Unholy ground

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Zelda




Eric era un Erudito, ci avevo visto giusto.

E, da come ha appena pronunciato il mio cognome, deduco che conoscesse bene la mia famiglia.
Non c'è da stupirsi: mio padre era molto famoso nel quartiere e, in un certo senso, anche i miei fratelli. Di sicuro più per la loro arroganza che per vero e proprio talento.

Osservo il Capofazione, che si è zittito di colpo dopo aver scoperto la mia vera identità. No, non l'avevo mai visto prima di quel giorno sul tetto, ne sono certa.

Allora come fa lui a conoscere Alfred? Se non l'ho mai incontrato a scuola, significa che non frequentava quella privata, dove mio padre mi obbligava ad iscrivermi ogni anno. Nel programma avanzato, ovviamente.

Non ricordo di averlo neanche mai incrociato per le stradine vicino a casa o in biblioteca. A pensarci bene, forse potrei averlo già incontrato, o sfiorato per caso, tuttavia il suo volto non mi è rimasto impresso.

Certo, prima di un anno fa non aveva tutti quei piercing in faccia o dei tatuaggi così aggressivi.
Ora è impossibile non notarlo, spiccherebbe in mezzo ad una folla anonima come una colomba rinchiusa in una gabbia di corvi.

Visto che non si decide a parlare, lo faccio io. – Conoscevi mio fratello? -.

La sua risposta è secca. – Sì -.

Non aggiunge altro per un bel pezzo. Mi chiedo a cosa sia dovuta quest'improvvisa freddezza: fino ad un minuto fa non la smetteva di farmi domande, mentre ora è immobile come una statua, le labbra strette in una linea dura.

- Ti ha fatto qualcosa? – mi azzardo a domandare, pensando ai bambini che Alfred si divertiva a tormentare quando giocavamo al parco.

- Se mi avesse anche solo guardato storto, a quest'ora sarebbe morto – scatta Eric, facendomi sussultare. – E ora sta zitta! -.

Scuoto la testa davanti al suo repentino cambiamento d'umore e nascondo la faccia nel tessuto morbido dei pantaloni. – Se l'avessi ucciso, mi avresti solo fatto un favore – mormoro, troppo piano perché possa sentirmi.

Parlare con Eric stava cominciando ad aiutarmi a dimenticare dove ci troviamo. Ora sento che il panico è tornato: chiudo gli occhi e cerco di controllare il ritmo del respiro. E se dovessimo rimanere rinchiusi qui per tutta la notte?

Ti sembra il momento di formulare pensieri pessimistici, Zelda? Sbaglio, o hai un quoziente intellettivo al di sopra della media? Usa il cervello e reagisci!

La voce autoritaria dell'insetto guida non mi irrita più come succedeva quando ero ancora un'Erudita.
Adesso è un piacere sentirla, significa che non sono sola: non mi ha abbandonata come hanno fatto tutti gli altri che conoscevo. Udire i suoi ordini bruschi è quasi un sollievo, mi aiuta ad emergere pian piano dalle sabbie mobili del panico.

D'accordo, serve un piano.

Tiro indietro i capelli e mi strofino la fronte con le dita, mentre analizzo mentalmente la situazione.

L'ascensore si è bloccato da circa mezz'ora, o più. Siamo fermi tra il secondo piano ed il primo. I pulsanti non funzionano e la luce d'emergenza continua a lampeggiare sul soffitto: probabilmente il tutto è dovuto ad un'interruzione di corrente elettrica.

Cosa si deve fare in questi casi?

Aspettare che arrivi qualcuno è fuori discussione: potrebbero volerci ore, se non l'intera notte.
Nessuno sa che siamo qui e chissà quanto ci impiegheranno a scoprire che siamo scomparsi.

Lancio un'altra occhiata ad Eric. Quello che gli ho confessato prima è vero, sono felice che ci sia lui in questo ascensore con me e non qualcun altro. Se fossi intrappolata assieme a Quattro, o Felix – per non parlare di Xavier! - sarei molto più imbarazzata di quanto non sia ora.

Non riesco a spiegarmelo, ma questo ragazzo, per quanto si sforzi, non riuscirà mai ad intimorirmi.
Al contrario, la sua vicinanza mi trasmette una bella sensazione, come se sapessi per certo che non potrebbe mai farmi del male.

Eric avverte il mio sguardo e mi incenerisce con i suoi occhi grigi. – Maledizione, smettila di fissarmi – sbotta, in tono aspro.

- Che c'è, ti sto mettendo a disagio? – chiedo, con un mezzo sorriso. Irritarlo sta diventando una delle mie attività preferite, è stranamente divertente.

- Piantala e basta – sibila lui, digrignando i denti.

Sospiro e faccio leva sulle braccia per alzarmi in piedi. – Quante storie – borbotto, tra me e me. – Sei bello da guardare, tutto qui. Non c'è bisogno di arrabbiarsi -.

