Riesco a scorgervi determinazione, vergogna, ma soprattutto paura, molta paura.

– Cosa ti è successo? – mi azzardo a chiedere, visto che lui non si decide a spiegarsi.

Lui si china verso di me come ha fatto al Pozzo poco fa. Sembra allo stesso tempo stanco e rassegnato. – So che di te posso fidarmi, ma devi promettere di non dirlo a nessuno. Per nessun motivo –.

Annuisco, ancora confusa dalla piega presa dal discorso.

Damien sospira e fa un sorriso tirato. – Io sono un Divergente, Zelda -.





* * * * * * *

Eccomi di nuovo. Come promesso ad alcuni di voi, ho pubblicato il capitolo prima della data prefissata (per chi non lo sapesse, aggiorno ogni lunedì).

Spero che la storia vi piaccia, aspetto i vostri commenti. E sì, sono un'autrice sadica. Aspettatevi di tutto ;)

Baci da Lizz

p.s. ma quanto sono carini Eric e Zelda che si difendono a vicenda? *.*

Burn in my frozen heart like a dancing flameOnde histórias criam vida. Descubra agora