Capitolo 51

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Corsi contro il tempo, e contro me stessa.

I polmoni bruciavano, il cuore batteva all'impazzata, la testa scottava e vorticava pericolosamente. Quella, era stata una cosa folle. Ero andata contro ogni regola possibile, per lui.

Ero ritornata alla vita, a quel mondo vero che spaventava e opprimeva. Fui spiazzata dalla presenza di così tanti suoni, impaurita dalla vista delle macchine, intimorita dai segnali stradali, spaventata dalle molteplici persone che noncuranti mi tagliavano la strada. Fui investita dal caos e dalla paura di non farcela. Non seppi come comportarmi, dove andare o cosa fare. Ero mal ridotta, e alcune persone avevano iniziato a notarlo.

Respirai piano, cercando di concentrarmi su quell'azione apparentemente semplice.

La stazione era un luogo troppo affollato per la mia prima volta, dopo tanto.

Era un luogo troppo grande affinché mi orientassi.

Ai margini, scorsi una serie di persone, accasciate su materassi sgualciti e contornate dai loro beni più preziosi. Mi avvicinai esitante, stringendomi le braccia intorno al petto.

Si era fatto tardi, e molti di loro dormivano già, non avendo di meglio da fare. Si erano riparati sotto ad un portico colonnato, le loro cose gettate alla rinfusa nelle grandi buste che gli stavano di fianco.

In silenzio, mi ero vestita degli abiti di una di loro. Indossai una pelliccia scura e delle scarpe basse e verniciate, similari a quelle di una ballerina. Quegli indumenti, avrebbero aiutato a mimetizzarmi.

<< Mi dispiace >> avevo mormorato alla donna che derubai. Le guardai meglio il viso, pentendomene subito. Aveva la pelle arrossata probabilmente per via delle intemperie, i capelli unti e grigi, e avvertii un forte odore di alcool. Cercai di reprimere la mia tosse, per non svegliarla. Eppure quegli abiti erano puliti, le scarpe erano nuove e lucide. Dedussi fossero stati il suo bottino della serata. A malincuore, glieli sottrassi. Quella sera, sarebbero serviti più a me, che a lei.

Faticai a deglutire, fui soffocata dal macigno di pietra che mi abitava nel petto.

Soffrivo per ogni respiro, ero scomoda in quell'indumento pesante, la pelliccia mi dava fastidio alla pelle, prudeva e irritava. 

Tentai di non dare nell'occhio, provai ad abituarmi alla confusione della gente. In lontananza, scorsi la piccola farfalla bianca, la mia minuscola amica. Sfarfallava accanto ad una donna anziana, mi invitava a seguirla. La misi alla prova, ancora una volta.

Mi diressi verso il suo fascio di luce, accorgendomi della direzione indicata dall'autobus: San Pietroburgo.

Il mio sesto senso mi suggeriva che Ruslan fosse lì, ad aspettarmi. Ed io lo avrei raggiunto presto, avrei seguito quella traccia.

Quel pullman era parecchio affollato, approfittai della distrazione del conducente per intrufolarmici. Mi nascosi dietro ai tanti sedili, trovandomi un posto in mezzo a quella gente.

Quando l'autista si mise in marcia, sussultai impaurita. Era da tempo che non mi muovevo così. Difficilmente, nell'ultimo periodo, avevo sperimentato quel brivido d'eccitazione.

Eccetto quando io e Ruslan eravamo insieme, mi suggerì la mia vocina interiore.

 Lys aveva annientato quella dinamicità travolgente datami dal mondo esterno, mi ero rinchiusa nel mio guscio, ignorando gli stimoli provenienti da esso.

Ignoravo la vita, la bellezza dello stare al mondo.

Per tutto il viaggio, ero rimasta vigile e attenta. Avevo evitato di dare confidenza, di parlare con le persone estranee. Nel riflesso del vetro opaco del finestrino, sembravo una ragazza come tante. Sprofondai nel sedile scomodo e duro, notando che aveva ricominciato a piovere. Il fragore della pioggia mise in pausa i miei pensieri ed io mi concentrai su quel suono ipnotico e rilassante. 

Quell'autobus aveva effettuato diverse soste, ma io avevo deciso di non scendere a nessuna di esse, rimanendo salda nella mia posizione. Quando arrivammo a destinazione, era ormai l'alba.

Non appena si erano aperte nuovamente le porte, ero sgusciata via da quella macchina infernale.

La stazione di San Pietroburgo non era come quella di Mosca. Era immersa nella quiete del nuovo giorno, intrisa di un silenzio assordante. 

Le flebili luci dell'alba rincuoravano e davano nuove speranze. Mi confusi tra la folla, eludendo i controlli e le autorità.

Mi catapultai nella città di San Pietroburgo. Avevo camminato parecchio, nell'ombra. Quella città viveva dell'oro, del bianco e dell'azzurro. Mi ritrovai ai margini della Neva, il fiume che attraversava quella zona malinconica. Avevo rivisto la mia dolce amica, che mi aveva indirizzato verso quel punto circondato dall'acqua. Quella farfalla aveva fatto in modo che finissi tra le increspature di quel fiume, osservando in esso il riflesso del cielo. Ero così sola, mi chiesi cosa avrei fatto, e se quell'esserino potesse condurmi a lui. Quando la vidi posarsi sulle mie dita, mi lasciai sfuggire un pianto sommesso.

La libertà era una condizione difficile da sopportare. Un po', mi fece paura.

<< Portami da lui, per favore >> le chiesi, con la voce bassa e spezzata. Avvolta nella mia pelliccia mi arresi in un pianto liberatorio.

Ma a quell'insetto non sembrava importare, continuava a volarmi intorno, incapace di esaudire il mio più grande desiderio.

Una volta esaurite le lacrime, mi feci forza per continuare. Mi ero liberata della negatività, piangere aveva aiutato a farmi stare meglio. Quelle lacrime erano affondate nel fiume, che scorreva incessante, sotto di me.

In lontananza, scorsi delle voci. Mi sporsi per verificare il punto da cui provenivano. Poco più avanti, si ergeva fiera, nella sua maestosità, una residenza dalle dimensioni irreali. Sembrava uscita da un libro delle fiabe, tanta era la sua grandiosità. Si contornava di uno stile Rococò dai colori dell'oro e dai toni sfarzosi. Mi avvicinai a quella struttura imponente, ammaliata dalle forme, dalle linee, dalle colonnine bianche poggiate sulle innumerevoli finestre della facciata azzurra.

Lo spazio antecedente pullulava di vita, migliaia di persone, si erano riunite per poterlo visitare. Aggrottai la fronte, studiando meglio quella struttura così insolita.

Poi, capii.

Tremai, quando mi resi conto di essere davanti al Palazzo d'Inverno. Mi accasciai sul suolo gelido, cercando un conforto. La mia piccola amica era sparita, lasciandomi da sola con i miei dubbi e le domande.

Mi feci spazio tra la folla, volevo soltanto trovare il mio posto. Faticai a crederci, mi ero ritrovata in quel luogo incantato senza che me ne rendessi conto.

Respirai a pieni polmoni, assorbendo l'aria fresca di San Pietroburgo.

Mi stavo ambientando in quella città nuova, per me. Attendevo, con ansia e impazienza, il momento in cui lo avrei rivisto.


RiflessiWhere stories live. Discover now