Morning tide

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Zelda





Credo di essere l'unica nel dormitorio abituata a svegliarsi presto.

Sono già le sette e nessuno dei miei compagni ha ancora aperto gli occhi.
D'accordo, oggi abbiamo il giorno libero, ma non mi sembra una buona scusa per poltrire a letto.

Lancio un'occhiata ai miei amici mentre mi chino per allacciare le scarpe.
Xavier russa come un treno, non so come faccia Felix a dormirgli accanto: abitudine, presumo.
I gemelli sono rientrati parecchie ore dopo di me dalla festa, li ho sentiti benissimo mentre arrancavano a passo strascicato verso le loro brandine.

Mi scappa un sorrisetto. Erano entrambi ubriachi, cantavano canzoncine sconce a mezza voce e facevano cozzare a tempo le bottiglie di birra che erano riusciti a sgraffignare sul tetto. Ho dovuto ficcare la testa sotto al cuscino per frenare le risate.

Ora sono praticamente in coma. Mi stupirei molto se riuscissero a riprendere conoscenza prima di mezzogiorno.

Alzo gli occhi al cielo e mi chiudo la porta alle spalle senza fare rumore.
I corridoi della residenza sono deserti, l'unico suono che sento è il martellare ritmico dei miei piedi sulla roccia.
Credo che anche gli altri Intrepidi non si faranno vedere in giro molto presto, la maggior parte di loro sarà in preda ai postumi della sbronza.

Io non bevo mai alcol.
Non capisco che gusto ci sia ad ingerire una sostanza che abbia come unico scopo quello di aiutarti a perdere il contatto con la realtà fino a farti star male.

Ricordo molto bene la sera in cui mio fratello Jarod è tornato a casa ubriaco fradicio.
Non avevo mai visto mio padre così infuriato, di solito gliela faceva sempre passare liscia, non l'ha mai neanche messo in punizione.

Sono dovuta intervenire di persona, altrimenti l'avrebbe massacrato a suon di schiaffi. Ho trascorso l'intera notte in camera di Jarod, osservando il suo petto alzarsi ed abbassarsi. Non l'ho lasciato solo nemmeno per un minuto, avevo troppa paura che potesse finire in coma etilico.

Jarod non mi ha mai ringraziato – non che io ci sperassi -, ma almeno ha cominciato a chiamarmi per nome, invece di rivolgersi a me con il suo solito irritante appellativo di 'stupida ragazzina'.

Cammino senza meta per circa dieci minuti.
Mi sento stranamente di buon umore, potrei mettermi a canticchiare da un momento all'altro.

Ripenso alla festa, al mio salto sulla trave, agli applausi della folla.
Quella Josie ha avuto quel che meritava: forse l'umiliazione subita l'aiuterà a diventare più umile, o quanto meno ad abbassare la cresta.

Il modo in cui si strusciava su Eric...bleah, raccapricciante.
Tuttavia lui non sembrava entusiasta di quelle attenzioni. Mi domando perché.
Gli altri Intrepidi non facevano che sbavare, come se non avessero mai visto una donna in vita loro.

Sospiro. Uomini: basta un bel paio di gambe a mandarli fuori di testa.

Immersa nelle mie fantasticherie, non bado a dove sto andando.
Svolto a destra ad un bivio e mi ritrovo davanti ad una massiccia porta d'acciaio.

Alzo un sopracciglio, perplessa. Chissà perché i miei piedi mi hanno condotta dritta verso il poligono di tiro.

Beh, già che sono qui, tanto vale allenarsi un po'.

Spingo la maniglia ed entro. La stanza è illuminata da una sola lampada, le altre sono focalizzate sui bersagli.
Batto le palpebre, per abituarmi alla semi oscurità.

Non appena metto a fuoco la figura seduta accanto agli armadietti delle armi, trattengo il fiato e il mio cuore comincia a battere all'impazzata.

Eric volta di scatto la testa quando sente la porta sbattere e rimane a fissarmi con le sopracciglia inarcate. – Tu che ci fai qui? – esordisce, in tono aspro.

Credo sia il saluto più gentile che ci si possa aspettare da lui.
Almeno non mi ha urlato contro, né ordinato di fare dietrofront e tornarmene di corsa al dormitorio.

