Capitolo 27

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Avevo smesso di credere nelle favole, rinunciato ad un finale migliore. Cercato di abituarmi alla dura realtà. Ma quella ragazza aveva messo in dubbio ogni cosa, mi aveva trascinato in quel mondo idilliaco che avrei dovuto dimenticare.

<< Non ti toccherò, non posso. Lui... >> mi aveva detto, lasciando in sospeso parole vitali. Tralasciando la verità. Se n'era andata poco dopo, assicurandosi di essere riuscita nel suo intento. Soddisfatta nell'avermi vista nuovamente inquieta, aggrappata alla possibilità remota che avevo di sopravvivere. Mi aveva gettato nuovamente nella confusione, voleva vedermi dare in escandescenza.

Non credetti a ciò che aveva insinuato, ma c'era una parte di me che mi suggeriva il contrario. Che pregava e mi dava la forza per andare avanti. La mia mente era cosciente, sapevo fosse insensato fidarmi ancora di Ruslan. Eppure, il mio cuore mi spingeva nuovamente tra le sue braccia. Gli concessi il beneficio del dubbio, tornai lentamente a credere nei miracoli. La mia voglia di vivere rifioriva poco a poco, la speranza era un fuoco che non accennava ad estinguersi. Quell'incontro, mi aveva fatto capire per cosa valesse la pena lottare. Vagai da sola, nel clima gelido, alla ricerca della mia casa. La nostra casa. Accennai un flebile sorriso, gli occhi stanchi e assopiti.

Ruslan...

Nonostante tutto ero ancora innamorata di lui.

Ero scomparsa da diverse ore, lo immaginai chiedersi dove fossi. Nonostante tutto, lui c'era. Sempre.

Si preoccupava, mi aveva più volte salvato da una morte certa. Mi amava anche lui, in un certo senso. Mi aveva dato la caccia, si stava prendendo cura di me. Ed io lo odiavo, accusandolo della mia infelicità. Gli attribuivo colpe che non aveva, lo rendevo carnefice quando non lo era. Avevo un disperato bisogno di affetto. Volevo essere amata, desiderata. E Ruslan non poteva darmi ciò di cui avevo bisogno, sembrava non ardesse di passione, almeno non quanto ardessi io. E dovevo accettarlo, avevo provato e fallito in quell'impresa. E non era colpa sua, non era colpa di nessuno. I meccanismi del suo cuore non rispondevano ai segnali e alle parole che gli avevo rivolto. Il suo cuore batteva per un'altra, e quell'altra non ero io.

Non mi importava di morire, mi importava del suo amore. Dei sentimenti che rivolgeva alla sua sposa. Del fatto che io non avrei preso il suo posto. Non sarebbe mai accaduto...

Assorta nei miei pensieri, non mi accorsi di essere arrivata a destinazione. La neve offuscava a stento il tetto blu a falde, il cui colore spiccava oltremisura. Entrai dalla porta principale, Ruslan doveva averla lasciata aperta. Inspiegabilmente mi ritrovai con il cuore in gola, mi sembrò di essere tornata indietro nel tempo, ad assistere ai nostri primi momenti assieme. In alcuni istanti, avevo l'impressione di conoscerlo così bene, in altri mi sembrava un perfetto sconosciuto. Un estraneo, diverso da come lo immaginavo.

Feci un profondo respiro, lasciandomi dietro la pesante porta in legno. Nel salone, erano stati rimossi tutti gli specchi. Mi sedetti sul pavimento, la schiena adagiata sulla parete, le braccia a custodire le mie gambe. Quella stanza era diventata spoglia, non c'era più nulla. Erano rimasti unicamente i lampadari in cristallo, che illuminavano solitari il vuoto più assoluto.

La mia attenzione si focalizzò su di una piccola farfalla bianca, che svolazzava soave nell'aria, senza una meta precisa.

Il mondo doveva essere più bello visto da lassù.

Tesi una mano, aspettando si accorgesse di me. Come una fedele amica, mi si posò sulle dita, sbattendo le sue ali scintillanti e zampettando qua e là. Assicuratasi di avere la mia attenzione, sfrecciò diretta verso le scale, una scia luminosa definì il suo tragitto.

La seguii curiosa, salendo poco a poco le scale. Quell'esserino così piccolo irradiava un'energia straordinaria. Mi condusse al corridoio del secondo piano, nella seconda stanza a destra. Percepii la nostra destinazione. La sua camera. La camera di Ruslan.

Sussultai non appena entrai. Non appena vidi quell'orrore. La piccola farfalla sparì, portando con sé il luccichio di quella scia. Lasciando libero il mio campo visivo, lasciando che lo vedessi.

Era ferito.

Seduto sul bordo del letto, impegnato a coprire lo squarcio che aveva sul torace, Ruslan si apprestava a coprire quella chiazza orrenda. Mi spaventò. Gemette, percosso dal dolore.

<< C-cosa é accaduto? >> domandai, incredula per quella visione. Mi portai una mano alla bocca, trattenendomi dal gridare.

<< Le garze, nel bagno. Fa presto >> rispose, la voce intrisa della sua calma. Anche in quella situazione, riusciva a mantenere la lucidità che lo contraddistingueva, concentrato e sicuro sul da farsi.

Quella incerta, ero io. Dentro di me, una lotta impetuosa.

Respiravo a malapena, vidi i miei timori materializzarsi oscenamente. Ebbi paura di perderlo. Mi trascinai verso il bagno, confusa per le mie sensazioni. Ero assuefatta dal desiderio di rimanergli accanto.

In conflitto con me stessa, entrai nel minuscolo bagno adiacente la camera. Dalle pareti grigie e spioventi, era buio e avvolto da un'aria umida. L'unica fonte di luce proveniva dal lucernario situato in alto. I miei occhi saettarono verso il mobiletto dalle dimensioni ridotte, posto sotto al lavabo. Trovai le garze e il disinfettante, lo stesso che giorni prima aveva usato Ruslan per lenire il mio, di dolore.

Fu il mio turno, gli avrei reso il favore.

RiflessiWhere stories live. Discover now