Capitolo 41

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La verità. Necessitavo di sapere la verità. Per quanto fosse orrenda e deplorevole, vivere all'oscuro di ogni cosa, non sembrava essere la soluzione migliore. Brancolavo nel buio, ero immersa in un'ombra perenne.

E sembrava che quell'esserino potesse aiutarmi. Mi portava a scoprire nuove realtà e ben presto, avrei capito.

Avevamo camminato un po', per mia sfortuna. L'avevo seguita a lungo, faticando. Quando uscimmo da quella casa, tirai un sospiro di sollievo. L'aria fresca mi donò conforto, respirai a pieni polmoni trovando una sorta di pace. Il ritmo dei minuti, era scandito dal rumore dei miei passi, battevo decisa i piedi sull'erba molle.

Ci inoltrammo in un sentiero frastagliato, l'erba lasciò il posto a rocce dure e taglienti. Gli occhi fissi sulla piccola farfalla, non mi lasciarono vedere fossi arrivata al limite di un dirupo.

Caddi nel vuoto, la paura si impadronì della mia mente. Sospesa, mi preparai alla morte.

Atterrai nell'acqua gelida del torrente sottostante. Annaspai, chiedendomi quanto ancora il mio cuore avrebbe potuto reggere, sperai fosse abbastanza forte.

Perché io volevo vivere, nonostante tutto.

Fui trascinata dalla corrente, respirai a fatica mentre i flutti mi conducevano verso l'ignoto.

Mi lasciai trasportare, in attesa. Mi abbandonai al fato. Quelle acque fluivano rabbiose, mi guidarono ai piedi di una valle familiare. Riconobbi i crisantemi bianchi, quella natura morta, immersa in una malinconia perenne. Ero già stata lì. Con Ruslan.

Sembrava passata un'eternità. I ricordi viaggiarono posandosi leggeri, sui fiori. In quel luogo era racchiusa una parte importante della mia vita.

Ero vicino la mia vecchia casa, mi guardai intorno estasiata. Dopotutto, era bello tornare.
Rividi Ruslan rincorrermi sull'erba alta. Quel giorno, mi aveva rincorso per poi acciuffarmi, e alla fine eravamo caduti insieme. Ma lui ne era rimasto illeso ed io mi ero fatta terribilmente male. Era così, tra noi. Quella, era stata la prima di tante ferite. E mentre io cadevo e arrancavo, Ruslan sembrava nutrirsi delle mie debolezze, facendole sue.
E quelle debolezze, lo rendevano più forte, sembravano non scalfirlo.
Tra i ciuffi verdi e un po' incolti, scorsi una figura misteriosa.
Era distesa sull'erba a guardare il cielo, assente. Sembrava irremovibile da quella posizione, immaginai non fosse nemmeno cosciente della mia presenza.
Eppure, invadevo una buona parte del suo campo visivo.

Dopo molto, Clara si accorse di me. Mi guardò apatica, scostante.
<< Chi sei? >> aveva detto, guardandomi stranita. Con aria assente, mi aveva lanciato una breve occhiata, prima di guardare nuovamente il cielo.
<< Tu... riesci a vedermi? >> fui incredula per una tale novità. Era davvero tornato tutto come prima?

E perché Clara sembrava non ricordarsi di me?

<< Sì >> annuì, perplessa. Era rimasta sdraiata, lo sguardo fisso verso le nuvole soffici e celesti.
Il cielo si tingeva di azzurro, oltre che di giallo e di rosa. Il sole candido, giocava a nascondersi tra quei colori vivaci.

<< È davvero bellissimo >> osservai, chinandomi e sdraiandomi accanto a lei.

<< Lo è >> convenne con me. Scorsi un lieve sorriso, un chiaro segnale che ci stavamo avvicinando, di nuovo.
Delicatamente, girai la testa in cerca di quei segni sul suo corpo. L'ultima volta, l'avevo lasciata in preda ai lividi e alla disperazione.
Il suo corpo aveva iniziato a mutare, un'inquietante chiazza nera le comprometteva le funzioni vitali.
Ma in quel momento non c'era più nulla. Il suo abito bianco, lungo e trasparente, lasciava intravedere la pelle sottostante.

Una pelle chiara, pallida. Una pelle priva di qualsiasi difetto.

La perplessità mi aveva inghiottito, pensai di essere diventata matta.

Oltretutto lei pareva non ricordare nulla, sembrava mi fossi immaginata tutta quella storia.

<< Clara... sul serio non ti ricordi di me? >> cercai di insistere, sperando le si accendesse un qualche ricordo.

<< Dovrei? >> la curiosità ebbe la meglio, Clara iniziò a ridestarsi dal suo torpore.
<< È parecchio tempo che non vedo nessuno, sono sola da un po' >> aveva bofonchiato, alzandosi lievemente per potersi sedere.
La vidi tormentarsi le mani che aveva sul grembo, scrutarmi attraverso i fusti erbosi. In sottofondo si udiva soltanto il sibilare del vento che ci scompigliava i capelli .

<< Non lo sei >> mi ero alzata con lei e le avevo preso la mano, rincuorandola.
Sembravamo sorelle, la nostra era una somiglianza impressionante.

<< Lo sono >> ribatté lei, tenace.
Avevo risvegliato il suo risentimento, quella ragazza doveva aver sofferto tanto, avvertivo il suo dolore, la sua rabbia, la delusione nell'essere stata abbandonata.

Anch'io come lei ero sola.
Eravamo sole, entrambe.
Mi ero morsa il labbro fino a sentirlo sanguinare, avevo deglutito compulsivamente. Tutto, pur di trattenere quelle lacrime che si ostinavano a scendere.
Ero così impotente dinanzi a quella che sembrava essere a tutti gli effetti una sconosciuta.
Ero così impotente dinanzi alla mia vita.
Ero a tutti gli effetti una ragazza debole.

RiflessiWhere stories live. Discover now