Mi limito ad alzare le spalle. – Voglio allenarmi – dico, avvicinandomi agli scaffali dove sono custoditi i caricatori.
Ne estraggo uno e prendo un astuccio dall'armadietto. Nel farlo, sfioro per un attimo il braccio di Eric, ma lui non si tira indietro.

Mi sta ancora fissando incredulo. – Non hai il giorno libero? – chiede, dopo un attimo.

- Sì, fino a prova contraria -.

La mia risposta sembra confonderlo ancora di più. – E come mai non te ne sei rimasta a letto? Non hai proprio nient'altro da fare? Che ne so, truccarti, sistemarti i capelli...? -.

- ... e ricamare fazzoletti, magari? – lo interrompo, scoccandogli un'occhiata ironica.
Il suo tono sprezzante mi urta i nervi e fa scattare automaticamente l'interruttore del mio sarcasmo. – Per chi mi hai preso? Per una Pacifica? -.

Innesto il caricatore e Eric fa un piccolo sussulto quando il click risuona nella stanza.
Guarda la pistola tra le mie mani e fa una smorfia: forse sta ricordando di quando gli ho quasi fatto un buco in testa.

Gli rivolgo un ghigno. – Piccolo consiglio: mai offendere una donna mentre impugna un'arma carica – sussurro, mentre prendo posizione.

Sento i suoi occhi su di me. Se pensa di mettermi a disagio, ha fatto male i calcoli.
Dimentico dove – e, soprattutto, in compagnia di chi – mi trovo, non appena mi concentro sull'obiettivo.

Stringo la pistola con entrambe le mani e inquadro il bersaglio, socchiudendo leggermente le palpebre.
Premo il grilletto a ripetizione: ormai il rumore non mi ferisce più i timpani.
Le mie dita sostengono bene il peso dell'arma, non le permettono di rimbalzare all'indietro e colpirmi in faccia come le prime volte.

Quando finisco i proiettili, abbasso le braccia e conto i colpi andati a segno.
Il centro della figura di cartongesso è crivellato di fori, ho mancato il bersaglio solo due volte.

Mi giro verso Eric. Si è appoggiato al tavolo e non ha smesso di guardarmi. – Non male, per una principiante – dice, tamburellando con le dita sull'acciaio. – Ma sono sicuro che potresti fare di meglio -.

Non vuole proprio darmi soddisfazione, eh? Staremo a vedere.

– Hai ragione – esclamo, prendendo un altro caricatore.

Lui non mi ferma, anzi mi squadra da capo a piedi con una lunga occhiata.
Mi posiziono con le gambe divaricate, le braccia distese e prendo la mira.

La voce dura del Capofazione mi ammonisce prima che possa premere il grilletto. - Ferma –.
Si piazza alla mia sinistra e mi posa due dita sotto al mento. – Tieni su la testa. E sciogli i muscoli, sei troppo tesa -.

Non lo guardo, ma annuisco e seguo i suoi consigli.
Potrebbe essere l'istruttore ideale, se usasse un po' meno quel tono saccente e lievemente derisorio.

Rimane al mio fianco mentre svuoto il secondo caricatore e noto un sorriso soddisfatto increspargli le labbra quando conta i colpi andati a segno. – Decisamente meglio – commenta. Poi fa un ghigno. – Per oggi può bastare. Non vorrai farci rimanere senza munizioni, vero? -.

Faccio una smorfia delusa. – Mi piacciono le armi, non ci posso fare nulla – borbotto, mentre apro uno degli sportelli e prendo il kit per pulire la pistola.
Mi appoggio al tavolo, smonto i vari pezzi e, dopo averli lucidati fino a farli brillare, li rimetto insieme in velocità.

Quando mi volto per posizionare l'arma al suo posto, sbatto contro il petto di Eric.
Non mi ero accorta che si fosse avvicinato così tanto.

Mi toglie la pistola dalle mani e la esamina minuziosamente, da ogni angolazione.
Appena termina l'ispezione, ricevo il premio a cui stavo aspirando.
Le sue iridi grigie esprimono allo stesso tempo ammirazione ed incredulità.

- Non stavi scherzando – mormora, facendo saettare lo sguardo dall'arma a me come se stesse guardando una partita di tennis. – Si può sapere come fai? -.