L'assenza di sarcasmo nella mia voce gli impedisce di rispondermi per le rime: sono piuttosto sicura di averlo lasciato a bocca aperta. Beh, può interpretare la mia frase come vuole. Era solo un parere oggettivo, non una dichiarazione 'amore.

Lo ignoro e mi concentro. Fisso le porte dell'ascensore come se avessi il potere di fracassarle col pensiero.

Sto facendo di tutto per contrastare questo terrore irrazionale che mi paralizza da capo a piedi, ma non ho ottenuto molti risultati. Ho caldo, sebbene abbia braccia e spalle scoperte, e molta sete.

Non mi fermo neanche a pensare se sia una buona mossa da fare, agisco e basta. Tiro un pugno contro la parete con tutta la forza che mi rimane, poi un altro e un altro ancora.

L'ascensore trema leggermente, ma rimane bloccato nello stesso punto. Sto per colpire di nuovo lo spesso acciaio che mi sta tenendo prigioniera, ma qualcosa mi blocca.

Due mani forti si chiudono attorno ai miei polsi e mi tengono ferma.

Eric mi sbatte contro la parete e mi guarda negli occhi con ira. – Stai cercando di ucciderci entrambi? – grida, a pochi centimetri dal mio volto. Ha il respiro affannoso come il mio, devo averlo proprio spaventato con la mia reazione isterica.

Rimaniamo a fissarci per un lungo momento. La sua presa si ammorbidisce un po', ma continua a tenermi bloccata col suo corpo massiccio, non posso muovermi di un millimetro.

Ho le sue labbra all'altezza dei miei occhi. In un istante di follia mi chiedo che effetto farebbe baciarlo, sfiorare quei piercing con la lingua... proverei disgusto o semplice piacere?

Deglutisco e abbasso lo sguardo. Che diavolo mi viene in mente?  Perché sto facendo certi pensieri su di lui? Si tratta di Eric, per l'amor del cielo! Cosa c'è che non va in me?!

La poca distanza che ci separa di certo non mi aiuta a mantenere la calma. Il tocco delle sue dita mi provoca dei brividi lungo la schiena, sento i polpastrelli formicolare.

Sto per allontanarlo per riprendermi il mio spazio personale, quando una scossa inattesa fa tremare tutte e quattro le pareti. Da sopra proviene un cigolio acuto e l'ascensore scatta verso il basso a tutta velocità.

L'improvviso vuoto d'aria mi chiude lo stomaco: trattengo il respiro e mi aggrappo alla maglietta di Eric.

Lui non mi respinge, anzi sento le sue braccia cingermi i fianchi, come se volesse farmi da scudo col proprio corpo.

Chiudo gli occhi, preparandomi al peggio, e appoggio la fronte contro il suo petto. Potremmo morire da un momento all'altro: ormai non ho più nessun pudore, non me ne frega niente.

La cabina scende per altri tre o quattro metri, poi si ferma di botto. Rimaniamo immobili, sento solo il suono dei nostri respiri e il battito forsennato del mio cuore.

Il trillo di un campanello spezza la bolla di silenzio in cui siamo intrappolati da parecchi secondi, e, come per miracolo, le porte d'acciaio si aprono. Mi occorrono alcuni istanti, ma alla fine mi rendo conto che il peggio è finito.

Eric mi lascia andare di scatto, recupera il fucile da terra e si affaccia oltre la soglia con prudenza. – A quanto pare siamo salvi – dice, scrutando a destra e a sinistra. Poi esce, senza guardarmi, e si avvia lungo quello che credo sia un corridoio che conduce all'entrata dell'edificio.

L'oscurità in cui si è appena tuffato è anche peggio della stretta cabina dell'ascensore.
Osservo la fitta cortina di tenebre ad occhi spalancati e la paura, che la vicinanza di Eric aveva magicamente allontanato, torna a paralizzarmi.

- Si può sapere che aspetti? – sbraita il Capofazione dopo pochi secondi. La sua voce sprezzante mi fa sobbalzare, come il fragore di un tuono nel bel mezzo della notte. – Muoviti, o ti lascio qui -.

Serro i denti e, in un unico movimento, infilo la maglietta che avevo gettato sul pavimento.
Afferro il fucile e lo stringo forte contro lo sterno, immaginandolo come una sorta di barriera che mi difende da tutto ciò che si nasconde e striscia nell'oscurità.

Prendo coraggio e avanzo lungo il corridoio, sperando che Eric non mi abbia abbandonata a me stessa. Ne sarebbe capace, vista la poca pazienza che possiede.

Mi ero illusa di aver fatto breccia nel suo cuore con la storia della mia paura, credevo di aver scorto delle emozioni nei suoi tratti di pietra mentre gli raccontavo quell'episodio orrendo. Devo essermi sbagliata.

Andiamo Zelda, cosa pensavi? Che ti avrebbe accompagnata per mano fino all'uscita?
Rassegnati, quel ragazzo non è umano. Vedi di non lasciarti trasportare dalle tue fantasie.


