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Sono in ansia. Completamente.
Non che i miei genitori lo siano di meno, ma lo fanno notare poco.

Entriamo nell'orfanotrofio insieme. Dopo aver spiegato al ragazzo della reception chi siamo, lui ci conduce in una stanza e ci fa accomodare su dei divanetti. Subito dopo entra una donna nella stanza e capisco subito che è la responsabile. Si presenta quindi a me, conoscendo già i miei genitori, e annuncia che va a prendere il nuovo arrivato della famiglia.
I miei genitori si guardano, contenti e agitati, e io guardo loro, contenta ed agitata.

«Signori Cooper» esordisce la responsabile entrando di nuovo nella stanza «Lui è Javier» presenta guardando un bambino che si nasconde dietro le sue gambe, intimidito.
«Ciao» lo saluta mia madre, mentre mio padre lo guarda sorridendo.
«Non serve che ti nascondi» cerca di motivarlo la signora.
Il bambino piano piano esce da dietro le gambe della donna.
Sorrido non appena vedo la sua faccia. È così carino. Ha i capelli corti marroni, gli occhi color nocciola e il naso a patata.
È cosi fottutamente dolce.

Mi stupisco di me stessa. I bambini non mi sono mai piaciuti tanto. Sì, insomma, sono carini se poi tornano a dormire, a mangiare e a fare la cacca a casa loro.
Ma ho una sensazione completamente diversa. Lui è così... lui è famiglia. Lo sento mio, nostro. Lo sento fratello. E non mi sono nemmeno presentata a lui.

«Siete voi la mia famiglia?» domanda con una voce così dolce e in attesa di una risposta affermativa
«Sì, siamo noi» risponde mio padre
Javier si avvicina a noi e ci sorride, mostrando i suoi piccoli dentini:«Grazie» ci dice continuando a sorridere.
«Grazie a te, piccolo» gli risponde mia madre, in tono estremamente dolce.
Io non ho il coraggio di parlare e questo mio padre se ne rende conto.
«Ti va di venire con noi a casa?» gli domanda titubante mio padre.
Il bambino ridacchia:«Sì!» risponde entusiasta.

Dopodiché, i miei genitori si spostano verso la cattedra dell'ufficio con la responsabile, per sistemare le ultime cose e quindi rimango da sola con lui, anche se a breve distanza.
Javier mi guarda, sorride e abbassa la testa, intimidito.
Sorrido e mi faccio coraggio:«Io mi chiamo Haley» mi presento «Sono... tua sorella» gli spiego.
Il bambino alza lo sguardo e mi guarda sorridendo:«Davvero?» mi domanda stupito.
Annuisco.
«Quindi giocherai con me?» mi domanda ed è così dolce
«Certo» rispondo sicura «faremo tante cose insieme»
Javier decide di sedersi accanto a me, facendo un salto per potersi sedere comodamente nel divano, per lui, alto. Sorrido alla vista di questo piccolo essere umano.
«Elly» mi chiama «posso chiamarti così?» mi domanda alzando di tanto la testa, per potermi guardare
«Sì» confermo
«Tu mi puoi chiamare Javi» mi propone «se vuoi»
«Va bene, Javi» sorrido
«Non ho mai avuto una famiglia» mi spiega «cosa si fa?»
Il cuore mi si spezza alla sua domanda.
Respiro ampiamente:«Essere una famiglia significa volersi bene, tanto bene» incomincio «così tanto bene, che ci si aiuta sempre e nessuno viene lasciato indietro» continuo «significa mangiare insieme, giocare insieme ma anche litigare, qualche volta» proseguo «l'importante è che il bene superi ogni problema»
Il bambino mi sorride.
«E tu mi aiuterai sempre?» mi chiede
Sorrido:«Sempre» gli rispondo
Lui quindi si avvicina a me e, più che inaspettatamente, mi abbraccia.
Il mio petto si scalda e, per quel che mi è possibile, dato il suo piccolo corpo, ricambio il dolce gesto.

Dopo alcuni istanti, i miei genitori e la responsabile ci raggiungono, mio padre con la piccola valigia del bambino in mano, pronti per andare.
«Andiamo a casa?» ci domanda nostro padre
«Sì» risponde sicuro Javier.
Si alza quindi poi in piedi e mi porge la mano, per stringerla.
Io soddisfo il suo desiderio e poi mi tira, per camminare, con la nostre mani intrecciate. Ha una mano così piccola.
I miei genitori mi guardano sognanti, come se fosse la cosa più bella che avessero mai visto.

DUST || [COMPLETA]Where stories live. Discover now