Capitolo 47

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Ruslan kozlov.

Era questo il suo nome, il nome del dottore che mi aveva in cura.

Ero ricoverata da oltre duecento giorni nell'istituto psichiatrico denominato comunemente Kashchenko, a Mosca, in Russia.

La mia Macchia Nera, mi aveva portato lì.

La mia depressione.

Quel senso di vuoto incolmabile, quell'apatia nello stare al mondo.

Gli infermieri mi guardavano spesso con aria di sufficienza, forse intuivano il mio fosse un caso difficile da curare.

E lo era, era molto tempo che stavo soffrendo.

Avevo rinunciato ancor prima di lottare, mi ero abbandonata al mio destino.

Ma nell'ultimo mese, avevo cambiato idea.
Nel momento in cui i miei occhi grigi avevano incrociato quelli di Ruslan, tutto era cambiato.

Perché lui non era solo l'uomo più attraente che avessi mai visto, ma era anche un eccellente dottore.

Stava sperimentando una nuova cura, mi aveva detto la mia vecchia dottoressa, Olya Ivanova.

Non era mai corso buon sangue tra noi, eccetto una prima fase iniziale di conoscenza.

Ma i suoi metodi non avevano funzionato, la dottoressa Ivanova operava in base al rigore e all'indifferenza. Aveva cercato più volte di sedarmi, mi aveva legato e riempito di medicine disgustose che mi avevano fatto dormire tanto e pensare poco.

Ero stata umiliata, derisa, ignorata da quelle persone che avrebbero dovuto aiutarmi. Dagli assistenti al personale di servizio, ogni persona in quella struttura sembrava non accorgersi di me, medici inclusi.

Passavo inosservata, la maggior parte del tempo.
Passavo le mie giornate a rintanarmi nello spazio verde denominato da me, Lys.

Lys.

Era un nome più delicato, più facile da accettare. Mi faceva credere non fossi lì, rendeva il tutto più facile.

Mi ero rintanata in una realtà immaginaria per sfuggire alla durezza della vita.

Vivevo delle mie paure, del senso di solitudine che scandiva le mie giornate.

Ma poi, improvvisamente, nel mio mondo era apparso un uomo dal nome Ruslan.

Era divenuto luce, in mezzo a tutto quel grigiore.

Con il passare dei giorni, si era insinuato nella mia mente e nel mio cuore.

Aveva un potere immenso, Ruslan.

Quella capacità di attrarmi a sé, quella predisposizione naturale nel farmi sua.
Ormai dipendevo da lui, e dai nostri incontri che si erano fatti sempre più frequenti.

Aveva deciso di curarmi con l'amore, il suo, e ritenni non ci fosse cosa più bella. Ero stata ammaliata dalle sue parole, dai gesti e dagli incontri che avevano dato un senso a quei giorni.

Era diventata quasi un'ossessione, o forse lo era. Ma di una cosa ero certa, avevo bisogno di lui.

Avevo bisogno di stargli accanto: illudermi mi amasse anche soltanto per gioco.

Eppure, quando mi aveva fatto assaporare l'indescrivibile gioia nello stargli accanto, avevo capito di volerne di più.

Desideravo vederlo più spesso, che la nostra relazione non fosse scandita dai ritmi della terapia.

Desideravo diventasse mio marito.

E dal canto suo, sapevo che anche Ruslan desiderava lo stesso.
Glielo leggevo negli occhi, nelle parole non dette, nel tormento della sua espressione.

Anche Ruslan si era innamorato di me, e non seppi se aveva previsto tutto ciò, se la sua terapia comprendesse anche quella parte.

Perché il nostro era un rapporto non convenzionale, Ruslan stava sperimentando un metodo estremo, pericoloso.

Un metodo che ci avrebbe uccisi, del resto aveva già iniziato a farlo.

Perché non era una relazione come le altre, io e Ruslan divenimmo testimoni di uno spettacolo perverso.

Assistevamo alla materializzazione delle nostre paure, entrambi avevamo iniziato a combattere contro i mostri riemersi dal passato.

Una lotta disperata, perché non era ammesso fallire.

Dovevamo armarci di coraggio e ottimismo per sconfiggere quelle belve feroci, che ormai erano alle porte della nostra casa, o meglio, del nostro istituto.

Dovevamo rendere conto degli errori commessi.

Quel giorno, avremmo potuto separarci e il non sapere, rendeva le cose estremamente difficili.

Quello, era il giorno della Revisione.

RiflessiWhere stories live. Discover now