La mia coscienza è nel giusto, sono io che non voglio ascoltarla.

Volevo abbattere i muri che ha eretto attorno a sé per difendersi dal resto del mondo, invece non li ho nemmeno scalfiti. Confidarmi con lui è stato del tutto inutile, come se avessi cercato di rompere un vetro armata solo di un fragile ramoscello.

Speravi di fargli compassione? O che ti avrebbe offerto una spalla su cui piangere? Non sei niente per lui, Zelda. Ficcatelo in testa una volta per tutte.

Già, è vero. Lui è un Capofazione, mentre io sono solo una fragile e sciocca iniziata trasfazione.
Cosa speravo di ottenere? La sua amicizia? La sua stima?

Non succederà mai, perché mi vedrà sempre come la ragazzina debole e patetica che ha paura del buio. Ridicola, no?

Sento gli occhi pungere e abbasso prontamente lo sguardo. La tensione accumulata in così poco tempo minaccia di farmi tracimare come un fiume in piena e questo decisamente non è il momento giusto per scoppiare a piangere.

Mi stupisco di me stessa. Non più ho versato una sola lacrima da quando mia madre è morta: ho inghiottito tutto il dolore della perdita, usandolo come una sorta di combustibile per andare avanti e sopportare quei cinque pazzi. Non sono mai crollata, niente riusciva a spezzarmi. Ero come un giunco, mi flettevo assecondando la furia della tempesta, ma non le permettevo di distruggermi.

Ora, invece, mi sento fragile come un calice di cristallo. Basterebbe una brezza leggera a farmi cadere e non avrei scampo, finirei in mille pezzi.

Questi pensieri cupi e malinconici hanno il loro lato positivo. Senza rendermene conto, sono riuscita a percorrere il corridoio oscuro del piano terra, fino alla porta che conduce all'esterno.
Eric non se n'è andato come aveva minacciato, anzi, mi sta aspettando appoggiato allo stipite.

Mi sento sollevata, riesco quasi a rivolgergli un sorriso. Quasi.

Mi sta guardando come fossi una qualche specie di animale fastidioso a cui è incaricato di badare.

Beh, grazie tante. Sono capace di cavarmela anche da sola, come hai potuto notare.

Gli passo accanto e lo supero senza degnarlo di una misera occhiata.

Non appena metto piede fuori dall'edificio, due figure mi corrono incontro e si gettano su di me con impeto. Leslie mi abbraccia con dolcezza, invece la stretta di Mel assomiglia più ad una presa di wrestling.

– Zelda, io ti uccido! – esclama quest'ultima, scuotendomi più volte.

Faccio una smorfia quando mi lascia andare. - Sei sulla buona strada – replico, massaggiandomi le spalle.

- Ti stiamo cercando da più di mezz'ora! – continua lei, passandosi una mano tra i capelli color tramonto. – Dove diamine eri finita? -.

Scocco uno sguardo ad Eric. Si sta dirigendo verso Quattro, probabilmente per spiegargli la situazione, e non ci sta prestando la benché minima attenzione.

Sospiro. – Sono stata... trattenuta – dico, con un gesto della mano. – Niente di grave. Solo un piccolo incidente con un ascensore -.

- E' colpa sua? – chiede Mel, indicando il Capofazione col pollice. – Se è così, gli faccio il culo -.

Mi affretto a scuotere la testa. – Ti sbagli. Eric mi ha aiutata, in un certo senso -.
Accompagno la mia spiegazione con un'alzata di spalle.

Il cipiglio di Mel è profondamente scettico, ma non aggiunge altro.
Ci incamminiamo verso i binari, seguendo il gruppo in nero che ci precede.

Una figura si stacca dalla piccola folla e ci raggiunge.
Felix si piazza al mio fianco e mi scruta attentamente. – Va tutto bene, Zelda? – chiede con gentilezza. – Sono corso a cercarti non appena la partita è finita, ma sembravi svanita nel nulla -.

Meglio allontanare l'attenzione da me. Nessuno dovrà mai sapere cosa è successo in quella cabina, me lo porterò nella tomba. – Non ti preoccupare, ho solo avuto un piccolo incidente. A proposito, chi ha vinto? – domando, in tono interessato.

Xavier spunta alle mie spalle e mi scompiglia i capelli. – Noi, naturalmente! – esclama, mentre colpisce il braccio del fratello con un pugno amichevole.

- E' stata colpa mia – ammette Mel, storcendo il naso. – Mi hanno seguita e sono riusciti a soffiarci la bandiera mentre eravamo impegnati a sparare -.

A quel punto mi accorgo che sia lei che gli altri hanno gli abiti coperti di roba viscida e puzzolente.
Xavier ha addirittura alcuni schizzi nei capelli: invece di toglierseli, li esibisce con orgoglio, neanche fossero trofei di guerra.

Quando arriviamo alla residenza ho le lacrime per il troppo ridere. Mi butto sul letto e prendo sonno all'istante.




Burn in my frozen heart like a dancing flameWhere stories live. Discover now