Capitolo 49

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<< Ruslan... non lasciarmi, ti prego >> urlai, con il cuore a pezzi.
Lacrime bollenti si mescolarono alle gocce d'acqua che mi ricadevano sul viso.

<< Mi dispiace, India >> aveva mormorato, separandosi da me, per dirigersi verso la direttrice dell'istituto.

Quella donna lo guardava con aria torva, sembrava furiosa, intuii avesse scoperto il nostro segreto.

La nostra relazione proibita.

Ebbi paura, quando lo vidi allontanarsi da me.

Nel grigiore della radura, si diresse verso di lei. Era come se il mio cuore fosse destinato ad essere trafitto, ad ogni suo passo avvertivo degli affondi brutali verso il petto, come se mi stessero pugnalando centinaia e centinaia di volte.

Il mio pianto si confuse con il lacrimare della pioggia, con il fischio del vento, con il canto sommesso degli uccellini.

<< Ti prego! >> continuai ad urlare e a piangere.

Avvertivo lo sconforto, la disperazione, l'angoscia per la fine imminente.
Sperimentavo sentimenti terribili, era davvero arrivata la fine.

Credevo che la fine sarebbe arrivata nel momento in cui avremmo iniziato la terapia.
Ero morta, o almeno... mi sentivo come tale.
Avevo immaginato che le cure di Ruslan avrebbero prolungato quella sofferenza, che lui avrebbe infierito maggiormente sulla mia condizione.

Invece, quello che intendeva fare era curarmi, voleva aiutarmi a modo suo.

Avevo trasferito su di lui le mie paure, e lui mi aveva assecondato, aveva appoggiato le mie fantasie.
Mi aveva donato il suo affetto, si era interessato a me più di quanto avessero fatto tutti gli altri.

Eppure, in quell'attimo gli fu riservata la stessa freddezza con la quale avevano trattato me.

<< Non vivo senza di te! >> gli confessai singhiozzando, noncurante di Irina.

Noncurante di nessuno.

Mi importava soltanto rimanergli accanto.

Rimanere accanto all'uomo del quale ero innamorata.

Mi sentii impotente, Ruslan non si voltò, e mi chiesi se mi avesse sentito.
Decisi di raggiungerlo, ma non ebbi modo di farlo, perché ad un primo accenno di movimento, fui bloccata dalla dottoressa Ivanova e dalle sue assistenti.

<< Non ha fatto niente, non ha fatto niente >> gesticolai nella sua direzione, tentando invano di spiegare.
Mi cinsero le braccia, la vita, e persino le gambe, per farmi stare ferma.

Ero bloccata ed inerme dinanzi a quella barbarie.

Fradicia e distrutta, mi accasciai a terra.

Mi accolsero il freddo e l'erba tagliente, sentii le braccia delle infermiere tenermi ferma, a terra.

Con il capo abbassato, mi abbandonai al mio triste destino.

<< Ti amo, India >> mi parve sentire, da lontano, mentre sprofondavo in un mare torbido.
Fui immersa in quegli incubi che avevano deciso di trasformarsi in realtà.



◈◈◈

Era passato un mese da quando Ruslan se n'era andato.

Un mese senza di lui, un mese senza quel sole che riempiva le mie giornate,  un mese senza quell'entusiasmo che mi aveva contraddistinto.

Un mese di vuoto e desolazione.

La vita su Lys, si era trascinata lenta, faticosa.
Le giornate erano scandite dal ritmo lento dei miei pensieri, dalle medicine che mi somministrava l'infermiera di turno, dal guardare incessantemente il soffitto, immersa nel bianco e nella disperazione.

Mi era stata data una nuova camera, una stanza al primo piano, dotata esclusivamente di un minuscolo letto e di un armadio a muro.

Avevo indossato dei vestiti puliti, le infermiere mi pettinavano e lavavano costantemente.

Mi costringevano a mangiare, nonostante non lo volessi.

Mi ero rintanata più volte nel verde più incontaminato, cercando di sfuggire alle regole e imposizioni.

La vita era così ingiusta: ero bloccata controvoglia in quella dimensione opprimente.

Ero stata rinchiusa per la volontà di un mostro, un essere spregevole che aveva approfittato di me e delle mie debolezze: la mia unica zia.

Aveva cospirato e approfittato della Macchia Nera, mi aveva riservato un destino crudele.

Ero sola al mondo, a combattere contro ogni cosa.

Ed ero stanca di essere sola, volevo Ruslan al mio fianco.

Avevo bisogno di lui, del calore della sua pelle, della sua voce rassicurante.
Desiderai specchiarmi nei suoi occhi.

Dovevo rivederlo, ma sembrava un'impresa difficile, impossibile da intraprendere.

Non ero mai evasa da Lys, del resto non avrei saputo dove andare.
Quella, era la mia unica casa.

E ad ogni modo, mi separavano migliaia di ettari da un'uscita che pareva inesistente.

L'uscita.

Nessuno sapeva dove fosse, quella era un'informazione riservata unicamente al personale di servizio.

Ero rimasta mesi a studiare i boschi, le colline, ma quell'immensa distesa erbosa sembrava non avere fine.

Ma quella volta fu diverso, perché avevo trovato una buona ragione per evadere da lì.

E la ragione era lui.

Per tutto il mese, mi ero chiesta dove fosse. Ricordai la sua promessa di portarmi a San Pietroburgo, per visitare il Palazzo d'Inverno.

Quel pensiero mi regalò un lieve sorriso, il primo, dopo settimane.

Distratta e con la testa in fiamme, per il costante assalto dei miei pensieri, caddi sulle piccole rocce che mi avevano tagliato la strada.


Macchie vermiglie di sangue, imbrattarono l'erba e la mia mente, troppo carica e bollente.

Mi portai le ginocchia al petto, stringendomi nei miei nuovi indumenti.

Sanguinavano mente e cuore, mentre escogitavo un modo per scappare dalla mia prigione.

E non mi importava che non sapessi dove andare, né dove lui fosse.

Lo avrei cercato in tutto il mondo.

RiflessiWhere stories live. Discover now