Devo afferrare il tavolo per non perdere il contatto con la realtà e non lasciarmi ingabbiare da quello sguardo ardente che trasforma i suoi occhi d'acciaio in argento fuso. - Come faccio cosa? – balbetto, facendo un passo indietro.

Eric non mi dà tregua. – Prima quella capriola in aria, poi il salto mortale sulla trave e ora questo – sbotta, indicando la pistola. I suoi occhi si stringono. – Chi sei veramente? -.

Cerco di recuperare un po' della mia ironia innata, ma ho la mente annebbiata. – Solo una ragazza dalle mille risorse – ribatto, con un'alzata di spalle.
Ora la vuoi smettere di fissarmi come se volessi entrare nel mio cervello? È alquanto imbarazzante.

Non l'ho convinto, ma non so nemmeno che risposta si aspettasse.
Chi pensa che sia, un'eroina? Un'eletta? Una persona fuori dall'ordinario?

È fuori strada. Totalmente fuori strada.

Sono solo diversa dalle altre ragazze, tutto qui.

Eric ed io continuiamo a fissarci per parecchi secondi, ormai queste nostre occhiate prolungate stanno diventando un'abitudine.
Lui sembra essere in attesa di un mio cedimento, un'ammissione di sconfitta.
Povero illuso.
Se qualcuno mi provoca, divento un avversario molto accanito. Specialmente se ho davanti un carattere duro quanto il mio.

Alla fine è lui il primo a tirarsi indietro. – Già, in effetti potrei aver sopravvalutato le tue capacità – replica, passandosi un dito sul mento. – Dopotutto, non sei nemmeno riuscita a battere quel Candido durante il primo incontro -.

La sua frase mi colpisce dritta in faccia. – Però ho messo al tappeto Oliver – replico, digrignando i denti. – Quello non conta per te? -.

Eric inclina il capo, lo sguardo percorso da una scintilla di maligno divertimento. – Io ho vinto contro tutti i miei avversari l'anno scorso, so riconoscere un perdente quando lo vedo. E tu -, continua, puntandomi l'indice sulla fronte, - mia cara Zelda, rientri nella categoria. Con Oliver hai avuto solo fortuna -.

Adesso lo strozzo. O gli sparo.
Quanti anni di prigione comporta l'assassinio di un Capofazione?
Potrei sempre farlo passare per uno sfortunato incidente...maledizione, ho già scaricato la pistola!

La mancanza di armi e oggetti contundenti mi obbliga a sfruttare il mio arsenale personale.
Lo fulmino con lo sguardo più micidiale del mio repertorio, ma lui non batte ciglio.
Ha ancora in faccia quel dannato sorrisetto strafottente che fa da contorno alla sua abituale espressione sprezzante.

Alla fine esplodo. – La vuoi smettere di criticare tutto quello che faccio? Visto che ti ritieni tanto superiore, perché non mi alleni tu?! –.

La mia furia rimbomba come un'eco tra le quattro pareti della stanza.
Mi pento delle mie parole nell'esatto istante in cui mi escono di bocca.
Ora ho davvero superato il limite: vorrei scappare a nascondermi, possibilmente in una buca profonda.

Sei un'idiota, Zelda.

Contrariamente alle mie previsioni, Eric non pare sorpreso dalla mia reazione.
Anzi, annuisce piano tra sé. – Mi chiedevo quando ci saresti arrivata – replica, in tono tranquillo, lasciandomi allibita.

Ma che...? Aveva pianificato tutto?

Di fronte alla mia espressione sconvolta, il suo ghigno si allarga.
Senza aggiungere altro, si avvia verso l'uscita.
Rimango a fissare il profilo delle sue spalle, convinta di aver interpretato male le sue intenzioni.
È l'unica spiegazione possibile.

Il Capofazione spinge la porta, poi si volta a fissarmi. – Che c'è, vuoi un invito scritto? – chiede, inarcando un sopracciglio. - Hai forse paura? -.

Butto l'astuccio con la pistola nell'armadietto e mi avvicino ad Eric. – Tu non mi fai paura – sibilo, imitando il suo sguardo intenso di poco fa.

- Perfetto – fa lui, mentre esce dalla stanza.


Burn in my frozen heart like a dancing flameWhere stories live. Discover now