Capitolo 8

111 1 2
                                    




Mi scoppiava la testa. Le mie braccia iniziarono freneticamente a picchiare contro il petto marmoreo di Ruslan.

Tremavo e... non riuscii a smettere. Semplicemente, non volevo entrare.

Camminammo per molto, prima di giungere lì. Situata alla fine della zona est, definirla casa era riduttivo. Una maestosa residenza in stile classico era più consono. I mattoni bianchi a vista, assorbivano la luce del sole mentre il tetto a falde, si dipingeva di blu.

Delle vetrate lasciavano intravedere il suo interno. Una dimora regale, dimenticata e lasciata a sé stessa. Avevo come l'impressione che in un passato, non tanto remoto, ci vivesse una principessa, immaginai fosse l'abitazione ideale per una ragazza dalla nobile stirpe.  

Quando vi entrammo, fui catapultata in un mare torbido di ricordi. Avrei preferito dimenticare.

Vivere una vita serena, in pace. Libera dai tormenti che mi affliggevano.

Il grande salone d'ingresso si colorava principalmente di bianco. Dalle travi del soffitto pendevano dei lampadari in cristallo, degli specchi riflettevano le nostre persone.

Uno specchio grande, dalla cornice dorata, si prospettò dinanzi a noi. Osservai le nostre fattezze, delineate per intero.

Il mio riflesso era sempre lo stesso: quello di una ragazzina insicura, impacciata ed impaurita. Appoggiai il capo sulla sua spalla, Ruslan continuava a reggermi sulle braccia, nonostante tutto.

Lo strinsi forte, sperando capisse.

Sperando mi portasse via.

Invece se ne stava in piedi, era una statua rigorosa e inossidabile che mi sosteneva impassibile.

<< Voglio andare via, portami via... non voglio stare qui >>.

Era come se quella parte di Lys non esistesse, almeno non per me.  Lys non era quello, non comprendeva quella casa. Lys erano i migliaia di migliaia di ettari che si estendevano al di fuori dell'ammasso di mattoni in cui eravamo.

<< Portami via, ti prego >> ma lui sembrò non ascoltarmi.

Al contrario, mi adagiò su un ammasso di cuscini. Sprofondai sul divano bianco tanto confortevole quanto soffocante.

Non riuscivo a muovermi, l'orrore che avevo sulle mie gambe me lo impediva.

<< Aspettami qui >> ordinò, prima di dissolversi nell'ampia scala che portava al piano superiore.

Rimasi lì, nauseata. Non sarei comunque potuta andare via. Non potevo andare via.

I mei pensieri erano indomabili. Quell'ambiente mi fece stare male, non ero abituata a così tanta sofferenza. Avrei voluto disporre della mia mente, far placare la tempesta furiosa che mi attanagliava le viscere.

Ruslan come conosceva quel posto?

Quando lo vidi tornare da me, mi agitai.

<< Pensavo saresti scappata da me, mi fa piacere constatare che tu sia collaborativa >>.

Furono sensazioni ambigue quelle che provai nei suoi riguardi.

Desideravo che curasse le mie ferite. Che risanasse quelle difficili da vedere, ma che sentivo più di tutte. Quelle che mi scombussolavano l'esistenza.

Portava con se un'ampollina contenente dell'alcool e delle garze, capii il perché del suo allontanamento.

Noncurante, mi si sedette accanto, iniziando a tamponarmi le ginocchia con quella soluzione micidiale. Bruciava da morire.

Mi lamentai, sofferente.

Con estrema freddezza, Ruslan continuò il suo lavoro, con cura e precisione .

Era così attento, concentrato. Le sue dita muovevano il piccolo batuffolo che mi infiammava la pelle, disinfettandomi.

<< Perché sei scappata da me? Pensavo ti piacesse godere della mia compagnia >> disse aspramente.

E aveva ragione, ai suoi occhi dovevo sembrare matta. Ma per quanto fossi attratta da lui, mi spaventava. Una buona parte di me lo respingeva con tutte le sue forze. Non sapevo come comportarmi, né cosa dire per giustificare le mie reazioni eccessive.

<< A te piace la mia di compagnia? >> lo pungolai. Preferii spostare l'attenzione altrove, su di lui. Ritenni che quello non fosse il momento giusto per parlargli di me. Ma l'avrei fatto. Glielo avrei detto, decisamente. Gli avrei confessato i motivi che mi facevano stare così male. Era come se Ruslan avesse aperto una scatola proibita, contenente i miei ricordi più bui, ed io ero lì, ad aspettare che richiudesse quella serratura, per poi gettarne la chiave.

<< Sono qui, per te. Ti sto curando. Credo sia già una risposta >> sospirò, rassegnato dai miei continui assilli. Immaginai non fosse abituato. Sorrisi lievemente.

Quando finì di bendarmi, sparì nuovamente dal mio campo visivo.

Il sentore acre del tiglio e dei fiori d'arancio che si diffuse nella stanza, distese la tensione che sentivo accumularsi. Al di fuori delle finestre, il verde e il celeste degli alberi si manifestava incalzante, invitandomi ad uscire.

Richiedendo la mia presenza.

Invece, ero bloccata in una stanza. Con Ruslan.

Abbozzò un sorriso formale e mi porse gentilmente una tazza contenente quell'intruglio aromatico .

Sussultai, quando mi si sedette di fronte, accavallando le gambe sulla poltroncina non poco distante dal divano in cui giacevo.

Quel gesto, mi indusse ad immaginare che su quelle gambe probabilmente avrei voluto esserci io. Tentai di scacciare quel pensiero, terribilmente poco consono alla situazione complessa che andava creandosi in quel momento, fra noi.

Lo sentivo così distante. Per quanto avessi paura, non mi piaceva quel muro invalicabile.

La percezione del mio disappunto parve risvegliarlo dall'impassibilità che lo permeava.

<< Qualcosa non va? >> l'attenzione fissa su di me, Ruslan mi scrutava, intrigato.

Piccole scosse elettriche si diffusero, dentro di me.

Il mio cuore accelerò, il respiro si fece pesante. Le ciglia batterono velocemente e non riuscii più a respirare.

Mi mancò l'aria.

E la causa era lui. Lui.

RiflessiWaar verhalen tot leven komen. Ontdek het nu