Capitolo 48

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Ruslan POV

India Zakharova, avevo fissato a lungo quella ragazzina dall'aria assente e malinconica.

Ero arrivato da San Pietroburgo, per vederla. Convocato da Irina Kravchenko, amica di vecchia data e direttrice dell'ospedale in cui India era stata rinchiusa contro la sua volontà, avevo accettato quell'incarico apparentemente innocuo.
Una paziente da curare, una nuova vita da donare.

Eppure lei era convinta del contrario, pensava l'avrei voluta uccidere.

Ma quella che per lei significava morte, per me significava vita.

Irina mi aveva concesso un mese.
Un mese di tempo, per cercare di portarla a fare un minimo progresso.

Mi conosceva, sapeva degli studi che avevo fatto, delle teorie che avevo formulato.

Avevo progettato di attirarla nella mia rete, di farla innamorare di me. Solo così avrei potuto conoscere il motivo del suo malessere.

Le era stata diagnosticata una grave depressione, con tendenze mirate ad alterare la percezione della realtà.

Sembrava non volesse accettare il mondo effettivo, era solita rifugiarsi in una realtà fittizia, costruita dalla sua mente.

E in quel mare di bugie, illusioni e castelli di sabbia, era nato un sentimento potente, capace di dissimulare le sue paure.

Un sentimento capace di farmi arrivare nel suo cuore e nella sua mente.

Insieme, fianco a fianco, combattevamo contro la sua psicosi depressiva.

Poco a poco, la stavo aiutando a fuggire dalla prigione dorata che si era costruita intorno a sé, dal suo bozzolo sicuro.

L'avevo condotta al di fuori delle sbarre luminose, per farle assaporare un'aria nuova. Un'aria che sapeva di libertà.

E in quel viaggio, era accaduto l'imprevedibile.

Perché anch'io mi ero innamorato di lei.

La desideravo, mi ero ritrovato a fantasticare su di lei mentre ero assieme a mia moglie.
Non esisteva più nulla, oltre lei.
Era diventata il mio piccolo mondo, mi aveva contagiato con la sua ingenuità, con la sua follia e quella tristezza che aveva nel vedere le cose.

Avevo guardato il mondo attraverso i suoi occhi ed ero rimasto intrappolato nella sua visione.

Nessun paziente mi aveva portato a quell'esasperazione. Avevo sempre mantenuto la calma, operato con metodo e dedizione.
Eppure, con lei avevo perso il controllo.

Mi ero lasciato guidare dalla lussuria, avevo commesso il più atroce dei crimini.

Ed era sotto gli occhi di tutti.

La dottoressa Olya Ivanova, non aveva esitato a fare rapporto, seppi aveva informato Irina di ogni cosa.

Ci aveva studiato, nascosta nell'ombra.
Aveva tentato di ipnotizzare India, in un primo momento.

Ma per fortuna, quel giorno, ero riuscito ad arrivare al lago prima del tempo.

Prima che saltasse fuori la verità.

Sapevo India fosse gelosa del mio rapporto con lei, me lo aveva fatto intuire attraverso le sue lacrime. Lo avevo capito dalle sue espressioni, dall'inclinazione che subiva la sua voce, dai suoi silenzi.

India odiava che parlassi o intrattenessi rapporti con altre pazienti o colleghe, nonostante si trattasse di semplice lavoro.

Non stiamo combattendo ad armi pari, aveva detto.

E in effetti, all'inizio quella era la definizione esatta del nostro rapporto.

Ma poi, aveva contribuito a rendermi debole.

Eravamo diventati simili, avevamo iniziato ad essere uguali, e a combattere sullo stesso livello.

Sotto la pioggia, in quel momento, vidi la bellissima donna che era diventata.

Si ergeva fiera, davanti a me, così minuta e bagnata, permeata da quella certezza.

Era sicura di essere quella ragazza, la ragazza che mi aveva profondamente segnato l'esistenza.

Ed aveva ragione: ero terribilmente dipendente da lei. Avevo tentato di reprimere quell'impulso che mi portava ad affondare dentro di lei, desideravo ascoltare la voce della ragione.

Avevo assistito al mio istinto primordiale.

Nulla aveva più senso, la mia vita era divenuta completa nel momento in cui l'avevo braccata la prima volta, davanti al lago.

Aveva avuto paura, percepivo il terrore nei suoi occhi.

Ed io avevo fatto in modo si legasse a me, l'avevo spinta a volermi accanto.

India, aveva creduto di essere forte, pensava di riuscire a sedurmi affinché la lasciassi in pace, nel suo limbo.

E contro ogni logica, era riuscita nel suo intento: farmi innamorare.

Un amore istintivo, un fuoco che ardeva tenace in noi ci aveva unito contro la nostra volontà.

E anche in quel momento, l'avrei baciata oltre ogni dire, avrei guardato il suo corpo tremare e contrarsi sotto il mio.
L'avrei rassicurata, le avrei detto che sarebbe guarita, che l'avrei riportata alla vita.

Perché io volevo farlo, desideravo riaccendere in lei la speranza. Vedere i suoi occhi colorarsi di luce, vederla svolgere una vita normale.

<< Dottor Kozlov >> sentii la sua voce chiamarmi duramente.

Lei era arrivata.

Irina Kravchenko si distingueva per la sua classe innata.

I capelli biondi, raccolti in una coda alta e liscia, ondeggiavano nel vento.
Il suo completo rosa, fatto di giacca e pantaloni, spiccava nella semioscurità.
Le scarpe basse non le impedivano di avvicinarsi alla mia statura, la sua altezza destava timore, in India.

Con la coda dell'occhio, l'avevo vista indietreggiare, stringere le mani nella sua camicia bianca.

Era spaventata, avevo visto i suoi occhi impaurirsi non appena era sbucata Irina.

Il freddo contribuiva a farla tremare di più.

Cercò di nascondersi, dietro di me.

Mi voltai verso di lei, e abbassandomi leggermente per arrivare al suo orecchio, le dissi: << Va tutto bene, non devi temere nulla>>.

La pioggia cadde impetuosa su di noi, ci impregnammo dell'acqua e di un odore muschiato.

Era arrivata la resa dei conti, dovevo pagare per quello che avevo fatto ad India, e a me stesso.

<< Signorina Zakharova >> salutò educatamente la nostra piccola paziente, con aria di circostanza. La sua attenzione si concentrò esclusivamente su di me.

L'avevo delusa.

Avevo deluso la mia amica, il mio capo.
Avevo deluso la società per cui lavoravo, ma soprattutto me stesso.

Avevo deluso India.

La guardai un'ultima volta, consapevole che non l'avrei più rivista.

<< Andiamo, Ruslan >> il suo tono intimo era volto a mascherare la brutalità che mi avrebbe atteso, più tardi.

Sarei stato isolato, avrei perso il lavoro.
Mi avrebbero atteso giorni difficili.

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