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내 손목에 감는 쇠사슬 / catene che circondano i miei polsi / chains around my wrists


Il sole era alto nel cielo. Illuminava tutto lo spazio circostante a Jisung, quei dintorni che continuavano a cambiare passo dopo passo.

Era di ritorno dall'università. Per quel giorno non aveva detto nulla a Minho riguardo a cosa avrebbe fatto, poiché l'altro ragazzo era uscito con i suoi amici durante la mattinata, siccome non aveva lezione. Non lo era venuto a prendere all'università, e forse sarebbe stato fuori per il resto della giornata. Ma a Jisung non dispiaceva. Lo rendeva felice sapere che si stesse divertendo.

In ogni modo, apprezzava quel momento di solitudine mentre camminava, i raggi del sole che lo riscaldavano, non troppo da fargli caldo, e il leggero venticello autunnale che gli spettinava i capelli.

Ormai mancava poco per arrivare a casa, e la sua mente era ora piena di idee su cosa avrebbe potuto mangiare se Minho non fosse già arrivato. Non era mai stato un cuoco particolarmente abile, ma avrebbe fatto del suo meglio.

Nel mezzo dei suoi pensieri, però, una mano si appoggiò sul suo braccio. La testa di Jisung si girò di scatto, incontrando gli occhi di una persona che non era entusiasta di vedere.

–Devi venire con noi.

Il suo sangue si gelò, nonostante il sole colpisse in pieno il suo intero corpo. La sensazione di spensieratezza fu ribaltata completamente, si sentiva come se qualcuno lo avesse messo a testa in giù. La presa sul suo braccio, che in realtà era così leggera, bruciava come una scottatura, in contrasto con i brividi che gli stavano facendo venire la pelle d'oca. Era tutto e niente allo stesso tempo. Aveva paura, era terrorizzato.

I capelli biondi del ragazzo alla sua sinistra si spostarono per un attimo dai suoi occhi castani. Quelli erano occhi amichevoli, puri, innocenti. Come potevano appartenere a qualcuno del genere?

–Non cercare di ribellarti.– disse poi, mentre qualcun altro sfiorava la sua spalla destra.

Jisung non sapeva neppure se sarebbe stato in grado di fuggire, se solo ci avesse provato. La sua voce era bloccata, una forza invisibile sulla sua gola, lo stringeva forte, facendolo soffocare.

–Perché..?– sussurrò, la sua voce tremante.

–Non ti faremo nulla, ma devi venire con noi.– mormorò il ragazzo alla sua sinistra.

Non voleva tornare in quel posto. Non voleva farlo. Ma i suoi piedi non potevano far altro se non procedere, quasi sincronizzati con quelli dei suoi "cacciatori". Perché era lui la preda. Lo sarebbe sempre stato.

–Perché?– ripeté.

Nessuna lacrima uscì dai suoi occhi. Era paralizzato. Il suo corpo, la sua mente. Seguivano soltanto ciò che pareva la cosa più facile da fare. Cercava conforto in una circostanza in cui non ce n'era neppure una goccia. Neppure l'ombra. Neppure un'apparenza.

Era cruda, la realtà. Per quanto le parole dolci di Minho cercassero di rassicurarlo sul contrario. Era tutto così freddo.

Nessuno avrebbe potuto salvarlo in quel momento. I suoi occhi vuoti e alti, qualche volta davanti a sé, qualche volta sul cielo, non riuscivano a descrivere ciò che provava dentro di sé. Perché in realtà, in quegli istanti, il suo cuore batteva fortissimo, ma si sentiva come se fosse immobile. Come se avesse smesso di farlo, e fosse per lui ormai giunta la fine.

–Perché?– ripeté un'ultima volta, seguendo i due ragazzi verso un vicolo nascosto, in cui era parcheggiata un'auto.

Rimasero in silenzio, fermandosi davanti a una delle portiere posteriori e aprendola. Uno dei due si sporse all'interno, afferrando qualcosa che Jisung non aveva neppure la forza di identificare.

of these chains | minsungWhere stories live. Discover now